Raffaello Sanzio

Raffaello Sanzio nacque ad Urbino il 6 aprile 1483 da Giovanni Santi e Maria di Battista di Nicola Ciarla.

"Nacque adunque Raffaello in Urbino, città notissima in Italia, l’anno 1483, in venerdì santo, alle tre di notte, da un tale Giovanni de' Santi, pittore non meno eccellente, ma sì bene uomo di buono ingegno, e atto a indirizzare i figli per quella buona via, che a lui, per mala fortuna sua, non era stata mostra nella sua bellissima gioventù".

Annuncia così il pittore e storico dell'arte Giorgio Vasari la nascita di uno tra i più grandi geni del Rinascimento e dell'intera storia dell'arte, colui che, continua il Vasari, grazie all'arte "visse più come un principe che come un artista".

L'esistenza del pittore non fu però facile; il clima sereno dell'infanzia, circondato dall'affetto dei genitori, fu ben presto troncato dalla perdita della madre che morì quando Raffaello aveva solo otto anni.

Il ricordo della felicità dell'unione familiare è rappresentato da un dipinto fondamentale che segna il principio dell'arte e dell'esistenza dell'artista. La Madonna di Casa Santi, che molti attribuiscono al padre, il quale avrebbe raffigurato la moglie con il loro figlio appena nato, divenne invece il simbolo di un bambino prodigio, dal talento innato, che giovanissimo avrebbe realizzato una delle sue Madonne più celebri e delicate; per lui la più cara e preziosa.

"Ho contemplato le opere dei più grandi artisti, ho incontrato i potenti e da loro sono stato ammirato, tutto inizia da qui, origine della mia esistenza, rifugio della mia anima"...

Per tutta la vita Raffaello portò nel cuore questa immagine; lui che prima del previsto dovette imparare a camminare da solo, dopo che appena undicenne perse anche l'amato padre. Il percorso della vita si presentava amaro e in salita, ma Raffaello sin da piccolo aveva dentro tutta quella forza e passione per realizzare qualcosa di eterno.

Inizia così a narrare della vita del pittore il Vasari:

"Quanto largo e benigno si dimostri talora il cielo nell’accumulare in una persona sola l’infinite richezze de’ suoi tesori e tutte quelle grazie e’ più rari doni che in lungo spazio di tempo suol compartire fra molti individui, chiaramente poté vedersi nel non meno eccellente che grazioso Raffael Sanzio da Urbino. Il quale fu dalla natura dotato di tutta quella modestia e bontà che suole alcuna volta vedersi in coloro che più degl’altri hanno a una certa umanità di natura gentile aggiunto un ornamento bellissimo d’una graziata affabilità, che sempre suol mostrarsi dolce e piacevole con ogni sorte di persone et in qualunche maniera di cose. Di costui fece dono al mondo la natura quando vinta dall’arte, per mano di Michelagnolo Buonarroti, volle in Raffaello esser vinta dall’arte e dai costumi insieme".

Fu grazie al padre, capace in pochi anni di formarlo nella sua bottega, che Raffaello apprese le nozioni di base delle tecniche artistiche, tra cui quella dell'affresco e in generale tutta la bellezza dell'arte, potendo coltivare il suo talento già in tenera età. Determinante fu anche l'essere nato e cresciuto nella cittadina di Urbino, in quanto centro artistico di primaria importanza che, insieme a Firenze e Roma, divenne la città decisiva per la sua vita. In lui confluirono l'eleganza, la luce, le esatte proporzioni di Piero della Francesca oltre che l'armoniosa bellezza e la dolcezza delle forme di Pietro Perugino, uno dei suoi maestri, della cui prestigiosa bottega poté fare parte grazie all'aiuto del padre.

Ritratto del Perugino - 1504 - Firenze, Galleria degli Uffizi

I suoi insegnamenti si notano nella Crocifissione Gavari, dipinto databile 1502-1503, ma con una profonda e innovativa freschezza, per la bellezza dei colori, la morbidezza delle forme e la delicatezza delle figure. Gesù è al centro, in mezzo alle rappresentazioni del sole e della luna; due angeli sospesi nel cielo raccolgono con dei calici il sangue di Cristo che cola dalle mani e dal costato. Ai piedi della croce da sinistra ci sono Maria, San Girolamo, a cui viene data particolare importanza in quanto era il santo a cui era dedicato l'altare di destinazione dell'opera, la Maddalena e Giovanni apostolo. Alla base della croce la firma dell'autore e sullo sfondo una città, forse Firenze.

A segnare definitivamente il distacco tra Raffaello e il Perugino è Lo Sposalizio della Vergine, di cui entrambi realizzano una versione. Si nota il superamento del maestro da parte dell'allievo, che, nella sua opera, datata 1504 e conservata nella Pinacoteca di Brera di Milano, pone orgogliosamente la sua firma sulla facciata del grande edificio che occupa lo sfondo. Mentre nel dipinto del maestro lo spazio della rappresentazione risulta tagliato in due parti, il tempio sullo sfondo ed il gruppo di figure in primo piano, in Raffaello l'edificio diviene il fulcro dell'intera composizione, in grado di conferire armonia all'insieme e mettere in risalto i protagonisti grazie anche all'allargarsi a ventaglio delle lastre del pavimento della piazza. Inoltre, rispetto al Perugino, Raffaello inverte la collocazione simmetrica dei gruppi ai lati del sacerdote, dipingendo a sinistra la Vergine con le sue compagne e a destra san Giuseppe con i pretendenti delusi. Uno di loro, spezza arrabbiato il bastone che, non essendo fiorito, ha determinato la selezione dei pretendenti. Maria, secondo i vangeli apocrifi, era infatti cresciuta nel tempio di Gerusalemme e quando fu giunta in età da matrimonio venne dato a ognuno dei pretendenti un ramo secco, in attesa di un segno divino: l'unico che fiorì, fu quello di Giuseppe. Nonostante la delusione e il gesto di stizza, il personaggio col bastone presenta un volto delicato, sereno, così come quello di tutte le altre figure, in un clima di pace e sottile malinconia, diverso da quelli michelangioleschi, con la rappresentazione di un luogo perfetto, silenzioso, eterno, quasi un paradiso. Il dipinto, uno dei più celebri del pittore, conclude la fase giovanile e segna l'inizio del periodo della maturità artistica.

Quando sentì la notizia delle straordinarie novità delle opere di Leonardo da Vinci e Michelangelo Buonarroti, decise di recarsi a Firenze, dove rimase dal 1504 al 1508. Straordinaria è l'umiltà dell'artista che, nonostante avesse già superato il Perugino, chiede in una lettera di potersi recare a Firenze al fine di imparare. Qui ha l'occasione di arricchire il proprio bagaglio culturale e di inserirsi in un ambiente più ricco di stimoli artistici. Basta immaginare che in quegli anni per le stesse vie si potevano incontrare i più grandi geni dell'arte, Leonardo, Raffaello e Michelangelo per capire quello che offriva la città, che con questi artisti, segnò l'inizio di una stagione feconda, irripetibile, il Rinascimento maturo.

"Apprendere, interpretare e superare. Questo è quel che ho compreso dai grandi maestri: ognuno ha qualcosa da lasciarti e ognuno ha qualcosa che tu, di loro, puoi migliorare".

Leonardo accolse Raffaello nella sua bottega come un amico, ancor di più fu un padre per lui e presto divenne il suo più autorevole maestro. Si narra che un giorno Leonardo decise di mostrare all'allievo un ritratto di donna enigmatico che aveva da poco terminato, un dipinto che divenne l'emblema per il ciclo delle Madonne raffaellesche, ma anche l'emblema stesso dell'arte: la Gioconda. Raffaello, rimasto senza parole dinanzi al quadro, fu probabilmente il primo ad aver avuto il privilegio di vederlo.

Al soggiorno fiorentino appartengono numerosi ritratti, come quelli voluti nel 1506 da Maddalena e Agnolo Doni, in cui l'artista pone le basi della ritrattistica cinquecentesca. Frequentando il loro palazzo, Raffaello può osservare da vicino il celeberrimo Tondo Doni, ora conservato agli Uffizi, dipinto da Michelangelo. Lo studio del Buonarroti non implica l'abbandono dei motivi ripresi da Leonardo: la grandezza dell'artista è quella di assimilare gli elementi più significativi di ciascun autore e sintetizzarli all'interno del proprio stile non come citazioni, ma come parti integrate in modo organico.

L'influsso michelangiolesco non è ancora visibile nel ritratto di Agnolo, ma si può notare in quello della moglie Maddalena, come quello di Leonardo con l'evidente somiglianza con la Gioconda, basti guardare la posizione delle mani.

Il dipinto di Agnolo mostra un'attenzione del pittore alla psicologia, tramite uno sguardo intenso, e testimonia l'agiata condizione borghese con la ricercatezza dell'abito indossato e gli anelli portati alle dita. Il ritratto della moglie rinuncia invece a raffigurare i moti dell'animo del soggetto in quanto per la ritrattistica femminile era usanza idealizzare la figura, però è più ricercato nei dettagli. La donna, che indossa sontuose vesti, porta preziosi gioielli che ne simboleggiano le virtù. La collana, portata con fierezza, presenta incastonate tre diverse pietre: lo smeraldo, che raffigura la castità, il rubino, che indica la forza e lo zeffiro che rappresenta la purezza. La grossa perla con cui termina il gioiello, è il simbolo della fedeltà matrimoniale.

A Firenze Raffaello realizza la celebre serie di Madonne che gli vengono commissionate da nobili famiglie. I dipinti sono l'emblema della bellezza dell'affetto di una madre e della grazia della figura femminile. In tutte si ritrovano la stessa armonia tra i personaggi, uniti dalla dolcezza dell'affetto, e i paesaggi, perfetti e sereni.

La Madonna del cardellino, datata 1506 e conservata nella Galleria degli Uffizi, raffigura la Vergine che regge con le gambe Gesù Bambino che porge la mano verso San Giovannino, il quale tiene nelle mani un cardellino. I contatti umani delicati quasi fanno dimenticare il presagio della morte rappresentato dal piccolo uccello.

La Madonna del Belvedere, sempre del 1506, documenta il massimo accostamento di Raffaello all'arte leonardesca. Le figure sono racchiuse entro uno schema piramidale e i protagonisti sono legati dai reciproci sguardi. Il piccolo Gesù accenna un gesto di benedizione nei confronti di San Giovannino che gli offre la croce, allegoria della Passione, però il triste presagio della morte è celato dall'affettuosità della scena e dall'assenza della malinconia della Vergine, tipica delle raffigurazioni leonardesche.

Simile alle altre due Madonne è la Belle Jardinière, datata 1507 e custodita al Museo del Louvre. Il titolo, inventato nell'Ottocento, si riferisce alla bellezza di Maria che si trova in un prato somigliante a un giardino. Questa volta troviamo San Giovannino alla destra di Gesù Bambino che, sorretto dalla Madre, le si rivolge con Amore, dandole una carezza sul ginocchio e quasi rassicurandola, toccando con la mano sinistra il libro su cui è scritto tutto il destino. Il piccolo San Giovanni guarda intensamente Gesù e si genuflette in segno di devozione.

Dello stesso anno è la Deposizione Borghese o Pala Baglioni. Secondo il Vasari, l'opera venne commissionata da Atalanta Baglioni, una nobile donna che perse suo figlio ancora molto giovane. Nel dipinto la figura della Vergine incarna dunque il sentimento della madre che, lacerata dal dolore, perde i sensi. Raffaello dipinse tutta la drammaticità della scena ripensando a ciò che aveva provato quando giovanissimo perse sua madre, riuscendo dunque ad accostarsi in prima persona al sentimento della committente.

Nella scena Gesù, il cui braccio destro richiama la Pietà di Michelangelo, viene portato nel sepolcro da tre uomini, mentre Maria Maddalena, in lacrime e con i capelli al vento, gli tiene la mano come a volerlo accompagnare. San Giovanni si trova dietro il corpo, a sinistra, con le mani giunte. A destra vi sono le pie donne che sorreggono la Madonna e sopra di loro, in lontananza, il Golgota con le croci dove vennero crocifissi Gesù e i due ladroni.

Straordinari sono la ricchezza dei colori e la monumentalità delle figure che sembrano statue; elementi che fanno di quest'opera uno dei capolavori di Raffaello.

Opera conclusiva del periodo fiorentino, del 1507 - 1508, conservata nella Galleria Palatina di Firenze, è considerata la Madonna del Baldacchino, lasciata incompiuta per il trasferimento del pittore a Roma, voluto da papa Giulio II. È una grande pala d'altare, la prima commissione di questo tipo ricevuta a Firenze. Attorno alla figura della Vergine posta in trono, che tiene in braccio il Bambino, è organizzata una sacra conversazione con, da sinistra, i santi Pietro, Bernardo di Chiaravalle, Giacomo maggiore e Agostino. Quest'ultimo indica con un braccio la scena allo spettatore e lega tutti i personaggi, già comunicanti con gli sguardi e le espressioni. I gesti dei santi rendono la scena dinamica e danno profondità all'abside. Alla base del trono vi sono due angioletti, così come due angeli sono raffigurati in alto, a sinistra e a destra di Maria, mentre reggono il baldacchino.

Il 1508 fu l'anno che cambiò la vita di Raffaello, chiamato a Roma da papa Giulio II che decise di fare una straordinaria opera di rinnovamento urbanistico e artistico del Vaticano. Per farlo si circondò dei migliori artisti sulla piazza, tra cui Michelangelo e Bramante. Fu proprio quest'ultimo, probabilmente, a fare il nome di Raffaello al pontefice. Per il giovane pittore, appena venticinquenne, arrivò dunque l'occasione della vita, avrebbe affrescato i luoghi più importanti a contatto con i migliori, era il momento di fare la storia dell'arte, ma lui si sentiva pronto sin da piccolo.

Il 1508 era anche l'anno in cui Michelangelo alzava i ponteggi nella Cappella Sistina per affrescare la volta. A Raffaello vengono affidati gli appartamenti papali, le quattro Stanze Vaticane, oggi note come Stanze di Raffaello.

I due geni del Rinascimento lavoravano dunque parallelamente, giravano gli stessi luoghi, ma non si parlavano mai, i loro caratteri erano completamente diversi. Raffaello da subito conquistò l'attenzione del papa che gli diede una completa libertà. Michelangelo era invece cupo e riservato, una figura misteriosa, quasi tenebrosa, che però interessava molto Raffaello. Lo osservava da lontano, per coglierne i segreti che nascondeva dietro alla sua personalità oscura. Anche Michelangelo capiva che nel giovane urbinate vi era un talento straordinario, ma non poteva sopportare che un ragazzo lo facesse sfigurare davanti al papa.

La Stanza della Segnatura tenne impegnato Raffaello dal 1508 al 1511; divenne il suo capolavoro. Essa rappresenta la summa della cultura umanistica, con quattro affreschi di immensa importanza: Disputa del Sacramento (Teologia), Scuola di Atene (Filosofia), Parnaso (Poesia) e Virtù e la Legge (Giurisprudenza). Le quattro pareti sono affrescate con quello stile monumentale che aveva caratterizzato le ultime opere del periodo fiorentino e la capacità di disporre con ordine e armonia i personaggi anche nelle scene più affollate.

Nella Scuola di Atene sono presenti in un unico dipinto i massimi pensatori dell'antichità all'interno di un immaginario edificio classico, rappresentato in perfetta prospettiva. Per Raffaello l'opera è l'occasione per sancire la concezione dell'arte come attività intellettuale, come dimostra l'assunzione, per alcuni personaggi della rappresentazione, delle fattezze di artisti contemporanei. Al centro, Leonardo è Platone che tiene in mano il Timeo e solleva il dito verso l'alto ad indicare il cielo, il Bene; vicino a lui Aristotele, il cui volto sembra essere quello di Bastiano da Sangallo, regge il libro dell'Etica e tende la mano verso la terra. Con la semplicità di due gesti il pittore è riuscito a sintetizzare il pensiero delle due scuole filosofiche.

A destra in basso Bramante è Euclide, chinato a spiegare un teorema, e ancora più a destra Raffaello stesso si è ritratto vicino al Sodoma, o forse, come sostengono alcuni, con suo padre Giovanni Santi, colui che fu il suo primo maestro.

Grazie all'amico Bramante, una sera Raffaello, dopo aver terminato questa immensa opera, ebbe l'opportunità di entrare nella Cappella Sistina, dove Michelangelo stava lavorando senza farsi vedere da nessuno. Nascondeva qualcosa di grande dietro a quel misterioso silenzio; Raffaello fu il primo a vedere il capolavoro della volta quasi concluso.
Fu impressionato positivamente dalle novità di quell'artista così incompreso e rimase senza fiato nello scorgere l'immagine di due dita che si sfiorano appena: Dio e Adamo nella creazione dell'uomo. Fu in quel momento che Raffaello decise di rendere omaggio a Michelangelo aggiungendo anche il suo ritratto nella Scuola di Atene; lo disegnò a mano libera e lo mise in primo piano, nelle vesti del solitario Eraclito.

Ritratto di Giulio II - 1512 - Firenze, Galleria degli Uffizi

In Parnaso vengono raffigurati poeti antichi e moderni sul monte che, secondo la mitologia greca, era la dimora delle Muse. Al centro della composizione, seduto sulla sommità del colle, vi è Apollo, dio della poesia, coronato di alloro ed intento a suonare.

Partendo da sinistra troviamo Francesco Petrarca, il terzo, mentre seduta in primo piano vi è la poetessa greca Saffo; più in alto Dante, vestito di rosso, guarda verso il maestro Virgilio. In mezzo ai due, più avanti, vi è il poeta cieco Omero. A destra, secondo un'ipotesi, si trova un ritratto di Michelangelo, anch'egli poeta, e vicino a lui si vedono Giovanni Boccaccio e Ludovico Ariosto.

Nella Stanza di Eleodoro si trova un suggestivo affresco, la Liberazione di San Pietro, realizzato dopo la morte di Giulio II, sotto il pontificato di un altro papa fondamentale per la vita di Raffaello, Leone X.

È il notturno più bello della storia dell'arte, in cui la mano dell'Urbinate tocca vette irraggiungibili. Nella penombra della cella la luce, diffusa da più fonti, l'angelo, la luna, l'alba, la torcia, è la vera protagonista della scena. Si riflette sulle armature e illumina i volti dei soldati spaventati e il santo imprigionato. Sulla destra San Pietro appare libero, grazie all'intervento dell'angelo del Signore, mentre le guardie sono cadute nel sonno.

Papa Leone X, figlio di Lorenzo il Magnifico, pose ancora di più del predecessore l'attenzione sulla cultura artistica. La sua educazione lo portò ad amare il bello e il lusso, circondandosi dei migliori artisti e letterati del tempo. Raffaello rimase una delle figure di spicco alla corte papale: forse in quel momento era il più importante. 

Ritratto di Leone X - 1518 - Firenze, Galleria degli Uffizi

Il pontefice volle anch'egli legare il suo nome all'impresa della Sistina, la cui volta era appena stata realizzata da Michelangelo. Decise allora di donare una serie di preziosi arazzi i cui disegni furono chiesti a Raffaello. Ancora una volta, dunque, il confronto diretto con Michelangelo che tanto affascinava il pittore. Avrebbero lavorato nella stessa stanza, dove, pochi anni più tardi, Michelangelo avrebbe realizzato il meraviglioso Giudizio Universale.

Il lavoro fu impegnativo e comportò per il pittore molte difficoltà anche per la decisione che prese di elaborare scene complesse nelle quali il gesto di ogni figura assume un significato ben preciso nell'ambito della narrazione. Gli arazzi dovevano raffigurare le vicende dei santi Pietro e Paolo, tratte dai Vangeli e dagli Atti degli apostoli e sarebbero stati utilizzati nelle solenni festività.

Il 26 dicembre 1519 gli arazzi vennero collocati nella Sistina: è il trionfo di Raffaello."Opera certo più tosto di miracolo che d’artificio umano", scrive il Vasari.

Accanto ai lavori per il papa, Raffaello era impegnato anche in alcune importanti opere come la Madonna Sistina, una significativa pala d'altare per la chiesa di San Sisto a Piacenza, databile 1513 - 1514 e oggi custodita a Dresda.

Maria col Bambino appare da una tenda verde scostata e discendente da un letto di nubi composto da moltissime teste di cherubini. Guarda fisso l'osservatore e ai suoi fianchi vi sono San Sisto papa, che la venera in ginocchio, e Santa Barbara. Sotto la Madonna, tra le nuvole, due putti osservano la scena quasi stanchi di recitare la solita parte; sono gli angioletti più celebri della storia dell'arte.

Nuovi committenti desiderano possedere le sue opere, ma pochi poterono distoglierlo dagli impegni in Vaticano, uno dei fortunati fu l'amico Agostino Chigi, banchiere senese che all'inizio del Cinquecento era tra gli uomini più ricchi d'Europa. Fece erigere una fastosa villa sul Tevere, quella poi detta villa Farnesina, con decorazioni stupende in omaggio all'amata Francesca Ordeaschi, fanciulla veneziana di semplici origini. La villa doveva essere diretta emanazione del suo potere e delle sue ricchezze, per questo decise di affidare il progetto all'architetto senese Baldassarre Peruzzi e i disegni alla bottega più prestigiosa dell'epoca, quella di Raffaello, che vi lavorò con i suoi allievi, tra cui Giulio Romano.

Emblema della delicatezza dell'arte di Raffaello è il ciclo di affreschi realizzati nella Loggia di Psiche. Secondo alcuni, la protagonista della favola di Apuleio, Psiche, raffigurerebbe l'amata di Agostino, Francesca, che da umile cortigiana si elevò al rango di moglie del nobile banchiere.

A due passi dalla villa prende vita il mito della Fornarina, la fanciulla romana che fece innamorare perdutamente Raffaello.

I due si incontrarono lungo il Tevere quando il pittore, che passeggiava dal Vaticano alla villa, fu rapito dalla bellezza della giovane che si stava bagnando nelle acque del fiume.

Margherita Luti, figlia di un fornaio di Trastevere, fu l'unica donna tra tante che riuscì a conquistare il cuore di Raffaello, facendolo sentire fragile; lui che aveva avuto tutto, capiva in quel momento di potersi perdere in un solo sguardo.

"La Bellezza è la linfa che ha reso viva la mia arte, ma si è rivelata anche la mia unica e grande debolezza. La natura mi ha voluto sensibile alle virtù femminili, non ho saputo resistere ai diletti carnali, mi sono fatto incantare da molte donne; non di meno, conosco l'Amore vero...

Ho messo la mia arte al servizio di quell'unica donna capace di rapirmi il cuore e l'anima. Non posso sopportare nemmeno un'ora lontano da lei e dal suo viso, che mi infonde serenità. Che sia la figlia di un fornaio poco mi importa, lei sola ha saputo saziare il mio desiderio di Bellezza"...

Da quel giorno molti soggetti hanno il volto dell'amata, come il celebre ritratto conservato nella Galleria Palatina di Firenze: La Velata.

La donna è ritratta a mezza figura, voltata a sinistra di tre quarti a guardare con un sorriso appena accennato l'osservatore, insegnamenti ripreso da Leonardo. Il capo coperto da cui deriva il titolo suggerisce un'associazione con la Vergine. Bellissima è la veste dorata che si agita davanti ai nostri occhi con sensazionale naturalezza. Lo sguardo, il volto dolce e purissimo, la collana e il diadema con perla raffigurano una bellezza sia interiore che esteriore, curata nei particolari.

L'ultima opera di Raffaello, datata 1520 e conservata nella Pinacoteca Vaticana, è la magnifica Trasfigurazione. La pala è dipinta in due scene: in alto, sul monte Tabor, Cristo, radiante e luminoso, tra i due profeti, Mosè ed Elia, si trasfigura, cioè appare nella sua virilità. Gli apostoli sono sconvolti e increduli di fronte a questa straordinaria visione. Sotto, nella parte inferiore del dipinto, vi è una scena oscura, piena di gente e di tensione; è il Raffaello "in nero", che sembra già precorrere Caravaggio. L'episodio evangelico, legato alla Trasfigurazione, rappresenta un giovane uomo preda dei demoni, come si vede dai suoi occhi, liberato da Gesù che scende dal Tabor. Il momento è concitato, drammatico, alcuni cercano di sostenere il ragazzo, di guarirlo in qualche modo e di confortare sua madre, ma l'Evangelista, sulla sinistra, indica verso l'alto, come a dire che solo Cristo trasfigurato salva.

Il Vasari dice che gli ultimi momenti della sua vita Raffaello li abbia dedicati a dipingere il volto di Gesù trasfigurato, il più bello della storia dell'arte. È davvero suggestivo pensare che questo giovane e bellissimo uomo, divino in certi aspetti, concluse così il suo immenso percorso artistico, dipingendo la vittoria sulla morte, l'infinito che trionfa, l'Amore eterno.

I seguaci e i contemporanei che conobbero di persona Raffaello lo paragonarono addirittura a una reincarnazione di Cristo. Questo per le vette artistiche che riuscì a toccare e le composizioni eterne a cui diede vita, per il suo essere come un principe, bellissimo, divino, perché si spense in giovane età di Venerdì santo, lo stesso giorno in cui venne al mondo.

Nella primavera dell'anno 1520, all'apice della fortuna e della gloria, celebrato e invidiato da tutti, Raffaello si ammala. Il Vasari dice di febbri continue, probabilmente di pleurite; si spegne troppo presto, all'età di soli 37 anni. Era il 6 aprile del 1520.

Il suo ultimo capolavoro viene posto sopra il suo letto di morte; vicino a lui l'amata Margherita, in lacrime, distrutta dal dolore, e il commosso saluto dell'intera corte pontificia.

"La quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiar l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava".

Così Vasari descrive lo strazio e la commozione suscitata in coloro che poterono raccogliersi davanti al corpo dell'autore al cospetto di quell'opera così straordinaria.

Raffaello venne sepolto nel Pantheon, come egli stesso aveva richiesto. Il glorioso epitaffio, scritto dall'amico Pietro Bembo, recita:

"Qui riposa Raffaello, da cui, finché visse, la Natura temette di essere vinta, e ora che egli è morto, teme di morire con lui"...