Giovanni Battista Piranesi

Viaggio nella Roma del Settecento

Quando ci si trova nel cuore di Roma, immersi nella storia e nella bellezza dell'arte, lì dove i più grandi artisti hanno donato con le loro opere nuova linfa alla città eterna, si prova ad immaginare lo scorrere degli anni e si pensa a quello che hanno visto gli antichi monumenti, cercando di farsi un'idea di come dovevano apparire certi luoghi così affascinanti nei secoli passati.
Giovanni Battista Piranesi, incisore e architetto veneto vissuto nel pieno del Settecento, trasferitosi in giovane età a Roma, ci fornisce un prezioso aiuto in questo fantasticare, dando vita a una serie di bellissime illustrazioni che suscitano in noi una grande emozione, ricordando magari le nostre sensazioni al cospetto di tanta grandezza, quando la contemplazione lascia spazio al sentimento del sublime.
Il genere nel quale eccelse fu quello del Vedutismo, particolarmente richiesto nel corso del XVIII secolo dai committenti settecenteschi e dai viaggiatori stranieri che giungevano in Italia per il cosiddetto "Grand Tour", basato sulla fedele rappresentazione, quasi fotografica, di luoghi celebri ed edifici storici. Piranesi si dedicò principalmente all'incisione, inizialmente a bottega da Giuseppe Vasi, mentre altri esponenti in ambito pittorico furono Giovanni Paolo Pannini, per rimanere nel contesto romano, ma anche il francese Hubert Robert, che al Piranesi deve gran parte della propria produzione; non va dimenticato infine il Canaletto, noto per i suoi scorci veneziani.
Attraverso le opere di Piranesi si può allora compiere un breve viaggio nella Roma del suo tempo, affidando il commento alla raffinata sensibilità del poeta francese Stendhal, che nelle suggestive pagine di Passeggiate romane ci ha lasciato una dettagliata descrizione della città, riuscendo a rendere universale lo stato d'animo che si manifesta dinanzi a simili monumenti.

Recandosi verso il centro della città, immergendosi nei suoi vicoli, uno dei primi capolavori nei quali ci si può imbattere come d'incanto è la meravigliosa fontana di Trevi, che sorprende il visitatore per la sua sontuosità e per la particolare collocazione, vale a dire sulla facciata di palazzo Poli. Fu il genio di Gian Lorenzo Bernini a creare questo spazio, incaricato da papa Urbano VIII, demolendo i palazzi e le costruzioni che si trovavano di fronte alla fontana, che al suo tempo era decisamente più piccola e meno rilevante a livello artistico. La sua idea era quella di creare uno spettacolo d'acqua quasi teatrale, tipicamente barocco, tuttavia non riuscì a portare avanti i lavori per mancanza di fondi, lasciando la fontana in uno stato di abbandono sino al 1732, quando l'architetto Nicola Salvi realizzò il capolavoro che oggi conosciamo, dedicandosi con passione sino alla morte.
L'acqua scende con regolarità dalla facciata del palazzo, lungo una scogliera rocciosa di travertino che domina la scenografia, arrivando in una vasca che rappresenta il mare. Al centro della composizione si erge infatti la monumentale statua di Oceano, opera dello scultore Pietro Bracci, dalla corporatura muscolosa e dallo sguardo fiero e altezzoso. Il dio si trova su un carro trainato da due cavalli e da due tritoni. Il cavallo di destra appare docile, mentre quello di sinistra è imbizzarrito, proprio come il mare, a volte calmo e a volte in tempesta. In cima si vede infine lo stemma pontificio e poco più sotto si legge il nome di Clemente XII, il papa committente.

Allontanandosi lungo il lato sinistro della fontana, percorrendo ulteriori vicoli verso piazza Navona, è possibile, solamente a poca distanza, provare un'emozione simile, incontrando una piazza dalle modeste dimensioni che spalanca la vista del Pantheon, che immediatamente rapisce per la sua monumentalità lasciando senza fiato.

"Il Pantheon è certamente ciò che rimane di più bello dell'antichità romana, e si è conservato così bene da apparire a noi com'era al tempo dei Romani".

Emblema dello splendore dell'antica Roma, il Pantheon fu fatto costruire dall'imperatore Adriano intorno al 120 d.C. in onore di tutte le divinità. Come scritto sul fregio venne però fondato ancora prima, da Marco Vipsanio Agrippa, genero di Augusto, nel 27 a.C. circa, ma due incendi successivi lo danneggiarono, così Adriano decise di ricostruirlo.
Nell'illustrazione di Piranesi si vedono sul frontone i due campanili progettati dal Bernini, subito divenuti celebri col dispregiativo di "orecchie d'asino". Questa scelta si deve al fatto che l'edificio è tutt'oggi una basilica cristiana, chiamata Santa Maria della Rotonda. Si decise però nel 1883 di abbattere i due campanili, effettivamente sgraziati per la facciata di un così antico monumento.

Avvicinandosi al pronao, ossia il luogo dinanzi all'ingresso, ci si trova immersi in una foresta di colonne corinzie che sostengono il frontone e conducono alla porta d'ingresso in bronzo della misura di oltre sette metri.

"Il Pantheon ha una grande prerogativa: bastano due istanti per comprenderne tutta la bellezza. Ci si ferma davanti al portico, si fa qualche passo, si vede la chiesa, e tutto è finito. Questo basta per il turista, non c'è bisogno di altre spiegazioni: sarà tanto più entusiasta quanto più il cielo lo avrà reso sensibile all'arte".

Il soffitto del pronao era originariamente in bronzo, ma questo materiale venne tolto nel 1625 per volere di Urbano VIII Barberini, che decise di utilizzarlo per la realizzazione di alcuni cannoni di Castel Sant'Angelo e, in piccola parte, per il Baldacchino di San Pietro, opera del Bernini. A seguito di questo episodio nacque il famoso motto: "Quello che non hanno fatto i barbari, lo hanno fatto i Barberini".

Oggi il Pantheon è celebre soprattutto per le illustri sepolture, prima fra tutte quella di Raffaello Sanzio, che qui riposa dal 1520 secondo la sua volontà, ma anche dei primi due re dell'Italia unita, Vittorio Emanuele II e Umberto I di Savoia.
All'interno il tempio colpisce per l'incredibile grandezza della cupola che sembra gravare con la sua imponenza sulla struttura e sul visitatore che si trova sotto di essa. Al culmine l'oculo di nove metri di diametro lascia passare la luce, creando diversi effetti luminosi nell'arco della giornata, ma anche la pioggia, per questo il pavimento della sala è leggermente curvo, così da non far ristagnare l'acqua.

Lasciandosi alla propria sinistra il Pantheon e la sua piazza, al cui centro vi è la fontana con obelisco progettata dall'architetto Giacomo Della Porta per volere di papa Gregorio XIII Boncompagni, si giunge in una delle piazze simbolo di Roma, piazza Navona, vero e proprio scrigno di tesori.

Protagonista assoluta è la fontana dei Quattro Fiumi, sicuramente uno dei più grandi capolavori del Barocco, frutto della genialità, ancora una volta, di Gian Lorenzo Bernini. Alle sue spalle si innalza la chiesa di Sant'Agnese in Agone, opera di Francesco Borromini, che con la sua grandiosa cupola arretrata rispetto ai due campanili conferisce il senso di profondità ad una piazza, caratterizzata da una notevole lunghezza essendo sorta sull'antico Stadio di Domiziano, che presenta una scarsa larghezza.
Piranesi ci mostra un'ulteriore veduta del luogo, questa volta dal lato sinistro, dalla parte della fontana del Moro realizzata da Giacomo Della Porta.

Giunti poi sulle sponde del Tevere il panorama che si staglia all'orizzonte è a dir poco emozionante, con Ponte Sant'Angelo sormontato dalle statue progettate dal Bernini che accompagna i pellegrini verso il cuore della cristianità, verso la basilica di San Pietro.

Bisogna immaginare che sino al secolo scorso, per chi si recava verso San Pietro, non vi era ancora la lunga via della Conciliazione che oggi parte appena dopo Castel Sant'Angelo per arrivare al colonnato del Bernini, dando il tempo di abituarsi gradualmente alla vista della sontuosa facciata di Carlo Maderno e dell'immensa cupola di Michelangelo Buonarroti, il capolavoro che in tarda età lo portò a sfiorare l'eternità, tracciando i limiti tra la terra e il cielo, tra l'umano e il divino, proprio come nella Creazione di Adamo della Cappella Sistina.
Così, al tempo di Piranesi e di Stendhal, attraversando le strette vie del quartiere che sorgeva dinanzi alla basilica, la cosiddetta Spina di Borgo, al visitatore si poteva aprire all'improvviso, come quando a teatro si alza il sipario, lo scenario della piazza.

"La piazza compresa fra i due semicerchi del colonnato, è per me la più bella del mondo. Al centro, un alto obelisco egiziano; a destra e a sinistra due fontane, da cui l'acqua zampilla continuamente, con alti fasci di spruzzi, e ricade in grandi vasche, producendo un rumore tranquillo, continuo, che risuona fra i due colonnati, e invita a fantasticare. È un momento che dispone in modo meraviglioso alla commozione, di fronte a San Pietro".

Di fronte a tanta grandezza, così piccoli rispetto alla piazza e alla cupola michelangiolesca, si è come smarriti, ma ancora una volta il Bernini, commissionato da Alessandro VII Chigi, riuscì a concepire un colonnato in grado di abbracciare ognuno di noi, traducendo in architettura il messaggio di universalità della Chiesa. La sensazione che si prova è infatti quella di essere accompagnati verso la basilica dalla moltitudine di statue che vegliano sul mondo cristiano.
Il Bernini possedeva certamente il dono della genialità teatrale, il senso dello spettacolo, riuscendo a trasporli perfettamente nei suoi progetti. Per accentuare lo stupore che poteva provare il pellegrino giunto in piazza San Pietro, l'architetto e urbanista aveva infatti pensato di aggiungere al colonnato un "terzo braccio" che chiudesse le due mezze lune in un vero e proprio ovale, in modo da delimitare la piazza e custodirne la bellezza come un tesoro.

La meraviglia continua anche una volta entrati nella basilica, gremita di preziosi marmi, di sculture, di sontuosi sepolcri. Il primo capolavoro che viene in mente e che subito si trova nelle prima cappella di destra è la Pietà di Michelangelo, scolpita e firmata all'età di soli ventiquattro anni.

"Se il turista entra in San Pietro deciso a veder tutto, va incontro a un mal di testa tremendo, e presto la sazietà e il dolore lo rendono insensibile ad ogni piacere. Abbandonatevi solo per qualche istante all'ammirazione che suscita un monumento così grande, così bello, così ben tenuto, in una parola la più bella chiesa della più bella religione del mondo".

"Nulla al mondo può essere paragonato all'interno di San Pietro. Dopo un anno di soggiorno a Roma, andavo a passarvi ore intere. [...] Arrivando vicino all'altar maggiore (è un vero viaggio), si vede una specie di fossa rivestita di marmi magnifici e di bronzi dorati; novantasei piccole lampade sono accese notte e giorno attorno alla balaustrata di marmo che la circonda. Lì riposano i resti di San Pietro; lì il primo capo della Chiesa patì il martirio. Quel luogo venerabile si chiama la Confessione (l'apostolo ha confessato la sua religione versando il sangue per essa)".

Sopra la tomba di Pietro, sull'altare della Confessione, dove il pontefice regnante dichiara la sua fede in Cristo, Bernini innalzò l'imponente Baldacchino, che nonostante i quasi trenta metri di altezza è perfettamente proporzionato con l'architettura circostante, prezioso ornamento che unisce il luogo di sepoltura del primo apostolo con il punto più alto di tutta la cristianità, la cupola di Michelangelo, visibile quasi da ogni luogo di Roma.

"L'architettura di San Pietro non appare affatto sforzata: tutto sembra naturalmente grande. L'impronta del genio del Bramante e di Michelangelo è talmente suggestiva, che anche alcune cose ridicole qui sembrano soltanto dettagli insignificanti. Non credo che altri architetti abbiano mai meritato elogio più bello.
Sarei ingiusto se non aggiungessi il nome del Bernini a quello di quei due grandi artisti; egli tentò di fare tante cose, sventatamente, ma riuscì in modo perfetto per il baldacchino e per il colonnato.
Se si alzano gli occhi quando si è vicini all'altare, si vede la grande cupola: anche l'uomo più stupido può farsi allora un'idea del genio di Michelangelo, mentre se si è appena un po' pervasi di sacro fuoco si è come storditi dall'ammirazione. Consiglio al turista di sedersi su un banco e di poggiare il capo sullo schienale: là potrà riposarsi e contemplare a suo agio l'immenso vuoto che aleggia sulla sua testa".

Piranesi ci mostra nuovamente l'esterno della basilica in una veduta posteriore e sul lato sinistro, lì dove in passato sorgeva il circo dell'imperatore Nerone, al centro del quale si trovava l'obelisco che oggi vediamo in piazza San Pietro, qui spostato per volere di papa Sisto V grazie a Domenico Fontana. La tradizione indica che nel luogo dove si trovava l'obelisco fu crocifisso San Pietro, assistendo dunque al martirio del principe degli apostoli.

"San Pietro occupa l'area del circo in cui Nerone sfogava la sua passione per le corse dei carri; molti martiri vi trovarono la morte. I primi cristiani seppellirono i loro resti in una grotta ai piedi del colle Vaticano; poco dopo, San Pietro fu crocifisso, e il suo corpo fu trasportato in quel cimitero da uno dei suoi discepoli, Marcello.
Nel 65 papa Anacleto fece erigere un oratorio nel luogo in cui l'apostolo era stato sepolto.
Nel 306 Costantino si convertì al cristianesimo per avere un partito e per fare dimenticare i suoi delitti. Conquistare un imperatore era un successo per la nuova religione: ci si mise subito d'accordo. In cambio dell'assoluzione generale che gli conferiva il battesimo, il neo-cristiano dové fare costruire una sontuosa basilica, l'antico San Pietro, di cui oggi non resta più nulla".

Tornati nuovamente verso Castel Sant'Angelo, camminando per il lungotevere, si può giungere sino a piazza del Popolo, al tempo uno degli ingressi principali della città papale. Il suo aspetto trionfale è reso dalle due chiese gemelle costruite per volere di Alessandro VII sul modello del Pantheon, con il tempio rotondo preceduto da un pronao classico, mentre al centro della piazza vi è l'obelisco Flaminio innalzato dal Fontana nel 1589.

"All'uscita da Santa Maria del Popolo abbiamo osservato l'obelisco situato fra la porta e il Corso. Da lì si vedono, per tutta la loro lunghezza, tre strade rettilinee che attraversano da parte a parte tutta la Roma moderna. [...] La più lunga, quella centrale, si chiama il Corso perché da tempo immemorabile vi si tengono corse di cavalli. [...] La via di Ripetta, sulla destra per chi entra a Roma, conduce al porto sul Tevere, i barconi che vi attraccano vengono da Napoli o da Livorno. La via a sinistra si chiama del Babuino".

Percorrendo tutta via del Babuino si arriva in piazza di Spagna, "dove si annidano tutti gli stranieri", scrive Stendhal rattristato, ma allo stesso tempo luogo di ritrovo del bel mondo di tutta Europa che vede nuovamente per protagonista il Bernini con la fontana della Barcaccia, posta ai piedi della celeberrima scalinata che arriva sino alla chiesa di Trinità dei Monti.

Facendo ritorno verso il Pantheon e piazza Navona, proseguendo verso il Tevere, si può ammirare palazzo Farnese, il cui progetto di costruzione fu affidato da papa Paolo III all'architetto Antonio da Sangallo. Alla morte di quest'ultimo erano stati completati solo il piano terra e il primo piano; i lavori proseguirono sotto la direzione di Michelangelo.

"In questi ultimi giorni abbiamo visitato parecchi palazzi, e anzitutto palazzo Farnese, il più bello di tutti, costruito da Sangallo e Michelangelo con pietre prese dal Colosseo e dal teatro di Marcello".

Immancabile durante un soggiorno romano è la visita al maestoso Anfiteatro Flavio, il Colosseo, il cui nome deriverebbe, oltre che dalle straordinarie dimensioni, dalla colossale statua di Nerone collocata in passato accanto al monumento.
Si tratta dell'anfiteatro più grande del mondo, la costruzione più imponente dell'antica Roma giunta sino a noi: "un teatro ovale, altissimo, ancora tutto integro all'esterno, a nord, ma in rovina sul lato sud; poteva contenere centosettemila spettatori. [...] Non v'è nulla al mondo di così grandioso".

"Il Colosseo offre tre o quattro vedute completamente diverse l'una dall'altra; la più bella, forse, si ha dall'arena dove combattevano i gladiatori; si vedono quelle immense rovine elevarsi tutt'intorno, e colpisce soprattutto l'azzurro del cielo, attraverso i fornici in cima all'edificio, a nord".

Continua la narrazione Stendhal con una riflessione: "L'uomo più dotato di sensibilità artistica, come Rousseau per esempio, se leggesse a Parigi una delle descrizioni più sincere del Colosseo, non potrebbe far a meno di giudicare ridicolo l'autore, per la sua esagerazione; eppure l'autore ha pensato soltanto a frenare il suo entusiasmo, e ad aver paura del lettore".

Le meravigliose pagine dello scrittore francese ci raccontano poi un aneddoto, vale a dire di quando l'anziano Michelangelo, impegnato nei progetti per San Pietro, "fu visto errare un giorno d'inverno, dopo un'abbondante nevicata, fra le rovine del Colosseo: veniva ad elevare il suo animo fino a poter sentire la bellezza e i difetti del suo disegno per la cupola di San Pietro. Ecco il potere della bellezza: un teatro che ispira una chiesa".

Proprio a fianco del Colosseo si può ammirare un arco trionfale di estrema raffinatezza e qualità di conservazione, ossia quello di Costantino: "Dopo aver fatto pochi passi verso il Colosseo, abbiamo scorto sulla destra l'arco di Costantino, con la sua massa bella e imponente; ha tre fornici, [...] ed è ornato sulle due fronti da quattro colonne scanalate di giallo antico, corinzie, che reggono delle statue".

Il viaggio volge verso la conclusione con la visita a due basiliche papali, San Giovanni in Laterano, la più importante di tutte, la cattedrale della diocesi di Roma, e Santa Maria Maggiore.
La facciata del Laterano, che concilia elementi michelangioleschi e del Maderno, richiamando il Bernini nelle gigantesche statue della balaustra, è il capolavoro di Alessandro Galilei, commissionato, come recita il fregio, da papa Clemente XII Corsini.
"San Giovanni in Laterano è la prima chiesa del mondo; [...] è la sede del sovrano pontefice, come vescovo di Roma. Il papa, dopo la sua esaltazione, viene qui a prendere il possesso. Costantino fece costruire questa basilica nel suo proprio palazzo, che poi cedette ai sovrani pontefici".

"La strada che porta da San Giovanni in Laterano a Santa Maria Maggiore è un rettifilo; per la sua posizione elevata non c'è mai fango, e non è di moda; insomma offre tutte le condizioni per una bella passeggiata al galoppo. A Roma si possono noleggiare dei cavallini vivacissimi, molto buoni.
Prima di salire a cavallo, abbiamo dato uno sguardo alla Scala Santa, formata da ventotto gradini di marmo bianco; era esattamente la scalinata della casa di Pilato a Gerusalemme, che Gesù Cristo salì e scese parecchie volte. Ci sono sempre fedeli che la salgono in ginocchio".

La basilica di Santa Maria Maggiore prende il suo nome in quanto è la più grande tra le varie chiese romane consacrate alla Vergine. La facciata principale che oggi contempliamo fu costruita nel 1743 dall'architetto Ferdinando Fuga per volere di papa Benedetto XIV Lambertini.

All'interno una grande navata centrale, decisamente più ampia e luminosa delle altre due, mette in evidenzia un soffitto a dir poco regale, ricoperto d'oro, tanto che Stendhal riteneva questo luogo più simile ad un magnifico salone da ballo che alla dimora dell'Onnipotente. Sotto all'altare, coronato da un solenne baldacchino, si trova una cripta che custodisce la reliquia della mangiatoia dove fu posto Gesù Bambino appena nato.

Santa Maria Maggiore è una delle poche chiese ad avere due facciate che potrebbero essere entrambe quelle principali. La facciata absidale, progettata da Carlo Rainaldi, si apre infatti su un vasto spazio, oggi piazza dell'Esquilino, al cui centro si erge un obelisco trasferito qui sotto il pontificato di Sisto V.

A conclusione del viaggio romano, a fine giornata, immancabile è la visita al Gianicolo nel momento del tramonto, dove si può visitare la tomba di Torquato Tasso, presso la chiesa di Sant'Onofrio, il quale decise di trascorrere qui i suoi ultimi giorni. "Il Tasso si fece portare qui quando si accorse che stava per morire. Fece una buona scelta: senza dubbio questo è uno dei più bei posti del mondo per morire. Lo spettacolo grandioso ed immenso che di quassù si gode, affacciati su questa città di tombe e di rovine, forse può rendere meno penoso il trapasso dalle cose terrene, se pure esso è davvero così triste come si dice. Il panorama che si gode dal convento è senza dubbio uno dei più belli del mondo"...
Sempre al Gianicolo ci si può infine recare alla fontana dell'Acqua Paola o "fontanone", voluta da Paolo V Borghese. L'aspetto trionfale e la maestosità del progetto, al quale lavorarono diversi architetti, si deve soprattutto a Giovanni Fontana, mentre più avanti sarà Carlo Fontana ad inserire l'ampia vasca ispirandosi ai modelli berniniani per la fontana di Trevi.
Davanti al fontanone del Gianicolo si staglia un panorama su Roma di rara bellezza, capace di togliere il fiato e di sorprendere in ogni tempo i visitatori, nelle epoche passate così come oggi, rapendo il cuore di un poeta come Stendhal come quello di ognuno di noi, da qui all'eternità, un concetto tanto difficile e irraggiungibile, confacente all'Assoluto, che viene spiegato concretamente da una visita per le strade di questa città.

Note

L'ordine delle illustrazioni è stato scelto ripercorrendo il mio viaggio a Roma nel febbraio 2019.

Bibliografia

  • Passeggiate romane - Stendhal (a cura di Massimo Colesanti) - Garzanti
  • Piranesi - Orietta Rossi Pinelli - Giunti
  • Giovanni Battista Piranesi - Luigi Ficacci - Taschen

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