Umberto I
Non dev'essere stato per niente facile il compito di Umberto I di Savoia, vale a dire quello di succedere a suo padre Vittorio Emanuele II, il primo re d'Italia. Ancora in vita il "Padre della Patria" era divenuto un personaggio quasi mitologico, entrato di diritto nella storia e nell'immaginario collettivo per aver creato l'Italia unita, trasformando i Savoia da sovrani di un piccolo regno subalpino in una vera e propria potenza europea con capitale nientemeno che Roma.
Ritratto di Vittorio Emanuele II.
A seguito della morte del "Re galantuomo" il 9 gennaio 1878 e dei solenni funerali presso il Pantheon, Umberto salì al trono, prestando giuramento a palazzo Montecitorio: «Il vostro primo re è morto; il successore vi proverà che le istituzioni non muoiono!».
Roma lo vide per la prima volta nelle vesti di re dopo il giuramento, quando si affacciò un po' impacciato al balcone del Quirinale affiancato dalla moglie, la regina Margherita di Savoia.
Umberto durante il suo giuramento.
Il periodo in cui si trovò a regnare, che storicamente coincide con la Belle Époque, si rivelò sin da subito molto delicato, dovendo rafforzare il senso di unità nazionale, colmare i tanti debiti lasciati dal padre e affrontare l'ostilità della Chiesa che a seguito della breccia di Porta Pia, avvenuta il 20 settembre 1870 regnante papa Pio IX, continuava a non riconoscere il Regno d'Italia anche con il nuovo pontefice Leone XIII.
Per dare un segno di cambiamento il nuovo re, anziché chiamarsi Umberto IV, seguendo la numerazione dinastica che nei secoli aveva contato tre esponenti sabaudi con quel nome, decise di prendere il nome di Umberto I, nonostante il padre avesse stabilito che l'unità nazionale non avrebbe alterato la tradizione nominale di casa Savoia. Voleva così evidenziare che i Savoia erano re d'Italia e non del Piemonte o della Sardegna con annesso il resto della penisola.
Umberto nacque a Torino il 14 marzo del 1844, lo stesso giorno in cui era nato suo padre. La madre, Maria Adelaide, morirà in giovane età stremata dai parti senza riuscire a divenire la prima regina d'Italia. Il padrino di battesimo del neonato fu il nonno paterno Carlo Alberto di Savoia, un uomo altissimo e dalla grande cultura, destinato pochi anni dopo all'abdicazione in favore di Vittorio Emanuele e al malinconico esilio in Portogallo, in una sorte che lo accomuna all'ultimo re d'Italia Umberto II, nipote di Umberto I.
Una volta divenuto erede al trono d'Italia, cominciò per Umberto la ricerca di una moglie adatta al ruolo in giro per le varie corti europee, sino a quando Vittorio Emanuele capì che la migliore fra le candidate a divenire la prima regina di casa Savoia altri non era che una principessa di famiglia, ossia Margherita, la figlia di Ferdinando duca di Genova, fratello del re d'Italia. Margherita, cugina di primo grado di Umberto, piaceva molto a Vittorio Emanuele perché sin da ragazza mostrava l'orgoglio di appartenere al casato, maturando presto una concezione assolutistica del trono. Tra i futuri coniugi Umberto era sicuramente quello più tollerante e condiscendente.
I due cugini - Tranquillo Cremona - 1870 circa - Roma, Galleria d'Arte Moderna.
Sarà una scelta fortunata quella di Margherita come regina d'Italia, una parte che nessuno aveva mai recitato prima, ma che lei affrontò con coraggio, riuscendo a conquistare i sudditi con i suoi modi affabili ed i poeti con la sua eleganza. Il paese vide sin da subito in lei un chiaro punto di riferimento, come ebbe a dire Indro Montanelli: «Era una vera e seria professionista del trono, e gl'italiani lo sentirono. Essi compresero che, anche se non avessero avuto un gran Re, avrebbero avuto una grande Regina».
Margherita appariva come una donna sicura di sé, nemmeno lontanamente preoccupata che il prestigio del trono potesse essere messo in discussione, convinta che la forza fosse dalla parte del potere e che riuscisse sempre a ristabilire l'ordine nel paese. Iniziò così a manifestare simpatie per governi forti e guidati da uomini autoritari.
Umberto, al contrario, assunse il proprio compito con timore, preoccupato del confronto con l'ingombrante figura paterna, in un paese nel quale cominciavano a manifestarsi i primi disordini sociali. Il potere, nel ventennio che va dal 1876 al 1896 e dunque quasi per l'intero periodo del regno di Umberto, fu tenuto dalla cosiddetta Sinistra storica nelle figure di
Agostino Depretis prima e Francesco Crispi poi. A causare i malumori erano le precarie condizioni economiche del paese, aggravate dalle carestie causate dalle epidemie di colera ed il conseguente aumento del prezzo del pane.
Umberto aveva impostato uno stile severo, divenendo presto l'emblema dell'autorità monarchica, freddo nell'atteggiamento e incapace di empatia nei riguardi dei sudditi. Amante della caccia e dei cavalli, il re, sebbene insensibile all'arte e alla letteratura, era un uomo dal garbo aristocratico, che diversamente al padre sapeva muoversi con disinvoltura nei salotti nobiliari e nelle corti. D'aspetto non era bellissimo, con i celebri lunghi baffi, gli occhi sporgenti e spiritati, tuttavia insieme a Margherita formavano una bella coppia. Una faringite trascurata e divenuta cronica rese il sovrano rauco e dal tono brusco per tutta la vita.
Vittorio Emanuele aveva anche un altro figlio maschio, Amedeo, dal carattere completamente diverso rispetto all'austero Umberto, che ricoprì un ruolo di primaria importanza per la dinastia, dando vita al ramo cadetto Aosta ed ottenendo un trono ancor prima del primogenito. Quando i Savoia si trovavano a Firenze, capitale d'Italia dopo Torino e prima che Roma venisse annessa al regno con la breccia di Porta Pia, si apprese la notizia che in Spagna era venuto a mancare il re che aveva lasciato solo una figlia. Venne così offerto il potere ai Savoia nella figura di Amedeo, in quanto Umberto doveva aspettare il suo turno per regnare sull'Italia, secondo la regola che «in casa Savoia, si regna uno alla volta».
Vittorio Emanuele II insieme ai figli Umberto, a sinistra, e Amedeo.
Il primo re d'Italia era entusiasta di vedere la propria dinastia espandersi in Europa, considerando inoltre che la primogenita Maria Pia era divenuta regina di Portogallo avendone sposato il sovrano.
Amedeo, impossibilitato a regnare in Spagna a causa dei numerosi disordini sociali e delle minacce subite, abdicò però solamente due anni dopo la sua proclamazione.
Quando il fratello Umberto salì al trono d'Italia Amedeo, nonostante fosse già stato un monarca, gli doveva assoluta obbedienza, ma non mancarono alcuni scontri per le loro visioni differenti.
Il "Padre della Patria" con a fianco i suoi figli ed il resto della famiglia reale.
Umberto e Margherita si sposarono il 22 aprile 1868 a Torino, in quelle che furono definitive le "nozze del secolo", capaci di attirare le simpatie popolari e rafforzare il regime monarchico. Alla cerimonia seguì infatti un viaggio per le varie città italiane, nel quale si capì sin da subito che il fascino di Margherita, capace di accattivarsi la simpatia di chiunque l'avvicinava, sarebbe divenuta la vera protagonista del trono sabaudo, simbolo materno dell'unità appena raggiunta, celebrata dai versi di Giosuè Carducci e Gabriele d'Annunzio.
Una foto di Margherita nell'anno delle nozze.
Diversi erano gli intellettuali che operarono per rafforzare quel senso unitario e patriottico che stava a cuore ai sovrani e che tuttavia non riusciva ad aderire definitivamente in un paese ancora profondamente diviso nonostante la brillante stagione risorgimentale. Nascevano così, nell'età umbertina, capolavori come Cuore di Edmondo De Amicis, il quale si esprimeva a tal proposito con una vera e propria pagina di pedagogia patriottica rivolta da un padre al proprio figlio: «Io amo l'Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano, perché è italiana la terra dove son sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove son nato, la lingua che parlo, i libri che m'educano, perché mio fratello, mia sorella, i miei compagni, e il grande popolo in mezzo a cui vivo e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano. Oh, tu non puoi ancora sentirlo intero questo affetto! Lo sentirai quando sarai un uomo, quando ritornando da un viaggio lungo, dopo una lunga assenza, e affacciandoti una mattina al parapetto del bastimento, vedrai all'orizzonte le grandi montagne azzurre del tuo paese; lo sentirai allora nell'onda impetuosa di tenerezza che t'empirà gli occhi di lacrime e ti strapperà un grido dal cuore. Lo sentirai in qualche grande città lontana, nell'impulso dell'anima che ti spingerà fra la folla sconosciuta verso un operaio sconosciuto, dal quale avrai inteso, passandogli accanto, una parola della tua lingua. Lo sentirai nello sdegno doloroso e superbo che ti getterà il sangue alla fronte, quando udrai ingiuriare il tuo paese dalla bocca d'uno straniero. Lo sentirai più violento e più altero il giorno in cui la minaccia d'un popolo nemico solleverà una tempesta di fuoco sulla tua patria, e vedrai fremere armi d'ogni parte, i giovani accorrere a legioni, i padri baciare i figli dicendo: - Coraggio! - e le madri dire addio ai giovinetti gridando: - Vincete!».
Come ogni matrimonio dinastico anche quello di Margherita e Umberto non fu semplice e il sentimento, se vi è stato, non durò molto. Il re era infatti innamorato sin da giovane di una dama milanese più anziana di lui, Eugenia Bolognini duchessa Litta, divenuta la favorita una volta che Umberto prese il potere. I due reali col tempo finirono inevitabilmente per allontanarsi, conducendo vite separate, pur mostrandosi uniti in pubblico. Margherita, nonostante l'amarezza, interpretò sempre il proprio ruolo al quale era stata educata con serietà e modernità, divenendo il simbolo delle speranze di una giovane nazione.
Il matrimonio tra Margherita e il principe Umberto.
Trasferitesi a Napoli, finalmente venne data la notizia che la principessa era in dolce attesa, per la gioia di Umberto e di Vittorio Emanuele, che si recò personalmente a visitare la nuora nonostante le difficili condizioni di salute. La sera
dell' 11 novembre 1869 venne alla luce il futuro Vittorio Emanuele III, a seguito però di un parto
travagliato e di lunga durata che costò alla regina l'impossibilità di avere altri figli.
Sin da subito il neonato, piccolo e gracile di costituzione, manifestò problemi respiratori e legati alla crescita. Si iniziò così a criticare la decisione di sposarsi fra parenti, scelta approvata eccezionalmente dalla Chiesa che normalmente vietava le nozze tra consanguinei.
Nemmeno ad un anno di distanza dalla nascita di Vittorio Emanuele vi fu la Presa di Roma, con la quale veniva sancita la fine del potere temporale del papa e la definitiva unificazione nazionale per cui tanto si era speso il primo re sabaudo, che aveva molti motivi per ritenersi soddisfatto quando ormai era giunto, sebbene precocemente, al tramonto della propria esistenza. Non sarà lo stesso per il figlio e il nipote, basti pensare a quanto scrisse quest'ultimo nel fatale 1944: «Non si può dire che da quando s'è formata l'Italia le cose siano andate proprio bene per la mia Casa! Solo mio nonno ne è uscito bene». Per arrivare a quel momento dovranno trascorrere però ancora molti anni e drammatici eventi.
Pochi mesi dopo essere salito al trono, Umberto fu infatti vittima del primo dei tre attentati subiti, l'ultimo dei quali gli sarà fatale. La coppia reale, insieme al piccolo erede, aveva deciso di compiere un viaggio nelle varie città d'Italia al fine di legare il popolo alla dinastia sabauda aumentando i consensi e il sentimento di unità nazionale. Fu un notevole successo per la famiglia, con la folla che ovunque accorreva numerosa per salutare i sovrani e l'erede, ma più di tutti per Margherita, come dimostra l'incremento vertiginoso dei nomi delle bambine battezzate negli anni Ottanta con il nome dell'amata regina. Evidente è il suo ruolo di primaria importanza ai fini della nazionalizzazione della dinastia sabauda.
Anche Bologna, notoriamente poco devota alla monarchia, accolse con calore i reali, in particolare Carducci, che nonostante fosse fieramente repubblicano fu positivamente colpito dalla regina, tanto da dedicarle un'ode intitolata Alla Regina d'Italia.
A Napoli, invece, un giovane anarchico di nome Giovanni Passanante, riuscito ad avvicinarsi alla carrozza del re e di Margherita, si scagliò contro Umberto con un pugnale, ma il sovrano riuscì prontamente a difendersi colpendolo con l'elsa della sciabola, aiutato anche dal Presidente del Consiglio Cairoli, rimasto ferito. Margherita, che aveva accanto il suo bambino, fu segnata profondamente da quella giornata, maturando ancor di più la convinzione dell'esigenza di una politica forte; Umberto mantenne invece la consueta calma apparente anche di fronte ad un fatto tanto grave e preoccupante, quasi rassegnato al proprio destino.
Si alimentò la tesi del complotto, conveniente per chi aveva avuto la colpa di permettere ad un attentatore di avvicinarsi al re con tanta facilità, ma presto si capì che Passanante aveva agito da solo. Il processo a cui fu sottoposto lo condannò all'ergastolo dato che il re aveva abolito la pena di morte.
L'episodio dell'attentato raffigurato su un giornale dell'epoca.
La residenza di Umberto e Margherita a Roma era il Quirinale, tuttavia il sovrano non amava il palazzo, così come era stato per suo padre e come sarà per suo figlio, il quale preferirà la più borghese villa Savoia.
Umberto, che sarà comunque il più assiduo al Quirinale tra i sovrani sabaudi, aveva trovato nella città di Milano e nel territorio lombardo il proprio ambiente d'elezione, scegliendo di soggiornare spesso alla villa Reale di Monza, probabilmente anche per ragioni di vicinanza con l'amante. Oggi la visita alla reggia progettata dall'architetto Giuseppe Piermarini riporta ancora il visitatore ai fasti del passato, ma allo stesso tempo lo avvolge in una sottile atmosfera di malinconia che inevitabilmente, a seguito del regicidio di Umberto, incombe su questo luogo tanto meraviglioso.
Nonostante la scelta di Monza come dimora prediletta, soprattutto nel periodo estivo, fu proprio durante l'età umbertina che il Quirinale divenne la corte più splendida e prestigiosa d'Europa, con balli, feste, pranzi e sontuosi ricevimenti, il tutto grazie a Margherita, intraprendente, dotata di sensibilità estetica, capace di circondarsi dei migliori artisti, poeti e intellettuali del tempo. A corte non poteva mancare ovviamente la buona cucina, con la tavola reale che divenne una vera e propria eccellenza.
Margherita amava moltissimo anche la musica, ricoprendo un ruolo fondamentale nell'introdurre la musica da camera nel nostro paese, ma recandosi spesso anche a teatro. Alla prima del Lohengrin di Richard Wagner a Roma sarà descritta con entusiasmo da d'Annunzio: «La Regina aveva un abito di broccato candido chiuso intorno al collo, molto semplice, e sui capelli alcune rose tee. In quella semplicità, le regali grazie luminavano più vive... Ascoltava con attenzione, un po' chinata verso il palcoscenico. Quando Lohengrin salì sul battello del Cigno, in mezzo alla luce mitica che gli percoteva nell'armatura d'argento, la Regina si levò ed apparve bellissima, erta di tutto il busto, plaudente. Guardandola, io mai come ieri sera sentii il fascino dell'eterno femminino regale».
Tanto sfarzo presso il Quirinale contrastava con le condizioni in cui versava il paese, nettamente diviso tra un Nord che viveva la rivoluzione industriale ed un Mezzogiorno, povero e arretrato, in preda ai fenomeni criminali.
Umberto sembrava sempre più malinconico, probabilmente segnato anch'egli, e forse ancor più rispetto alla consorte, dal tentato omicidio, lasciandosi andare a momenti di totale sconforto: «Essere re d'Italia è un mestiere che invecchia».
Le giornate del sovrano trascorrevano nella monotonia dei soliti impegni quotidiani, incontrando uomini politici, leggendo e firmando documenti. Decise di eliminare l'usanza di presiedere il Consiglio dei ministri, limitandosi a ricevere il Presidente del Consiglio al Quirinale due volte a settimana, come farà anche suo figlio Vittorio Emanuele con il non amato Benito Mussolini.
Ad allietarlo erano solamente i momenti di svago dedicati alla caccia e alla sua grande passione, quella per i cavalli, di cui possedeva bellissimi purosangue nelle scuderie.
Sul piano internazionale fu decisivo nel 1881 il viaggio a Vienna in visita all'imperatore Francesco Giuseppe. Anche questa volta assoluta protagonista fu Margherita, nonostante il difficile confronto con Sissi, la famosa principessa moglie dell'imperatore. Donna di raffinata cultura divenuta una vera celebrità dell'epoca, l'imperatrice aveva però un difetto, ossia un certo distacco dalla folla, apparendo poche volte in pubblico e con freddezza. Margherita seppe sfruttare il proprio consenso popolare con la gentilezza dei modi e la grazia nel presentarsi ai sudditi.
Questa volta anche Umberto ottenne un notevole successo, guadagnandosi la stima e la fiducia del più anziano Francesco Giuseppe, che lo riteneva decisamente migliore di suo padre. Il re d'Italia condividerà il triste epilogo con la principessa Sissi, anch'ella vittima di un attentato da parte di un anarchico italiano due anni prima del nostro sovrano.
La visita a Vienna non fu mai ricambiata al Quirinale, dove invece fu ospite per ben due volte l'imperatore tedesco, il Kaiser Guglielmo II, che qui vediamo seduto in primo piano accanto all'erede al trono d'Italia, alla sua sinistra. In piedi si riconosce Umberto, mentre Margherita è più in disparte alle spalle dell'imperatore.
Questi buoni rapporti porteranno alla firma, il 20 maggio 1882 a Vienna, della Triplice alleanza tra Italia, Germania e Austria. Fu un accordo segreto, che durò sino al patto di Londra del 1915, quando Vittorio Emanuele III decise per il passaggio dell'Italia dalla Triplice alleanza all'intesa con Francia e Inghilterra, senza metterne al corrente il Parlamento e il Paese, decretando l'ingresso del paese nella Prima guerra mondiale.
Umberto era soddisfatto, rassicurato, nell'eventualità di dover lasciare il trono al gracile erede, dall'appoggio di due governi forti, soprattutto quello di Berlino, guardando con maggiore fiducia ad un futuro nel quale incombevano comunque minacciosi i socialisti, i repubblicani e gli anarchici.
Margherita non poteva che condividere pienamente la scelta del marito, essendo filotedesca e avendo una visione assolutistica della monarchia. Si può allora capire il timore che avrà quando suo figlio sceglierà per la partecipazione alla Grande Guerra, un conflitto che secondo la regina madre avrebbe potuto causare l'avvento delle democrazie e decretare l'epilogo delle grandi dinastie.
Un'immagine della Triplice alleanza fra l'Italia di Umberto, la Germania di Guglielmo II e l'Austria di Francesco Giuseppe.
Nel 1884 una devastante epidemia di colera colpì la città di Napoli, con le cattive condizioni sanitarie che favorirono il proliferare del contagio. Umberto si precipitò aiutando personalmente i bisognosi, guadagnandosi in tale occasione l'appellativo di "Re buono". Celebre è la frase che pronunciò mentre si trovava a Pordenone, dove era stato allestito un ricevimento in suo onore: «A Pordenone si fa festa, a Napoli si muore. Andiamo a Napoli».
Umberto in un ritratto del 1884.
L'Italia dell'età umbertina conobbe un intenso sviluppo dal punto di vista architettonico per quanto riguarda i pubblici spazi urbani e le costruzioni di tipo celebrativo, di rappresentanza. In particolare fu Roma, nominata capitale, a cambiare decisamente aspetto, basti pensare alla realizzazione del Monumento a Vittorio Emanuele II, noto come Vittoriano o Altare della Patria, un'opera immensa, sintesi dell'unificazione nazionale, per fare spazio alla quale scomparvero alcune strade storiche della città eterna e i relativi quartieri. La conclusione dei lavori, cominciati nel 1885 con la posa della prima pietra da parte di Umberto, coincise con il cinquantesimo anniversario dell'Unità d'Italia, nell'anno 1911, regnante il figlio Vittorio Emanuele.
Il sovrano e l'erede al trono in una foto del 1893.
Nell'anno 1893 si festeggiarono le nozze d'argento di Umberto e Margherita, ricorrenza per la quale si riunirono a Roma i vari esponenti delle dinastie europee. Tra i tanti vi era anche il fratello della principessa Elena del Montenegro, rappresentante di un regno al tempo sconosciuto, la cui presenza stupì gli invitati alla cerimonia. Non si era infatti a conoscenza dell'imminente matrimonio fra Elena e Vittorio Emanuele, celebrato nel 1896.
A conclusione della giornata dedicata all'anniversario dei sovrani gli ospiti si recarono a teatro per assistere al Falstaff di Giuseppe Verdi, l'ultima opera dell'anziano compositore, chiamato sul palco reale da Umberto per essere applaudito, in un gesto elegante assai gradito dal pubblico in sala.
Un'altra grandissima personalità il cui nome è in qualche modo legato ad Umberto è il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche, il quale, coetaneo del sovrano venuto a mancare nello stesso anno, inviò al re d'Italia nel 1889 uno dei suoi cosiddetti "Biglietti della follia", brevi scritti destinati a celebri uomini dell'epoca durante gli anni della propria malattia mentale, trascorsi principalmente a Torino. Firmandosi come Nostro Signore, nel biglietto indirizzato a Umberto Nietzsche gli si rivolge chiamandolo figlio, forse riferendosi al loro simile aspetto, sembrando poi alludere al difficile rapporto tra Stato e Chiesa di quegli anni. Bisogna infatti tenere presente che nei primi anni della malattia il filosofo aveva ancora dei momenti di lucidità: «Al mio amato figlio Umberto. La mia pace sia con te! Martedì verrò a Roma e voglio vederti insieme a Sua Santità il Papa. Il Crocefisso».
A seguito del matrimonio dell'erede al trono cominciò un periodo di crisi profonda per la monarchia, segnato nuovamente da un attentato alla vita del sovrano avvenuto a Roma, presso l'ippodromo delle Capannelle, nella primavera del 1897, quando un anarchico di nome Pietro Acciarito si scagliò contro la carrozza del re, proprio come accaduto anni prima con Passanante. Anche questa volta Umberto fu svelto nell'intuire la volontà del giovane e nel ritrarsi balzando in piedi per schivare la pugnalata, constatando però amaramente che «Quando useranno le armi da fuoco, per me sarà finita». Nonostante l'accaduto, al quale il monarca reagì con la solita freddezza, la gara ippica si svolse ugualmente, mentre l'attentatore veniva arrestato per poi essere condannato all'ergastolo.
Durante l'interrogatorio Acciarito confessò immediatamente di aver agito per la mancanza di cibo, per la miseria nella quale era costretta a vivere la povera gente, dunque in segno di protesta contro i nobili che potevano permettersi di partecipare alle corse dei cavalli, a fastosi ricevimenti, vivendo in un'ostentazione del lusso quasi provocatoria.
A questa situazione nella quale vi era troppa ricchezza per pochi e troppa povertà per tanti, si aggiunsero delle carestie che negli ultimi anni del secolo non fecero che aumentare i malumori oltre che il prezzo della farina e del pane.
Il nuovo Primo ministro, Antonio di Rudinì, che aveva preso il posto di Francesco Crispi a seguito della fallimentare impresa coloniale in Etiopia culminata nella disastrosa battaglia di Adua, decise di ricorrere alle forze di polizia e all'esercito per fronteggiare la folla che si lamentava per la precarietà della propria condizione.
A Milano, nel maggio del 1898, il generale dell'esercito Fiorenzo Bava Beccaris ordinò di sparare colpi di cannone sui manifestanti. Il re, invece che condannare il gesto, premiò il suo comportamento conferendogli la Croce di Grand'Ufficiale dell'ordine militare dei Savoia, nominandolo inoltre senatore. La conseguenza di tale atteggiamento sarà il regicidio di due anni più tardi.
Il generale Bava Beccaris.
L'anarchico Gaetano Bresci, nato a Prato nel 1869, si trovava negli Stati Uniti, dove era emigrato, quando venne a conoscenza dei moti di Milano, decidendo di fare ritorno in patria con i pochi soldi che possedeva appositamente per uccidere il re. Sopprimere il sovrano quale simbolo di un autoritarismo violento di cui le cannonate di Bava Beccaris erano stati la massima espressione significava per il giovane aprire la strada ad un decisivo cambiamento, maturando tale decisione nella sua mente in completa autonomia, senza ricevere incarico alcuno, diviso tra la volontà di seguire i propri ideali ad ogni costo e la nera follia.
Umberto, che aveva lasciato Roma per trasferirsi a Monza dove trascorrere la stagione estiva presso la reggia, era all'epoca un uomo stanco che aveva perso popolarità, invecchiato precocemente, dimagrito per le insoddisfazioni quotidiane e stressato dalle molte preoccupazioni, incarnando perfettamente quello scetticismo e quella malinconica rassegnazione che Italo Svevo definiva negli stessi anni "senilità".
Sua Maestà Umberto I esce da palazzo Montecitorio.
Pur essendo schedato come sovversivo, Bresci poté osservare da lontano le abitudini del re, avvicinandosi indisturbato alla villa Reale, sino a quando la sera del 29 luglio arrivò l'occasione tanto attesa.
Umberto era stato invitato ad una manifestazione ginnica alla quale avrebbe dovuto premiare i vincitori, recandosi solamente in serata perché infastidito dalla tosse. Margherita, che avrebbe dovuto accompagnarlo, alla fine preferì rimanere in villa. Passate le nove il sovrano uscì con la sua carrozza, recandosi al campo sportivo dove si trattenne per circa un'ora trascorrendo un piacevole momento: «Fra questi giovanotti in gamba mi sento ringiovanire».
Era una serata afosa, per questo il re aveva chiesto una carrozza aperta, senza nemmeno indossare sotto il panciotto la maglia d'acciaio, accettando i rischi della propria condizione con un certo fatalismo.
Verso le ventidue e trenta, salutato dagli applausi degli atleti e dalle note della Marcia Reale, il sovrano si congedò salendo sulla carrozza circondata dalla gente. Bresci approfittò della confusione e della distrazione dei servizi di sicurezza per sparare quattro colpi di pistola, di cui tre centrarono il bersaglio. Nella concitazione generale il cocchiere partì al galoppo verso la reggia, mentre il re mormorava: «Avanti, credo di essere ferito». Quasi senza accorgersi di morire, arrivò alla villa ormai cadavere.
Intanto scoppiò un violento temporale d'estate e la regina Margherita vide entrare nel parco di villa Reale la carrozza a grande velocità. Capì immediatamente, anche perché da giorni aveva un continuo e non nascosto presentimento, esclamando in un grido di dolore: «Hanno ucciso te, che tanto amavi il tuo popolo. Questo è il più gran delitto del secolo». Restò a vegliare in preghiera tutta la notte accanto al marito esanime, compiendo la mattina seguente un gesto che dimostra tutta la sua regalità, lasciando entrare per un ultimo saluto la Litta, l'amante che il monarca aveva amato per tutta la vita.
Intanto si cercò di avvisare l'erede al trono,
che si trovava in viaggio a bordo di un panfilo con la moglie Elena. Precipitandosi nel rientrare in patria Vittorio Emanuele vi arrivò, di fatto, da sovrano, ispirando le parole di Gabriele d'Annunzio: «O tu che chiamato dalla morte, venisti dal mare. Giovane che assunto dalla morte fosti Re nel mare».
Il trentenne Vittorio Emanuele III presta giuramento a palazzo Madama.
Colpito e amareggiato dal regicidio, il poeta Giovanni Pascoli compose di getto l'inno Al Re Umberto, apparso su un settimanale e poi aggiunto all'edizione di Odi e inni del 1906. Nel luogo esatto dell'attentato al sovrano fu invece fatta costruire, per volontà di Margherita e di Vittorio Emanuele, la Cappella Espiatoria, opera dell'architetto Giuseppe Sacconi.
Bresci, celebrato come eroe da un giovane Benito Mussolini, sarà processato a Milano e condannato all'ergastolo, rinchiuso in una cella di isolamento dove nemmeno un anno più tardi lo trovarono impiccato ad una inferriata. Le circostanze del decesso destarono però, sin da subito, non poche perplessità, lasciando pensare ad un'esecuzione piuttosto che al suicidio.
La tomba di Umberto al Pantheon vicino a Margherita.
Le esequie di Umberto si tennero al Pantheon, dove fu sepolto di fronte al padre Vittorio Emanuele. L'atmosfera in cui si svolsero fu però totalmente diversa rispetto a quelli del "Padre della Patria", come se la paura e lo sbigottimento per un atto così drammatico avessero ormai preso il sopravvento tra la gente, che comunque partecipò numerosa e sinceramente commossa alla cerimonia.
Il regicidio può allora davvero essere considerato come uno spartiacque nella storia del nostro paese, un momento che segnò la fine di un'epoca, di un secolo, aprendo le porte ad un tragico periodo
in cui nacquero movimenti populisti, ideologie nazionaliste come il fascismo che seppero capire le paure e fomentare l'odio, sino ad arrivare ai due grandi conflitti mondiali che funestarono la prima metà del Novecento.
La regina madre Margherita e il figlio Vittorio Emanuele nel 1924 mentre escono dal Pantheon dopo la visita alla tomba di Umberto.
Note
La fotografia della reggia di Monza è stata scattata durante la mia visita nel giugno 2021, mentre quella della tomba al Pantheon nel giugno 2022.
Bibliografia
- Il re e Margherita - Silvio Bertoldi - Rizzoli
- Il Savoia che non voleva essere re - Paolo Pinto - Piemme
- I Savoia. Novecento anni di una dinastia - Gianni Oliva - Mondadori
- Savoia. Album dei re d'Italia - Silvio Bertoldi (a cura di) - Rizzoli
- Cuore - Edmondo De Amicis (introduzione di Vittorio Spinazzola) - BUR