Il Sommo Poeta

DI MARCO CATANIA

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Bartolomeo della Gatta

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A partire dall'estate dell'anno 1481 sino al 15 agosto 1483, giorno dell'Assunta, i più grandi pittori umbri e toscani furono chiamati a Roma da Sisto IV per affrescare le due pareti laterali della Cappella Sistina. Qui Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio, Sandro Botticelli e Cosimo Rosselli ebbero la loro sfida più importante, ossia lavorare per il papa in quella che sarebbe divenuta la cappella più famosa della storia delle arti grazie ai loro interventi e a quelli cinquecenteschi di Michelangelo Buonarroti.
Ognuno di questi maestri portò con sé la propria squadra, gli allievi della loro bottega, alcuni dei quali collaborarono personalmente alle opere, avendo il privilegio, come nel caso di Biagio d'Antonio, di dipingere anche un intero quadro, in questo caso il Passaggio del Mar Rosso, sebbene l'attribuzione sia incerta.
Nel 1482, in sostituzione del Perugino, probabilmente chiamato a Firenze per un'altra commissione, subentrarono Luca Signorelli e Bartolomeo della Gatta, che lavorarono all'affresco Testamento e morte di Mosè, elogiato dal biografo e critico aretino Giorgio Vasari come uno dei migliori della cappella.
L'opera, che mostra in varie scene gli ultimi episodi della vita di Mosè, riconoscibile dalla veste dorata e il mantello verde, è situata sulla parete di sinistra entrando dalla porta principale, dalla parte opposta rispetto all'ingresso del percorso dei Musei Vaticani, dove vi sono raffigurate appunto le Storie di Mosè. Sulla parete opposta, invece, si vedono le Storie di Gesù, a dimostrazione della concordanza tra la vita di Mosè e quella di Cristo, i due legislatori.
Per Bartolomeo della Gatta, pittore e miniatore nato a Firenze nel 1448, fu il momento più alto della sua carriera, in cui poté mettere in mostra le tecniche apprese in età giovanile, quando frequentava una delle botteghe più prestigiose dell'epoca, quella di Andrea del Verrocchio, dove conobbe Leonardo da Vinci, ma anche gli insegnamenti di Piero della Francesca e Donato Bramante, conosciuti mentre si trovava tra Arezzo e Urbino, soggiorni fondamentali in luoghi che rappresentano il cuore della pittura italiana del XV secolo.

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Sicuramente riconducibili a Bartolomeo - anima sensibile e religiosa che prese i voti divenendo monaco camaldolese, il cui soprannome "della Gatta" deriverebbe dall'amore per questi animali - sono i due bambini che vediamo in primo piano, nonché l'affettuosa donna che stringe tra le braccia il suo bambino. È un'immagine di maternità tra le più dolci della storia dell'arte, prodigio di tenerezza che sembra anticipare le splendide Madonne di Raffaello Sanzio, riflettendo la nobiltà di spirito dell'artista: «il quale fu in diverse cose eccellente, e costumatissimo in tutte le sue azzioni», come scrisse di lui il Vasari.
Lo stile pittorico lascia pensare che il dipinto sia in massima parte attribuibile a Bartolomeo; del Signorelli dovrebbero essere, invece, l'elegante donna col bimbo sulle spalle, il giovane di spalle, l'ignudo seduto alla sua sinistra, infine l'uomo anziano appoggiato al suo bastone vicino al trono del patriarca.

La fedeltà allo stile di Piero della Francesca si può notare in un'interessante tavola giovanile, riferibile alla peste del 1468 e custodita ad Arezzo presso il Museo statale d'arte medievale e moderna, in cui vediamo San Rocco affidare il popolo alla protezione della Vergine. La figura statuaria del santo, i colori chiari e luminosi, nonché la perfetta prospettiva nel raffigurare la piazza principale della città - dove si riconosce il Palazzo della Fraternita dei Laici - sono elementi che dimostrano lo studio di Piero della Francesca e che trovano reminiscenze nella celebre Flagellazione della Galleria Nazionale delle Marche, si osservino a tal proposito i riquadri rossi del pavimento prospettico e il dialogo tra figure in primo e secondo piano. Afferma il Vasari riguardo alla pala: «Venendo poi la peste del 1468, per la quale senza molto praticare si stava l'abbate, sì come facevano anco molti altri, in casa si diede a dipignere figure grandi, e vedendo che la cosa secondo il disiderio suo gli riusciva, cominciò a lavorare alcune cose, e la prima fu un S. Rocco, che fece in tavola ai rettori della Fraternita d'Arezzo, che è oggi nell'udienza dove si ragunano; la quale figura raccomanda alla Nostra Donna il popolo aretino; et in questo quadro ritrasse la piazza di detta città e la casa pia di quella Fraternita con alcuni becchini che tornano da sotterrare morti».

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Per il Duomo di Sansepolcro, paese di nascita di Piero della Francesca, «fece una cappella che gli arrecò lode et utile grandissimo», prosegue il Vasari nelle Vite, dipingendo ad affresco, intorno agli anni Ottanta del Quattrocento, una Crocifissione con Santi che impreziosisce una basilica che è un vero e proprio scrigno di tesori del nostro Rinascimento, nella quale si possono ammirare opere di Perugino, Raffaellino del Colle e Santi di Tito.

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Bibliografia

  • A. Paolucci, Miniatore singularissimo. Un protagonista della Sistina quattrocentesca, in «L'Osservatore romano», 2014
  • I maestri del colore. Il diffondersi della visione prospettica - Antonio Paolucci (saggio introduttivo di) - Fratelli Fabbri Editori
  • Musei Vaticani. Roma, in «I Grandi Musei del mondo» - Claudio Gamba (testi di) - Skira
  • Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti - Giorgio Vasari (introduzione di Maurizio Marini) - Newton Compton editori

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