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DI MARCO CATANIA

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Bramante

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Né poteva la natura formare uno ingegno più spedito, che esercitasse e mettesse in opera le cose della arte, con maggiore invenzione e misura e con tanto fondamento quanto costui.

Introduce così il critico aretino Giorgio Vasari nelle Vite la biografia di Donato Bramante, architetto e pittore fra i maggiori esponenti del Rinascimento, considerandolo il degno erede di Filippo Brunelleschi, che ebbe un'importanza per il Cinquecento nelle arti pari a quella che aveva avuto l'architetto fiorentino per il secolo precedente.
Nato nel 1444 a Fermignano, nella provincia di Pesaro e Urbino nelle Marche, Vasari ne attesta invece la nascita a Casteldurante, oggi Urbania, non lontano da Urbino: «Costui nacque in Castello Durante nello Stato di Urbino, d'una povera persona, ma di buone qualità. E nella sua fanciullezza oltra il leggere e lo scrivere, si esercitò grandemente nello abbaco. Ma il padre che aveva bisogno che e' guadagnasse, vedendo che egli si dilettava molto de 'l disegno, lo indirizzò ancora fanciulletto a l'arte della pittura», afferma il Vasari. Nonostante le incertezze riguardo l'esatto luogo di nascita, così come scarse sono le notizie della sua giovinezza, chiara risulta invece la sua formazione a livello professionale presso la corte urbinate di Federico da Montefeltro, uno dei centri culturali più importanti dell'epoca che pochi anni più tardi avrebbe visto nascere Raffaello Sanzio.
La città in cui Bramante cominciò a lavorare e poté mettere in mostra il proprio talento fu Milano - dove la grande fabbrica per la costruzione del Duomo lo accostò con passione all'architettura e dove ebbe modo di entrare in contatto con Leonardo da Vinci - divenendo presto l'architetto di fiducia di Ludovico il Moro e condizionando notevolmente lo sviluppo del Rinascimento lombardo. In seguito, divenuto celebre, si recò a Roma, la città eterna, chiamato per volontà di papa Giulio II Della Rovere a dirigere il grandioso cantiere per la costruzione della Basilica di San Pietro.
Da giovane fu probabilmente allievo di Piero della Francesca e nell'ambiente urbinate conobbe illustri personaggi che segnarono la fortunata stagione rinascimentale, tra cui l'architetto Luciano Laurana, di cui viene considerato l'ideale successore, ma anche Pietro Perugino, Luca Signorelli, Pinturicchio e Giovanni Santi, padre e primo maestro di Raffaello.
Sarà proprio Bramante, una volta a Roma, a fare il nome del giovane Raffaello a Giulio II, in quanto uniti dalla medesima patria marchigiana nonché da parentela: «Fu persona molto allegra e piacevole, e si dilettò sempre di giovare a' prossimi suoi. [...] amicissimo delle persone ingegnose e favorevole a quelle in ciò che e' poteva; come si vede che egli fece al grazioso Raffaello Sanzio da Urbino, pittor celebratissimo, che da lui fu condotto a Roma», dichiara Vasari. Si dice inoltre che, grazie all'amicizia col Bramante, Raffaello poté entrare nella Cappella Sistina per ammirare il capolavoro della volta a cui si stava dedicando Michelangelo Buonarroti in totale solitudine, tenendolo nascosto fino a quando non l'avrebbe terminato.
Raffaello fu colpito da tanta meraviglia e decise di omaggiare il rivale nel suo capolavoro Scuola di Atene nelle Stanze Vaticane, ponendolo a mano libera in primo piano nelle vesti del solitario Eraclito. Per ringraziare Bramante, il cui contributo fu fondamentale per il suo successo a Roma, Raffaello aggiunse anch'egli nell'opera. Lo si può infatti vedere nei panni di Euclide, chinato a spiegare un teorema. Tutti i personaggi sono inoltre inseriti in una struttura architettonica che richiama i disegni del Bramante per la nuova Basilica di San Pietro.

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Il volto del Bramante, caratterizzato dalla fronte ampia e calva si troverebbe, secondo alcuni studiosi, anche nella volta michelangiolesca, raffigurato come il profeta Gioele, che tiene in mano un cartiglio sul quale legge quanto aveva scritto, ispirato dal Signore, e che ora si sta verificando negli affreschi posti al centro della volta, proprio accanto a lui.

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Grazie ai viaggi nell'Italia settentrionale che lo portarono in Lombardia conobbe e studiò le opere di Andrea Mantegna e di Leon Battista Alberti, inoltre, a Milano, lavorò in parallelo con il genio di Leonardo da Vinci. Quest'ultimo arrivò nella città nel 1482, solo tre anni dopo il Bramante, e realizzò il capolavoro del Cenacolo tra il 1495 e il 1498 circa. Bramante si recò a Roma nel 1499, quindi immaginiamo sia stato uno dei primi fortunati a visitare l'opera, anche perché lavorò all'ampliamento della Chiesa di Santa Maria delle Grazie quando fu deciso di decorare il refettorio con l'affresco leonardesco.

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Il primo lavoro importante di Bramante a Milano fu l'ampliamento della Chiesa di Santa Maria presso San Satiro, dedicata al fratello di Sant'Ambrogio, situata nell'attuale via Torino, vero e proprio tesoro nascosto e di rara bellezza. L'artista, che vi lavorò tra il 1479 e il 1483, realizzò uno dei più alti capolavori di cultura prospettica e illusionistica, dando vita a un finto abside la cui prospettiva allude a una profondità di venti o trenta metri, tuttavia l'osservatore, avvicinandosi, scoprirà che è stato fatto con una struttura spessa solamente novanta centimetri.

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Sostando nell'ampia navata centrale, non appena entrati in chiesa, si ha una percezione unica in quanto sembra davvero di essere dinanzi ad un profondo coro che, come capiamo dalla pianta, in realtà non esiste a causa della presenza della strada pubblica dietro l'edificio, la quale rese impossibile la costruzione di un eventuale presbiterio a prolungamento del corpo longitudinale come tipico della pianta a croce latina. La brillante soluzione scenografica sembra derivare, a testimonianza della connessione tra diverse forme artistiche, dallo sfondo in cui è ambientata la Sacra Conversazione della Pala di Brera di Piero della Francesca.

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La stessa idea di spazio ricreato illusionisticamente torna in un'altra opera, questa volta pittorica, custodita nella Pinacoteca di Brera e datata intorno al 1488-1490. Si tratta del Cristo alla colonna, capolavoro attribuito all'artista urbinate, di notevole impatto sui pittori lombardi contemporanei. Il corpo scultoreo di Gesù invade il primo piano e dietro di lui la finestra e la colonna riescono a suggerire l'esistenza di un grande ambiente in cui si svolge la scena.
Negli stessi anni Leonardo indagava le potenzialità espressive dei movimenti del corpo e delle espressioni del volto; Bramante arricchì il quadro di dettagli di sorprendente naturalismo, come il braccio sinistro stretto da una corda, e dipinse un viso che emoziona l'osservatore per l'intenso sguardo e il particolare meraviglioso delle lacrime trasparenti.

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Durante il soggiorno milanese, Bramante, che all'interno dell'ambiente cortigiano si occupò anche di allestire feste e spettacoli teatrali, ebbe modo di approfondire la sua passione letteraria, a conferma della sua notevole versatilità. Delle sue composizioni in volgare rimane un piccolo canzoniere costituito da venticinque sonetti principalmente di tipo amoroso, sebbene con uno stile lontano dal petrarchismo allora in voga, ma anche di tono burlesco e biografico, che denotano il proprio carattere ironico: «Dilettavasi de la poesia, e volentieri udiva e diceva in proviso in su la lira, e componeva qualche sonetto, se non così delicato come si usa ora, grave almeno e senza difetti», scrive il Vasari.

Intorno al 1492 Bramante progettò l'ampliamento di Santa Maria delle Grazie, inserendovi un coro di dimensioni imponenti, a pianta centrale, costituito da tre absidi semicircolari, al cui centro si erge la cupola, la più alta costruita dopo quella di Santa Maria del Fiore a Firenze.
L'impianto tipicamente centrale del coro evidenzia chiaramente i legami che uniscono l'opera del Bramante alla concezione architettonica leonardesca, testimoniata da una serie di disegni.

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A seguito della crisi politica che investì Milano, Bramante, come molti altri artisti, lasciò la città per recarsi a Roma. Qui si dedicò ad alcuni nobili progetti come, nei primissimi anni del secolo, il chiostro presso la Chiesa di Santa Maria della Pace, evidentemente ispirato al Cortile d'onore del Palazzo Ducale d'Urbino realizzato dal Laurana. Intorno al 1502 si dedicò ad una curiosa committenza, il tempietto di San Pietro in Montorio, mostrando una notevole capacità nel controllo di temi architettonici di piccole dimensioni, opera lodata dal Vasari: «Fece ancora a San Pietro a Montorio di travertino nel primo chiostro un tempio tondo, del quale non può di proporzione, ordine e varietà imaginarsi, e di grazia il più garbato né meglio inteso».
I committenti erano i Reali di Spagna, Ferdinando ed Isabella d'Aragona, i quali volevano dare una nuova e degna sistemazione al luogo in cui la tradizione ambientava il martirio di San Pietro, cioè sul Gianicolo, all'interno del convento di San Pietro in Montorio.

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L'architetto elaborò una soluzione che inseriva un tempietto all'interno di un cortile circolare munito di un portico colonnato, rifacendosi ai martyrium paleocristiani che venivano eretti per indicare luoghi con particolari riferimenti sacri. L'opera, esclusivamente celebrativa, si pone come tramite tra il mondo classico pagano e quello rinascimentale cattolico, divenendo grazie alla sua armonia un prototipo, oltre che architettonico, anche pittorico, si pensi infatti alla splendida tela raffaellesca di Brera raffigurante lo Sposalizio della Vergine.

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Studio del tempietto del Bramante - Federico Barocci - Firenze, Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi

Nello stesso periodo salì al soglio di Pietro Giulio II Della Rovere, pontefice fondamentale per la storia dell'arte di Roma, committente di Bramante, Michelangelo e Raffaello, che decise di cogliere l'occasione di questo straordinario periodo artistico per iniziare i lavori di ricostruzione della Basilica di San Pietro, opera che il papa non avrebbe potuto vedere conclusa ma che sarebbe divenuta la gloria eterna del suo pontificato. Prima dell'inizio dei lavori, Bramante si occupò del Cortile del Belvedere in Vaticano, grandioso progetto in relazione alla basilica anch'esso ultimato solamente più avanti, ma che denota, nell'intenzione bramantesca e del suo pontefice, il tentativo di rievocare gli antichi palazzi imperiali sui colli di Roma, a testimonianza di come, sotto papa Giulio, la Chiesa Romana doveva riaffermare il proprio primato e divenire una potenza europea la cui forza e il prestigio sarebbero stati espressi compiutamente attraverso lo sfarzo artistico.
Oggi per noi è difficile comprendere la scelta temeraria del pontefice di demolire la millenaria basilica costantiniana per cominciare un'immane progetto di cui egli non avrebbe mai visto la fine, tuttavia tale decisione - che riteniamo adesso illuminata visto il cenacolo di artisti presenti in quel momento a Roma - rispecchia la fiducia nell'uomo che si aveva nel Rinascimento, quando inoltre l'antica basilica doveva apparire obsoleta, del tutto inadeguata ai fasti della sede papale e a rispecchiare le ambizioni imperiali del pontefice Della Rovere, novello Giulio Cesare. Se la scelta del papa può apparire ancora imprudente, considerando quanto è andato perduto, vale la pena allora cercare la risposta nel pensiero di un viaggiatore d'eccezione, Goethe, recatosi a Roma a fine Settecento: «Che le cose grandi e mirabili debbano perire è un portato stesso del tempo, della reciproca e imprevedibile azione svolta da fattori spirituali e materiali. Nell'osservare tante cose tutte assieme non provavamo tristezza davanti alle distruzioni, bensì non potevamo che rallegrarci nel vederne tante conservate, tante altre ricostruite più belle e più monumentali di quanto erano state.
La chiesa di S. Pietro è certamente concepita con altrettanta, anzi con maggiore e più audace grandiosità d'un qualsiasi tempio antico; l'edifizio che stavamo contemplando non era solo ciò che in due millenni era andato distrutto, ma altresì ciò che di nuovo una superiore cultura aveva saputo produrre. [...]
Non dobbiamo sentirci depressi quando il nostro pensiero va alla caducità della grandezza, ma al contrario, se troviamo grande un aspetto del passato, dobbiamo sentirci spinti a produrre noi pure qualcosa d'importante, qualcosa che, anche se caduto in rovina, possa incitare i posteri a quella nobile attività di cui i nostri maggiori non fecero mai mancare l'esempio».

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Un disegno che ci mostra lo stato di avanzamento dei lavori della nuova basilica.

Nel 1505 il pontefice decise così di affidare la direzione del cantiere di San Pietro proprio a Bramante che, superando il confronto con quello che allora era l'architetto di fiducia di Giulio II, ossia Giuliano da Sangallo, divenne il più importante architetto dell'epoca.
L'impresa impegnò Bramante sino alla sua morte, avvenuta nel 1514, quando come successore fu chiamato Raffaello, al quale, sottolinea il Vasari, Bramante aveva insegnato moltissimo, lavorando a stretto contatto.
L'architettura del Bramante ha la caratteristica di sperimentare idee progettuali e soluzioni decorative sempre nuove. Un suo aspetto tipico è il cercare di unire nel suo insieme stili diversi. Ciò rendeva particolarmente complessa la realizzazione degli edifici e non a caso la maggior parte dei progetti dell'architetto rimasero incompiute. Spesso non vi erano committenti disposti a sostenere idee tanto difficili e innovative, ma sembra che Bramante non si preoccupasse della concreta attività costruttiva in quanto voleva dare vita a imprese sempre nuove e aggiornate, divenute in effetti modelli di riferimento per la storia dell'architettura.
Per San Pietro elaborò una pianta a croce greca su scala grandiosa, con un'enorme cupola centrale ispirata a quella del Pantheon e quattro più piccole intorno - memore ancora una volta dei disegni di Leonardo - perfetta espressione di quella ricerca di equilibrio e simmetria tipica dell'ideale rinascimentale.

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Un disegno leonardesco di basilica a pianta centrale.

Il progetto fu abbandonato dai suoi successori, a partire da Raffaello, in favore di una basilica a croce latina - concepita da Carlo Maderno - che potesse soddisfare le esigenze liturgiche ospitando un numero più elevato di fedeli. Immutati rimasero tuttavia il diametro della cupola michelangiolesca e le dimensioni dei quattro immensi pilastri che connotano la crociera, ossia il luogo dove vi è l'altare, punto d'incontro tra la navata centrale e il transetto. Così Stendhal nelle pagine di Passeggiate romane in un elogio a Bramante e Michelangelo, ammirando la cupola dall'interno della basilica, constatando come tutto diventi effimero al cospetto di tanta magnificenza: «Nulla nell'architettura di San Pietro tradisce lo sforzo, tutto sembra grande in modo naturale. La presenza del genio di Bramante e Michelangelo si avverte a tal punto che le cose ridicole non lo sono più, sono solo insignificanti. Non credo che degli architetti abbiano mai meritato elogio più bello».
I disegni bramanteschi influenzarono molto, dunque, lo sviluppo dell'edificio e nonostante la basilica sia stata realizzata dal genio di Michelangelo, si può dire che il Bramante, grazie a papa Giulio II, fu il vero ideatore del capolavoro che oggi possiamo contemplare, vertice architettonico e spirituale della cristianità, come ebbe a dire lo stesso Michelangelo in una lettera: «E non si può negare che Bramante non fussi valente nella architettura, quanto ogni altro che sia stato dagli antichi in qua. Lui pose la prima pietra di Santo Pietro, non piena di confusione, ma chiara e schietta, luminosa e isolata attorno... e fu tenuta cosa bella e come ancora è manifesto; in modo che chiunque s'è discostato da detto ordine di Bramante, [...] s'è discostato dalla verità».
A confermare le parole di questa preziosa lettera, che rivela la capacità del Buonarroti di lodare apertamente un rivale dimenticando antiche rivalità, è lo stesso Vasari, che, avendo avuto modo di parlare direttamente con Michelangelo, ricorda come il Buonarroti «dicesse a me parechie volte [...] che coloro che piantano la prima volta uno edifizio grande, sono quegli gli autori».

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Note

Le fotografie del Cenacolo e di Santa Maria delle Grazie sono state scattate nel maggio 2021, mentre quella di San Satiro nel giugno 2021.

Bibliografia

  • Bramante - Stefano Borsi - Giunti
  • Disegno e analisi grafica - Mario Docci - Editori Laterza
  • Storia dell'architettura occidentale - David Watkin - Zanichelli
  • La Basilica di San Pietro. I papi e gli artisti - Timothy Verdon - Mondadori
  • La fabbrica di San Pietro. Il principio della distruzione produttiva - Horst Bredekamp - Einaudi
  • Storia della basilica di San Pietro - Paola Boccardi Storoni - Editoriale Viscontea Pavia
  • Principi architettonici nell'età dell'Umanesimo - Rudolf Wittkower - Einaudi
  • Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - Giorgio Vasari - Einaudi
  • Viaggio in Italia - Goethe (traduzione di Emilio Castellani) - Mondadori
  • Passeggiate romane - Stendhal (traduzione e note di Donata Feroldi) - Feltrinelli

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