Il David di Michelangelo

Idolo e monarca

I' sto rinchiuso come la midolla
da la sua scorza, qua pover e solo,
come spirto legato in un'ampolla.


L'intera esistenza di Michelangelo Buonarroti è ossessionata dal marmo, dalla ricerca di perfezione nel portare alla luce i corpi imprigionati nei preziosi blocchi di Carrara.

Tutto ebbe inizio quando firmò la Pietà della basilica di San Pietro, scolpita all'età di soli ventiquattro anni, passando per il colossale David simbolo eterno della città di Firenze, il maestoso Mosè, sino alla Pietà Rondanini custodita al museo del Castello Sforzesco di Milano, opera incompiuta e modernissima che segna il punto di contatto dello scultore con l'assoluto, quando ormai l'arte non gli bastava più, quando in preda alla rabbia, ripensando alle immense fatiche, arrivò a colpire le sue statue come a volerle distruggere.
Così lo scultore francese Auguste Rodin: "Tutte le statue che fece sono così angosciosamente oppresse che paiono volersi spezzare da sole. Sembra che siano tutte sul punto di cedere alla pressione troppo forte della disperazione che alberga in loro. Quando il Buonarroti divenne vecchio, giunse a spezzarle davvero. L'arte non lo appagava più. Voleva l'infinito".

Il suo percorso artistico nasce e si conclude, dunque, con la scultura, nel profondo legame tra Madre e Figlio, eppure nel mezzo, in un arco di tempo di ben sessantacinque anni, l'artista poté raramente dedicarsi alla pietra, la sua vera passione, incaricato dai papi delle più grandi e meravigliose imprese, dalla volta della Cappella Sistina per Giulio II sino agli affreschi della Cappella Paolina, luogo di preghiera di papa Paolo III, passando per il Giudizio universale ed il progetto della cupola di San Pietro.

Si doveva sentire proprio come una delle sue statue imprigionate nel marmo, quando, nella solitudine delle vaste mura della Sistina, dipingeva giorno e notte sospeso sui ponteggi, compromettendo la salute, scrivendo in un sonetto: "La mia allegrezza è la maninconia".

Michelangelo in un ritratto di Daniele da Volterra.

È per questo motivo che nella scultura si può ritrovare tutta la sua vitalità, il furore travolgente per cui dedicò ogni sforzo, l'unica arte in grado di renderlo "idolo e monarca".
Consacrò la sua vita al marmo sin da giovane, quando decise di abbandonare la prestigiosa bottega di Domenico Ghirlandaio per recarsi nel giardino mediceo di San Marco, dove il massimo collezionista e mecenate di Firenze, Lorenzo il Magnifico, riuniva giovani artisti di talento ad esercitarsi nella copia della statuaria classica, sotto la guida di Bertoldo di Giovanni, allievo niente meno che di Donatello.

Con il primo soggiorno romano Michelangelo poté scolpire per il cardinale Raffaele Riario il Bacco, oggi al museo del Bargello, dimostrando di poter competere con gli antichi. Nel David fece però qualcosa di ben più grandioso, dando vita alla scultura che "ha tolto il grido a tutte le statue moderne et antiche, o greche o latine che elle si fussero", come scrisse Giorgio Vasari, il critico d'arte che contribuì ad alimentare in vita il mito dello sculture. Così, chi al tempo osservava quel gigante di marmo e chi ancora oggi si reca alla Galleria dell'Accademia a contemplarlo, "non dee curarsi di vedere altra opera di scultura fatta nei nostri tempi o ne gli altri da qualsivoglia artefice".

Il David vince gli antichi, vince la storia e il tempo, è l'apice della scultura, protettore di Firenze ed emblema dell'uomo del Rinascimento, capace di opere uniche. La statua, la cui anatomia è una vera e propria dichiarazione d'amore a Dio, è divenuta l'ideale della bellezza maschile in tutta la sua virilità e purezza delle forme, così come la Venere di Sandro Botticelli degli Uffizi è il canone di quella femminile.

La storia del David ha inizio nel cantiere dell'Opera di Santa Maria del Fiore quando il 9 settembre dell'anno 1501 Michelangelo provò la durezza del blocco di marmo colpendolo con lo scalpello. Alto più di cinque metri, l'immenso monolite era già stato lavorato da due scultori, Agostino di Duccio nel 1464 e Antonio Rossellino nel 1476, senza però alcun risultato.
Nonostante le difficili premesse dovute alla mediocre qualità del marmo Michelangelo non si scoraggiò e pochi giorni più tardi, disturbato dagli occhi indiscreti di chi voleva vedere "il Gigante", si isolò completamente per dedicarsi a quella pietra, quella e nessun altra. Il Buonarroti fu infatti il primo a concepire la scultura come quell'arte che si ottiene levando dalla materia il superfluo, riducendo la pietra a quella forma che nella sua mente si andava delineando.

Non ha l'ottimo artista alcun concetto
c'un marmo solo in sé non circonscriva
col suo superchio, e solo a quello arriva
la man che ubbidisce all'intelletto.


Probabilmente dinanzi a quel blocco marmoreo, ai più indifferente e di qualità scadente, Michelangelo aveva visto la sua scultura, il suo bellissimo eroe, e non poteva lasciarlo imprigionato lì dentro.
Così, in soli tre anni, Michelangelo portò a termine il lavoro, estraendo dal marmo la scintilla della vita, la divina purezza, l'infinita bellezza.
Afferma il Vasari: "Dove egli ha posto la sua divina mano, ha resuscitato ogni cosa donandole eternissima vita".

Le vene in rilievo, i muscoli tesi, lo sguardo concentrato rivolto verso il nemico; Michelangelo rapì l'attimo che precede l'azione, il culmine della concentrazione. Tra un attimo infatti il giovane eroe biblico si scaglierà contro il crudele gigante Golia che terrorizzava il popolo d'Israele. A testimoniarlo è la gamba sinistra, apparentemente rilassata, ma con il piede leggermente sollevato e appoggiato sull'estremità del basamento, pronto all'attacco decisivo. Eppure nell'osservare la statua si avverte un senso di calma, virtù di chi ha la consapevolezza delle proprie forze e sa di essere guidato dalla mano di Dio.

Nella concezione michelangiolesca allinearsi alla tradizione iconografica del David avrebbe voluto dire sminuire il personaggio. Se si prendono infatti in considerazione i suoi precedenti, si pensi alle sculture di Donatello o del Verrocchio, Davide è rappresentato vittorioso a seguito del duello con la testa di Golia. Egli è però portatore in sé di una profonda spiritualità che va oltre il gesto eroico; incarna i valori e gli ideali della nobile famiglia Medici e del suo signore, il Magnifico Lorenzo, divenendo il simbolo del coraggio e della vittoria su nemici ben più importanti. Ecco perché si decise di collocarlo dinanzi alla porta d'ingresso di Palazzo Vecchio, il palazzo del potere.

Prima di arrivare a questa conclusione fu nominata una commissione costituita dai più celebri artisti della città, al fine di scegliere il luogo più idoneo. Così il 25 gennaio 1504, insieme al gonfaloniere Pier Soderini, si riunirono l'architetto e amico di Michelangelo Giuliano da Sangallo, l'anziano Cosimo Rosselli con l'allievo Piero di Cosimo, Sandro Botticelli, Pietro Perugino, Leonardo da Vinci, Lorenzo di Credi ed Andrea Sansovino.
Il Sangallo propose di collocarlo sotto la Loggia dell'Orcagna, oggi della Signoria, per ragioni puramente conservative, evitando così che il fragile marmo deteriorasse rapidamente a causa degli agenti atmosferici. Appoggiò questa soluzione anche Leonardo, il quale cercò però di relegare la scultura in una posizione defilata. Ciò era dovuto all'accesa rivalità che incorreva in quegli anni tra i migliori artisti della città, i quali di lì a poco si sarebbero dovuti confrontare nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio nell'impresa, com'è noto mai realizzata, di due immensi affreschi situati l'uno di fronte all'altro.
Nonostante le antipatie e la rivalità, Leonardo e Michelangelo dovevano però stimarsi reciprocamente; ne è prova un disegno leonardesco con la copia minuziosa del David in modo da studiarne le straordinarie novità.

Oltre all'ipotesi della loggia la maggioranza si espresse a favore del collocamento del Gigante a fianco della porta principale di Palazzo Vecchio, prendendo il posto della Giuditta di Donatello, mentre Botticelli fu l'unico ad immaginarlo nei pressi del Duomo.

Una volta stabilita la posizione più appropriata ebbe inizio il trasporto del David dall'Opera del Duomo sino al sagrato di Palazzo Vecchio. Le cronache fiorentine descrivono con precisione quella che fu una vera e propria impresa che durò dal 14 maggio all'8 giugno del 1504.

Nei mesi di luglio e agosto Michelangelo si occupò di perfezionare ulteriormente l'opera. Nel frattempo si verificò un curioso episodio riportato dal Vasari che ha per protagonista Pier Soderini. Osservando la scultura dal basso mentre Michelangelo vi stava apportando gli ultimi ritocchi, il gonfaloniere sostenne come il naso fosse troppo grande e sproporzionato rispetto al resto. L'artista decise allora di lasciar cadere un poco di polvere di marmo dai ponteggi fingendo con lo scalpello di modificare il naso. A quel punto si rivolse al Soderini il quale si mostrò contento, affermando come ora fosse delle giuste misure. Michelangelo, sorridendo, si rimise al lavoro.

Finalmente il giorno 8 di settembre dell'anno 1504, festa della Madonna, il David fu inaugurato ufficialmente e mostrato ai cittadini, senza fiato dinanzi a tale splendore.

Negli anni a seguire il David andò incontro a diverse disavventure come quando nel 1512 venne colpito da un fulmine che compromise la stabilità del basamento.
Nel 1527 invece, durante i tumulti popolari dovuti alla cacciata dei Medici, perse il braccio sinistro, i cui pezzi furono conservati dal Vasari e da Francesco Salviati che poi li restituirono a Cosimo I una volta ristabilito il potere della dinastia medicea. Ancora oggi i segni si possono notare.

Ritratto di Cosimo I de' Medici in armatura - Bronzino - 1545 - Firenze, Galleria degli Uffizi

Con il rinnovamento di piazza della Signoria voluto da Cosimo I, nell'anno 1534 venne posto alla destra del capolavoro michelangiolesco l'Ercole e Caco di Baccio Bandinelli, che tutt'ora deve competere con il David sebbene non l'originale ma una sua copia; più a sinistra si trova invece la Fontana del Nettuno di Bartolomeo Ammannati.

Esattamente centoventi anni dopo dalla sua creazione il David ispirò il genio di Gian Lorenzo Bernini nella sua bellissima versione della Galleria Borghese. L'architetto della Roma seicentesca fu l'unico in grado di eguagliare per morbidezza ed espressività le sculture di Michelangelo, si pensi al Ratto di Proserpina con l'incredibile dettaglio delle dita della mano che affondano nella carne.
Nel suo David Bernini scelse di non raffigurare più un eroe simbolico, tipicamente rinascimentale, come nel caso di Donatello, vittorioso a seguito dell'impresa, bensì si allineò maggiormente all'idea del Buonarroti rapendo l'attimo appena prima dell'attacco. Tuttavia, se nel caso di Michelangelo Davide osserva il rivale con tutta la consapevolezza delle proprie forze, dandoci la sensazione del sicuro esito positivo dell'attacco, Bernini pone la sua statua cronologicamente dopo quella del maestro, con Davide che ha ormai afferrato la pietra in un vigoroso slancio verso Golia. Lo sguardo crucciato del giovane e il suo mordersi delle labbra denotano tutta la tensione fisica ed emotiva del momento.
Si può dunque affermare che mentre il David di Michelangelo è, come detto, emblema dello perfezione umana, una sorta di uomo vitruviano marmoreo nelle sue esatte proporzioni, il David berniniano rispecchia, nonostante la forza atletica del soggetto, la precarietà e la sensazione d'incertezza insita nell'uomo del Barocco.

La drastica decisione di trasferire il David al chiuso, abbandonando piazza della Signoria, venne presa solo verso la fine dell'Ottocento per le difficili condizioni di conservazione. Venne così costruito un carro di legno grazie al quale la scultura arrivò all'Accademia, percorrendo le vie del centro cittadino su delle rotaie, in un viaggio della durata di alcuni giorni.

Oggi è situato in un'esedra piena di luce che sembra l'abside di una chiesa, al centro della scena ed in compagnia dei Prigioni per la tomba di Giulio II che il visitatore incontra nel cammino del museo come per comprendere il mistero e la fatica che libera la vita dal marmo, in una concentrazione di energia che esplode al cospetto del Gigante, l'uomo più bello di sempre.
Dotato di una melodiosa grazia spesso considerata secondaria rispetto al fascino della forza virile, il David appare quasi come un dio il cui sguardo irradia il cuore dell'osservatore di quel desiderio di bellezza che coincide con il significato dell'Amore, sentimento che solo l'arte è capace di trasmettere.

Gli occhi miei vaghi delle cose belle
e l'alma insieme della suo salute
non hanno altra virtute
c'ascenda al ciel, che mirar tutte quelle.
Dalle più alte stelle
discende uno splendore
ch 'l desir tira a quelle,
e qui si chiama Amore.
Né altro ha il gentil core
che l'innamori e arda, e ch 'l consigli,
c'un volto che negli occhi lor somigli.


Note

La fotografia di copertina è stata scattata a Firenze nell'aprile 2023, mentre quella della copia del David dinanzi a Palazzo Vecchio nel luglio 2023.