Raffaello e Stendhal
La Stanza della Segnatura
Nell'estate dell'anno 1508 l'allora pontefice Giulio II della Rovere, illuminato mecenate delle arti, chiamò a Roma il fiorentino Michelangelo Buonarroti, già conosciuto in città per il capolavoro della Pietà e in patria per il monumentale David, e l'ancora giovanissimo Raffaello Sanzio, formatosi ad Urbino osservando Pietro Perugino e Piero della Francesca. Intenzionato a riportare Roma ai fasti dell'antichità, il papa diede così inizio al momento più alto del Rinascimento e dell'intera storia universale dell'arte, uno splendore che si può comprendere solamente recandosi all'interno della Cappella Sistina o delle Stanze Vaticane.
Scrive Stendhal:
«Nel 1508, Raffaello, a venticinque anni d'età, arrivò a Roma; figuratevi l'entusiasmo che la vista della Città eterna deve aver suscitato in quell'animo tenero, generoso e tanto amante del bello! [...] Lo incaricarono di dipingere le Stanze del Vaticano; in pochi mesi fu considerato da tutta Roma il più grande pittore che fosse mai esistito».
Raffaello nel celebre Autoritratto della Galleria degli Uffizi datato intorno 1505 e Stendhal in un ritratto del 1840 custodito presso la Reggia di Versailles.
Le Stanze, che oggi portano il nome del loro autore, furono realizzate da Raffaello in un arco temporale che si colloca fra il 1508 e il 1520, anno della sua morte, per poi essere portate a termine dagli allievi della sua bottega a causa della precoce scomparsa del maestro.
Adibite ad appartamenti privati di Giulio II, il quale non voleva abitare nelle stanze del suo odiato predecessore, lo spagnolo Alessandro VI Borgia, furono poi continuate sotto il pontificato di Leone X Medici, altro grande committente del Sanzio.
Cuore dello splendore di Roma agli inizi del Cinquecento e del percorso dei Musei Vaticani è la meravigliosa Stanza della Segnatura, la biblioteca del papa, che permise a Raffaello di mostrare tutto il suo sapere ed il suo genio, imponendosi come il maestro dei maestri, rendendo questo piccolo luogo vera e propria "scuola del mondo" per generazioni di artisti rimasti affascinati e senza fiato al cospetto di tanta bellezza e perfezione. Entrarvi rileggendo le sublimi pagine di Passeggiate romane di Stendhal può restituirci ancor di più la sensazione, che è unica dei capolavori, di trovarci dinanzi alla storia, allo scorrere dei tempi, ripercorrendo un filo rosso che dall'inizio del Rinascimento ci porta, grazie a Stendhal, nella prima metà dell'Ottocento sino ad arrivare ai nostri giorni con chi ha ancora la sensibilità di stupirsi di fronte a questi capolavori, emblema dell'eternità della bellezza.
Interessante è la testimonianza che troviamo nelle Vite di Giorgio Vasari, riportata anche da Stendhal, che ci ricordano la presenza, prima dell'arrivo di Raffaello, di preziose decorazioni quattrocentesche che al tempo ornavano questi luoghi, opera di Piero della Francesca, Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta, tutte andate perdute quando il pontefice, accortosi della genialità dell'Urbinate, decise di rinnovare completamente i propri appartamenti, affidando l'incarico al solo Raffaello. Fu una scelta coraggiosa quella del papa, già capace di decisioni importanti come quella di pochi anni prima, vale a dire la completa ricostruzione della basilica di San Pietro. Sebbene la perdita di notevoli capolavori possiamo così dire oggi di avere, grazie a quella decisione, ritenuta azzardata al tempo, le Stanze più belle di tutta la pittura mondiale.
Il primo affresco a cui si dedicò l'artista, coadiuvato dalla sua bottega, fu la Disputa del Sacramento, «prima opera di Raffaello in Vaticano» e quella che «meglio illustra il talento di Raffaello», secondo Stendhal: summa teologica capace di rendere visiva un'idea, ancor di più un mistero, perché la nobiltà delle discipline umanistiche è proprio quella di essere l'ombra del divino sulla terra, di accarezzare le profondità più recondite dell'animo umano, portandolo alla dolce consapevolezza dell'esistenza di qualcosa di più grande, qualcosa che a fatica riusciamo a contenere nella nostra mente, ma di cui capiamo di appartenere in eterno. Raffaello riuscì qui nell'impresa di rappresentare con estrema chiarezza quello che è il concetto teologico a noi più inspiegabile, impossibile da riferire a parole, ossia il mistero del Verbo incarnato. Dinanzi all'eterno, attorno alla Trinità, vediamo una serie di santi e dottori della Chiesa, mentre più in basso alcuni grandi personaggi dell'umanità, smarriti ed attoniti, cercano invano delle risposte nei libri che hanno in mano.
Così Stendhal:
«Raffaello intraprese la pittura della Disputa del Santo Sacramento. Doveva raffigurare un gran numero di personaggi importanti, paladini del cristianesimo, intenti a meditare o a disputare sul mistero della Trinità. Si distinguono, ai lati di un altare su cui è esposta l'eucarestia, i quattro grandi dottori della Chiesa, Agostino, Gregorio, Girolamo e Ambrogio. Poi vengono i teologi celebri. [...] Più in là, una folla di giovani sembra apprendere da costoro cosa si debba credere riguardo a quei misteri, sui quali è tanto rischioso ingannarsi. Nella parete superiore, si scorgono Gesù, tra la Madonna e san Giovanni, e a fianco san Pietro, san Paolo e santo Stefano, che fu il primo a morire per il Salvatore. Lo Spirito Santo appare sotto forma di colomba; nell'alto dei cieli, si vede il Padreterno attorniato da angeli di una bellezza sublime.
Si ritrovano molte tracce del Perugino in questa prima grande opera del suo allievo. Anziché rappresentare l'oro con i colori, Raffaello, fuorviato dalle idee di ricchezza che nella mentalità popolare sono così affini all'idea di bellezza, impiegò oro vero per le aureole dei santi e i raggi della gloria di Dio Padre. [...]
Si pensa che questo affresco sia stato terminato nel 1508. Giulio II ne fu talmente colpito che ordinò su due piedi ai muratori di distruggere a martellate gli affreschi eseguiti in quella stanza dai pittori che abbiamo citato. Giulio II volle che tutti i dipinti delle sale fossero di Raffaello».
Aggiunge più avanti lo scrittore francese su Raffaello:
«Quel grand'uomo riesce a rendere aggraziati persino dei teologi impegnati in una disputa. Ci voleva del genio per creare una grazia del genere! un misto di persuasione, dolcezza, candore. Diversi volti di giovani vescovi ci piacciono molto. Peccato che Raffaello non abbia dipinto le tragedie di Shakespeare! dicevamo ieri».
Di fronte alla Disputa del Sacramento, nell'altra parete principale della stanza, ecco la celeberrima Scuola di Atene, «riunione ideale di tutti i filosofi dell'antichità», sintesi della cultura umanistica in quanto assemblea dei più grandi pensatori ritratti con le fattezze di artisti contemporanei, tutti riuniti in un ambiente ideale, una prefigurazione della nuova basilica di San Pietro progettata da Donato Bramante. Proprio l'architetto, determinante per l'arrivo a Roma di Raffaello, è raffigurato in basso a destra come Euclide, chinato a terra intento a spiegare un teorema ai suoi discepoli.
All'estrema destra del dipinto troviamo invece l'autoritratto di Raffaello, raffigurato al fianco di un artista attorno al cui nome gli studiosi hanno fatto diverse ipotesi. Secondo Stendhal: «A destra, in un angolo, i ritratti di Raffaello e del Perugino, suo maestro». Le fattezze dell'enigmatica figura sembrano però ricordare maggiormente il Sodoma, pittore che aveva lavorato alla decorazione di gran parte della volta poco prima dell'arrivo dell'Urbinate, il quale avrebbe voluto omaggiare un suo predecessore a testimonianza di quella sensibilità fuori dal comune di cui narrano i biografi. L'ultima possibilità è che Raffaello, intenzionato, come suppone Stendhal, a ritrarsi al fianco di una figura determinante per la sua vita artistica, si sia posto vicino a quello che fu il suo primo vero maestro, vale a dire suo padre Giovanni Santi, organizzatore culturale nel prestigioso Ducato di Urbino di Federico da Montefeltro e allo stesso tempo primo sostenitore della brillante carriera del figlio.
Protagonisti della composizione, al centro della perfetta prospettiva, sono Platone, che ha le fattezze di Leonardo da Vinci, maestro di Raffaello, e Aristotele, il cui volto dovrebbe essere quello di Bastiano da Sangallo.
Platone ha il dito rivolto verso l'alto ad indicare il cielo, il Bene, a cui è rivolta la sua filosofia, mentre Aristotele tende la meno verso terra, alludendo alla concretezza del suo pensiero.
«La scena si svolge sotto il portico di un grande edificio adorno di statue e bassorilievi. Su uno spiazzo rialzato, collocato a una certa distanza dallo spettatore e al quale si accede tramite una serie di gradini, si scorgono Aristotele e Platone (ossia la Ragione e l'Immaginazione). Quei due grandi personaggi possono essere considerati gli iniziatori delle due spiegazioni delle cose esplicabili, una delle quali fa presa sugli animi sensibili e l'altra sulle menti affilate».
Conclude la scena, in primo piano, la figura solitaria e pensierosa di Eraclito, nel cui volto si scorgono le fattezze del grande rivale di Raffaello, il Buonarroti, il cui ritratto sarebbe stato aggiunto dall'Urbinate dopo aver potuto contemplare i capolavori della volta della Sistina, come testimonia anche la corporatura muscolosa di Eraclito, che richiama lo stile di Michelangelo, in uno dei più celebri omaggi della storia dell'arte.
L'ultimo affresco della Stanza della Segnatura, che unisce in una soave armonia arte e letteratura, proprio come le pagine di Stendhal, è il Parnaso, di cui il francese ricorda come fosse lo stesso Ariosto a dare consigli a Raffaello per sua composizione. Bisogna dunque immaginarsi questo contesto squisitamente intellettuale in cui il geniale pittore lavorava a fianco di cortigiani e poeti, quali l'Ariosto, su commissione di un pontefice, Giulio II, ben consapevole di come l'esistenza terrena potesse essere consolata, oltre che dalla fede cristiana, dalla bellezza, ed in particolare dalla poesia, espressione del divino nel mondo.
Sulla sommità del monte, Febo Apollo è raffigurato mentre allieta le Muse con la sua lira, circondato dai più importanti pittori di ogni tempo, dal cieco Omero a sinistra, dietro al quale vediamo Dante e Virgilio, per arrivare a destra sino allo stesso Ariosto e a Giovanni Boccaccio. In primo piano, a testimonianza della sensibilità dell'artista, notiamo una poetessa, Saffo di Lesbo, autrice delle prime rime amorose della storia.
«Apollo vi appare circondato dalle Muse; ci sono alcune piante di alloro che, mi pare, dovrebbero essere più grandi e fare ombra, il che avrebbe comportato un bell'effetto di chiaroscuro. [...] Si scorgono, accanto alle Muse, l'anziano Omero dal volto ispirato e Dante che, incoronato di alloro e avvolto in un mantello rosso, sembra guidato da Virgilio. [...]
A sinistra dello spettatore, Saffo, seduta, regge un libro dove sta scritto il suo nome; è rivolta verso un gruppo composto da quattro figure. Vi compaiono Petrarca e madonna Laura, che raffigura Corinna».
La poesia esiste, sembra dichiarare Raffaello, perché le corde più intime dell'anima dei poeti sono accarezzate dal dolce suono della lira del dio, che profonde il suo spirito per l'eternità; noi tutti, oggi, uscendo dalla Stanza della Segnatura, possiamo aggiungere che la bellezza esiste perché è esistito Raffaello.
Bibliografia
- Passeggiate romane - Stendhal - Feltrinelli
- Raffaello in Vaticano - Antonio Paolucci - Giunti
- Raffaello - Claudio Strinati - Giunti
- La Roma dei Papi. Il Rinascimento - Claudio Strinati - Giunti
- Raffaello. La Scuola di Atene - Marco Carminati - 24 ORE Cultura