Luca Signorelli

Fu Luca persona d'ottimi costumi, sincero et amorevole con gl'amici, e di conversazione dolce e piacevole con ognuno, e soprattutto cortese a chiunche ebbe bisogno dell'opera sua e facile nell'insegnare a' suoi discepoli. Visse splendidamente e si dilettò di vestir bene; per le quali buone qualità fu sempre nella patria e fuori in somma venerazione.

Descrive così Giorgio Vasari nelle Vite la figura di Luca Signorelli, uno dei maggiori esponenti dell'arte rinascimentale, studiato da due giganti della generazione a lui successiva come Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio. Il Signorelli, infatti, "destò l’animo a tutti quelli che sono stati dopo lui", continua sempre il Vasari.

Nato a Cortona, in provincia di Arezzo, nel 1450 circa, studiò ad Arezzo presso la prestigiosa bottega di Piero della Francesca e in seguito in quella di Andrea del Verrocchio. Così Vasari: "Fu costui creato e discepolo di Pietro dal Borgo a Sansepolcro, e molto nella sua giovanezza si sforzò d’imitare il maestro, anzi di passarlo".

Presso la Pinacoteca di Brera di Milano si può notare, in quelli che sono i suoi primi lavori giovanili, l'influenza compositiva e tematica di Piero della Francesca. È il caso dello Stendardo della Flagellazione, anticamente dipinto su due lati, oggi separati, con la Flagellazione, appunto, per la quale fu determinante l'enigmatico capolavoro del maestro di Sansepolcro, e la Madonna del Latte in gloria.

Il primo dipinto è ambientato in uno spazio classicheggiante, con Gesù alla colonna, alla cui cima si nota la statua di una divinità pagana così come nell'opera di Piero della Francesca. I flagellanti sembrano quasi danzare, tecnica utilizzata per porre in risalto la muscolatura dei corpi. Il Signorelli era infatti molto attento, così come lo sarà il Buonarroti, alla raffigurazione del nudo, alla perfezione del corpo umano. Afferma il Vasari: "nell’opere che fece di pittura, mostrò il modo di fare gl’ignudi, e che si possono sì bene con arte e difficultà far parer vivi".
Pilato è posto in trono alla destra di Cristo e appare, al contrario del dipinto di Piero della Francesca, un uomo distratto, quasi assente, reso in maniera caricaturale intento a giocare col suo bastone.

Flagellazione di Cristo (dettaglio) - Piero della Francesca - 1453 circa

La Madonna del Latte, invece, sembra risentire dello stile solenne e soprattutto umano, dolce, di Bartolomeo della Gatta, pittore conosciuto dal Signorelli in età giovanile presso la bottega del Verrocchio, col quale collaborerà in un affresco della Cappella Sistina.
Caratterizzato da un'attenta cura dei dettagli, vede la Vergine scostare il proprio vestito per offrire il seno al Bambino, posto in grembo, che chiede il latte guardando verso l'osservatore.

La fase giovanile della carriera del Signorelli vede il suo compimento nel ciclo di affreschi dipinti, tra il 1477 e il 1480, nella sagrestia di San Giovanni, o della Cura, della basilica di Loreto, commissionata da un nipote di papa Sisto IV, pontefice che lo chiamerà più avanti a Roma. La sagrestia presenta una pianta a base ottagonale e una cupola divisa in otto spicchi in cui l'artista raffigura i quattro evangelisti e i quattro dottori della Chiesa. Sopra ogni santo vi è un angelo musicante che emana una luce radiosa. Lo splendore è ulteriormente accentuato dalla luce naturale proveniente dalla finestra sottostante.

Sulle pareti della sagrestia vi sono infine le scene dell'Incredulità di San Tommaso, la Conversione di San Paolo, oltre che dieci apostoli. Nella figura del Cristo che mostra il suo costato a Tommaso ritroviamo lo stesso volto della Flagellazione. È una delle scene più significative dei vangeli, una delle più umane, che riguarda la fede di ognuno di noi.
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò».
Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!»

Il 1482 fu un anno fondamentale per la vita di Luca Signorelli, chiamato a lavorare da papa Sisto IV nella Sistina insieme ai migliori pittori dell'epoca, in quella che sarebbe diventata la cappella più celebre della storia dell'arte. Qui Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e Cosimo Rosselli ebbero la loro sfida più grande. Il Signorelli arrivò un anno dopo l'inizio dei lavori, cominciati nel 1481, insieme a Bartolomeo della Gatta, probabilmente in sostituzione del Perugino, impegnato in altre commissioni.
Con Bartolomeo della Gatta lavorò all'affresco Testamento e morte di Mosè, elogiato dal Vasari come uno dei migliori della cappella.
L'opera, che mostra in varie scene gli ultimi episodi della vita di Mosè, riconoscibile dalla veste dorata e il mantello verde, è situata sulla parete di sinistra entrando dalla porta principale, dalla parte opposta rispetto all'ingresso del percorso dei Musei Vaticani, dove vi sono raffigurate appunto le Storie di Mosè. Sulla parete opposta, invece, si vedono le Storie di Gesù, a dimostrazione della concordanza tra la vita di Mosè e quella di Cristo, i due legislatori.
Lo stile pittorico lascia pensare che il dipinto sia in massima parte opera di Bartolomeo della Gatta, anima sensibile e religiosa che dipinse per esempio i due bambini in primo piano e l'affettuosa donna che stringe tra le braccia il figlio. Del Signorelli dovrebbero essere quasi sicuramente l'elegante donna col bimbo sulle spalle, il giovane di spalle al centro, l'ignudo seduto alla sua sinistra, infine l'uomo anziano appoggiato al suo bastone vicino al trono del patriarca.

Sulla parete d'ingresso della cappella vi sono raffigurati i due episodi conclusivi delle Storie di Mosè e di Gesù: la Resurrezione di Cristo e la Disputa sul corpo di Mosè. I due affreschi furono eseguiti rispettivamente da Ghirlandaio e Signorelli, ma furono purtroppo distrutti a causa di un crollo nel 1522. L'opera del Signorelli venne sostituita durante il pontificato di Gregorio XIII con una riproduzione realizzata da Matteo da Lecce.
A seguito dell'esperienza romana, a contatto con i grandi professionisti umbri e toscani, il Signorelli era ormai divenuto uno dei principali esponenti dell'arte italiana. Insieme a Pietro Perugino realizzò tra il 1483 e il 1485 una Crocifissione oggi custodita alla Galleria degli Uffizi.
Cristo è circondato da diverse figure; chinata a toccare i suoi piedi vi è Maria Maddalena, sul cui bordo della veste è stata trovata la firma nascosta del Signorelli, mentre a sinistra vi sono San Girolamo, col consueto leone con cui è sempre raffigurato, e San Francesco. A destra vi è Giovanni Battista e alle sue spalle il beato Giovanni Colombini, fondatore dell'ordine religioso dei Gesuati, i quali si ispiravano alla spiritualità di San Girolamo. L'opera era infatti stata dipinta per il convento di San Giusto degli Ingesuati di Firenze.

Tutte le esperienze accumulate dal Signorelli sino a qui vengono riassunte nella Pala di Sant'Onofrio, dipinta per il Duomo di Perugia nel 1484. Ciò che non viene detto, il silenzio, caratteristica fondamentale nella pittura di Piero della Francesca, è il protagonista dell'opera. È il segreto supremo custodito nell'anima di ognuno, nei loro sospiri, nella bellezza dei fiori recisi nel bicchiere in primo piano che vengono tenuti in vita dall'acqua. Le figure non hanno bisogno dunque di parlare; essi si fanno custodi di un significato che va oltre la realtà e tutto ciò che dovrà accadere è solo pensato, letto, rimandato.
Ai lati di Maria, posta in trono al centro con il Bambino mentre legge il libro delle Sacre Scritture, vi sono San Giovanni Battista e San Lorenzo, sopra i quali vediamo due angioletti. Sotto, Sant'Onofrio, appoggiato al suo bastone, si rivolge alla Vergine, mentre Sant'Ercolano è impegnato nella lettura. Essi sono i protettori della città di Perugia. Al centro, ai piedi della Madonna, è seduto un angelo impegnato nell'accordare un liuto. La figura monumentale di Maria rimanda nuovamente a Piero della Francesca, mentre i personaggi di sinistra sono un omaggio al Perugino, basti confrontare Giovanni Battista con il San Sebastiano dell'artista umbro. Il paesaggio dello sfondo è essenziale, appena abbozzato, perché è al centro che vi è tutto. È questo un altro dettaglio che fa di quest'opera dallo stile sottile e raffinatissimo uno dei capolavori del Signorelli.

La Natività di Giovanni Battista doveva essere con molta probabilità la predella della Pala di Sant'Onofrio, cioè la tavola rettangolare posta come base del dipinto. La principale novità dell'opera è la luce che entra dalla porta di sinistra ad illuminare la scena. Un uomo si affaccia proiettando una lunga ombra a terra, ancora con la mano sul battente come ad entrare in un'altra dimensione. L'anziana Elisabetta ha appena partorito e consegna tra le mani di una levatrice il piccolo Giovanni. A destra vediamo un'altra donna che si sta occupando della preparazione del bagnetto, mentre seduto in primo piano vi è Zaccaria, il padre del neonato, che, diventato muto per non aver creduto all'annuncio divino che gli profetizzava la nascita di un figlio, sta scrivendo il nome da dare al bambino.

La Madonna col Bambino tra ignudi degli Uffizi, realizzata tra il 1485 e il 1490, si può facilmente accostare al celebre Tondo Doni di Michelangelo, realizzato qualche anno dopo e sempre visitabile alla galleria fiorentina. La critica ha individuato nell'opera del Signorelli il riferimento diretto utilizzato dal Buonarroti, amico, tra l'altro, di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, il committente della Madonna di Luca Signorelli, oltre che della Primavera e della Nascita di Venere di Botticelli.
Come nel Tondo Doni, si nota la presenza di alcuni giovani seminudi alle spalle di Maria, la quale sembra giocare col piccolo Gesù. In entrambi i casi si tratta di uomini in attesa di essere battezzati dal figlio di Dio.
Il Signorelli ebbe l'idea particolare di inquadrare la scena come se stessimo guardando attraverso un oculo di una parete marmorea. Il paesaggio presenta il motivo dell'arco naturale che inquadra una veduta di edifici classici, rimandando allo stile di Leonardo, così come la presenza di numerose varietà di fiori in primo piano a fare da giardino ai protagonisti. A sinistra si intravede infine la natura che si impossessa delle rovine, riferimento ad una tradizione pagana ormai decaduta.

Datata 1490 la Circoncisione di Londra è ambientata entro un abside che richiama quello illusorio di Donato Bramante nella Chiesa di Santa Maria presso San Satiro a Milano, ma anche quello pittorico della Pala di Brera di Piero della Francesca con la calotta a forma di conchiglia. La scena è sviluppata intorno al Bambino in maniera teatrale, con i santi consapevoli di essere stati scelti da Dio come testimoni dell'evento. Straordinario è il dettaglio delle pagine del libro in primo piano mosse da una lieve brezza divina.

Questo particolare sembra un riferimento al capolavoro dell'Annunciazione di Leonardo, datata 1472 e custodita agli Uffizi, con la Vergine che tiene col dito il segno sul libro, interrotta nella lettura dall'arrivo dell'angelo che, appena atterrato, genera uno spostamento d'aria che muove le pagine e sorprende Maria.

Lo stesso episodio è rappresentato anche dal Signorelli, nella sua Annunciazione realizzata a Volterra intorno al 1491. L'opera denota la piena maturità stilistica dell'artista e presenta un'idea originale e bellissima. Maria è posta sotto un portico, colpita e forse spaventata dall'arrivo dell'arcangelo, come testimonia il libro a terra sfuggitole dalle mani. Dio, in alto a sinistra, circondato in cielo da una schiera di putti e immerso nella luce, è posto in un ovale che richiama il ventre materno, facendosi Lui stesso uomo per mezzo della giovane ragazza, concepita di Spirito Santo.
La perfetta prospettiva rimanda alla cultura urbinate e in particolare alle opere del maestro Piero della Francesca, si veda per esempio la sua Annunciazione, ma anche quelle di Bartolomeo della Gatta, di cui, come detto, fu collaboratore.

Il Giudizio universale

Onde io non mi maraviglio se l’opere di Luca furono da Michelagnolo sempre sommamente lodate, né se in alcune cose del suo divino Giudizio, che fece nella cappella, furono da lui gentilmente tolte in parte dall’invenzioni di Luca, come sono Angeli, demoni, l’ordine de’ cieli et altre cose, nelle quali esso Michelagnolo immitò l’andar di Luca, come può vedere ognuno.

Il Vasari si riferisce in queste parole al ciclo di affreschi più importante realizzato dal Signorelli tra il 1499 e il 1502 nella Cappella Nova, o di San Brizio, nella cattedrale di Orvieto. Con il suo Giudizio universale l'artista divenne il precursore del Michelangelo della Cappella Sistina, cercando di stabilire tra gli storici dell'arte un'ideale simmetria che voleva il Signorelli e il Perugino come maestri dei due geni pittorici del Rinascimento, Michelangelo e Raffaello.

Nei dipinti si trovano riferimenti tratti dalla lettura della Commedia di Dante, opera che sarà imprescindibile anche per il Buonarroti. Proprio un ritratto del Poeta si vede nel basamento della cappella, nel ciclo di personaggi illustri del passato.

Nella parete del Finimondo, quella d'ingresso, divisa in due gruppi narrativi, vediamo nella parte destra in basso il profeta e la sibilla che preannunciano l'Apocalisse, mentre a sinistra degli eventi sovrannaturali come l'arrivo di mostruosi demoni alati dalle cui bocche si sprigionano saette di fuoco che colpiscono le persone terrorizzate.

Vi sono poi le Storie dell'Anticristo, poste ad inaugurare gli accadimenti del Giudizio nel primo dipinto a sinistra dell'ingresso. La rappresentazione di questa leggenda è un caso unico nell'arte italiana, che si può trovare però nelle parole profetiche del Vangelo di Matteo: "molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno. Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine. Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi; ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori. Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome. Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda. Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti; per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà. Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato".

Al centro della composizione l'Anticristo ha i tratti simili a quelli di Gesù, ma è un diavolo, Mozzaym, a muovere le sue azioni, suggerendogli quello che deve dire alla gente. Alla base del basamento su cui il seduttore sta parlando vi sono dei tesori offerti dai seguaci già corrotti dalle sue parole.

All'estrema sinistra vediamo l'autoritratto dell'artista che appare, come descritto dal Vasari, un uomo di bella presenza sui cinquant'anni, al cui fianco vi è il Beato Angelico, con l'abito domenicano, il pittore che aveva cominciato nel 1447 il lavoro di decorazione della volta lasciato però incompiuto e proseguito dal Signorelli.

A destra dell'ingresso si trova invece la Resurrezione della carne, in cui uomini di ogni epoca storica ritornano in vita sotto gli squilli delle trombe di due angeli, ciascuno nel suo corpo in splendide giovani membra, rese in modo straordinario dall'autore, attentissimo, come si è detto, nella raffigurazione dell'anatomia umana.

Dettagli del Giudizio michelangiolesco.

I morti spuntano da un terreno bianco e liscio che sembra ghiaccio; a destra un giovane di spalle appare come dialogare con gli scheletri, mentre dalla parte opposta i risorti improvvisano una danza. Alcuni ignudi, come quello con le mani ai fianchi, erano in origine coperti nelle parti intime da un velo, col tempo divenuto invisibile, mentre qualcuno al centro ancora lo preserva.

Nella lunetta dell'altare i reprobi sono separati dai beati e indirizzati verso il regno degli inferi o quello salvifico del cielo. Nella parte di destra sono evidenti i riferimenti danteschi; si notano infatti un gruppo di ignavi rincorrere uno stendardo bianco, il traghettatore Caronte al centro e più in basso il giudice Minosse.

Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi all’altra riva nelle tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo». 

Inferno, Canto III, vv. 82 - 87

Confronto con l'opera del Buonarroti.

Il secondo affresco sulla parete di destra mostra i Dannati all'Inferno ed è il primo ad essere stato dipinto, oltre che uno dei più riusciti. La scena concitata rapisce lo sguardo dello spettatore; in basso i corpi umani nudi e i demoni dalle membra colorate danno vita a una drammatica lotta a cui assistono con la calma dei vincitori gli arcangeli in armatura.
Una donna, al centro della colluttazione, è aggredita alle spalle da un demonio che le morde l'orecchio, mentre più avanti un'altra viene sollevata e portata via contro la sua volontà da un demone blu con un corno in fronte. Quest'ultimo dovrebbe essere un autoritratto dell'artista che evidentemente si riferì a una propria relazione finita male, probabilmente tradito; lo stesso volto femminile torna infatti in altre dannate.

È il caso per esempio della donna al centro della composizione sulle spalle di un diavolo alato che, in uno dei dettagli più famosi, è girato verso di lei ghignando, evidentemente soddisfatto della preda.

A sinistra si conclude il ciclo coi Beati in Paradiso in un clima sereno allietato dal concerto degli angeli. A livello pittorico vengono esaltate le anatomie, tuttavia si ha la sensazione che la composizione sia meno riuscita rispetto all'affresco frontale raffigurante la concitazione e la sofferenza dei dannati.

Nelle Vite il Vasari afferma che nel 1502 Signorelli perse il suo amatissimo figlio Antonio nel fiore degli anni a causa della peste che afflisse Cortona. Sconvolto dalla perdita il pittore decise di ritrarre con tutte le sue forze quel corpo morto; sarebbe stato il suo modo di dargli vita eterna attraverso l'arte:
"Dicesi che essendogli stato occiso in Cortona un figliuolo che egli amava molto, bellissimo di volto e di persona, che Luca così addolorato lo fece spogliare ignudo e con grandissima constanza d’animo, senza piangere o gettar lacrima lo ritrasse, per vedere sempre che volesse, mediante l’opera delle sue mani quella che la natura gli aveva dato e tolto la nimica fortuna".

È per questo motivo che negli ultimi lavori maturi dell'artista troviamo un partecipato trasporto, una forte emozione privata. Per esempio nel Compianto sul Cristo morto, datato proprio 1502 e conservato al Museo diocesano di Cortona, il corpo di Gesù è quello del giovane Antonio e proprio per questo così carico di sentimento. La sofferenza del pittore è infatti la stessa, atroce, di Maria, in ginocchio quasi priva di sensi dietro al capo di suo figlio.

È questa la vita di Luca Signorelli, morto il 16 ottobre 1523 nella sua città, "ne’ suoi tempi tenuto in Italia tanto famoso e l’opere sue in tanto pregio, quanto nessun’altro in qualsivoglia tempo sia stato già mai", dice Vasari, precursore e ispiratore fondamentale di Michelangelo.
Circa venticinque anni dopo l'impresa della volta in cui aveva studiato e riconosciuto come maestri i suoi predecessori quattrocenteschi, tra cui per esempio il Ghirlandaio, il Buonarroti non ebbe dubbi, infatti, dinanzi alla parete del Giudizio, nel prendere esempio dall'opera del pittore da Cortona, uno dei veri protagonisti del Rinascimento.