Nicolas Poussin

Il pittore in un autoritratto del 1650 custodito al Museo del Louvre di Parigi.

In un secolo, il Seicento, introdotto dalla pittura rivoluzionaria di Caravaggio e proseguito all'insegna delle novità stilistiche e dello sfarzo con il Barocco di Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona, vi erano ancora degli autori che guardavano alla lineare lezione classicista e in particolare al modello di Raffaello Sanzio, emblema dell'assoluta perfezione pittorica.
Fra questi artisti si distinsero il francese Nicolas Poussin, nato nel 1594, ma anche Annibale Carracci, considerato il rivale del Caravaggio, Guido Reni, celebre per il suo classicismo lirico, Giovanni Lanfranco e, più avanti, Carlo Maratta. Si tratta di alcune fra le personalità a cui il biografo Giovan Pietro Bellori, nelle sue Vite, riserva maggior spazio per quanto riguarda l'ambito pittorico, mentre nella scultura analizza solamente le opere di Alessandro Algardi e François Duquesnoy, anche loro ancora legati al modello classico rispetto, ad esempio, al Bernini, l'assoluto protagonista della città eterna. Sebbene questa scelta del Bellori, che ben poche pagine dedica a personalità quali Bernini, Borromini o Caravaggio, bisogna riconoscere che il classicismo seicentesco, pur contrastando in un secolo rimasto nei libri di storia dell'arte per le bellezze barocche, troverà nuova vita nel secolo successivo grazie al Neoclassicismo. Nell'opera di Poussin si può infatti intravedere un preludio ai dipinti dei francesi Jacques-Louis David e Jean-Auguste-Dominique Ingres, come dimostra la tela raffigurante La morte di Germanico, chiaro esempio di pittura epica seicentesca.
«L'eroe morente prega i suoi amici di vendicare la sua morte e di proteggere i suoi figli», scrive il concittadino Stendhal, ammiratore dell'artista, nelle sublimi pagine di Passeggiate romane, esaltando un uomo politico fedele ai propri valori morali e preoccupato per i propri affetti sino agli ultimi istanti di vita. Germanico, comandante romano del I secolo d.C., trovò la morte per avvelenamento per ordine dell'imperatore Tiberio, suo padre adottivo, il quale era geloso della gloria da lui conquistata in battaglia. Connotato da un forte senso teatrale, il gruppo di personaggi si muove parallelamente rispetto all'edificio che, in perfetta prospettiva, richiama l'armonia dell'idea architettonica di Donato Bramante, mostrando con evidenza l'ammirazione di Poussin per il contesto romano, luogo unico per la formazione di ogni artista.

Scrive il Bellori introducendo la biografia del suo amico Poussin: «Quando nell'Italia ed in Roma più fiorivano le belli arti del disegno nello studio di chiarissimi ed eccellentissimi artefici, e la pittura principalmente, quasi in sua stagione, era feconda d'opere e d'ingegni; perché ella da ogni parte restasse gloriosa, le Grazie amiche arrisero verso la Francia, la quale, d'armi e di lettere inclita e fiorentissima, si rese anche illustre nella fama del pennello, contrastando con l'Italia il nome e la lode di Nicolò Pussino, di cui l'una fu madre felice, l'altra maestra e patria seconda».
Recatosi stabilmente a Roma nel 1624, Poussin, scrive Bellori, strinse amicizia con lo scultore fiammingo Duquesnoy, vivendo nella medesima casa in via del Babuino e studiando insieme l'armonia di proporzioni del gusto per il classico che li accomunava.
Poussin, pittore raffinato caratterizzato da uno stile intellettuale, non ebbe mai modo di ottenere grandi commissioni pubbliche, trovando la propria possibilità di espressione nelle piccole tele assegnategli da mecenati colti ed eruditi. L'unica eccezione fu una pala d'altare, databile al 1628 e ottenuta forse grazie all'appoggio del Bernini, dedicata al Martirio di Sant'Erasmo, inizialmente destinata alla basilica di San Pietro e oggi visibile alla Pinacoteca Vaticana.

Dipinto che «felicemente egli ridusse a perfezione», afferma Bellori, mostra il santo disteso su una tavola di legno per andare incontro al proprio martirio, narrato in maniera cruenta nonostante la tersa atmosfera, simbolo di salvezza, conferisca serenità ad una composizione capace di coniugare sapientemente lo stile raffaellesco nella chiara luminosità e quello caravaggesco nell'efferato omicidio. L'aguzzino è intento a praticare, sul corpo virile e statuario del santo, il leggendario evisceramento con cui trovò la morte, sotto le persecuzioni dell'imperatore Diocleziano, a seguito di un estremo patimento. Il colore del sangue del martirio viene unito dal pittore agli abiti vescovili per terra e alla tunica del carnefice, mentre un sacerdote indica con la mano l'idolo pagano Ercole che il santo si rifiutò di venerare. Concludono la composizione, in alto, due putti che giungono in volo verso Erasmo per porgergli la corona e la palma del martirio.

L'ispirazione del Poeta - 1629 circa - Parigi, Museo del Louvre

Importante è il rapporto di Poussin con i poeti e la poesia; amico di Giambattista Marino, il quale «godeva di vedere rappresentare in disegno le sue proprie poesie», scrive Bellori, dipinse alcune scene dell'Adone e diverse della Gerusalemme liberata di Torquato Tasso, un'opera questa, capolavoro della seconda metà del Cinquecento, che dovette affascinarlo particolarmente per gli scenari idilliaci o per i momenti amorosi, come ad esempio la vicenda di Rinaldo e Armida, infine per i riferimenti all'antico e la profonda religiosità che ispirò anche i lavori dei grandi pittori emiliani seicenteschi, vale a dire Carracci, Domenichino e Guercino.

Tratto dalla storia di Roma antica è infine il Ratto delle Sabine, opera concitata e teatrale che mostra come Poussin si fosse accostato alla pittura di Pietro da Cortona, basti osservare l'omonimo dipinto della Pinacoteca Capitolina realizzato una decina d'anni prima. Nella versione di Poussin, conservata al Louvre, la scena si svolge in una piazza chiaramente ispirata a quella posta dinanzi al Pantheon, la cui facciata diviene lo sfondo della composizione. In piedi alla base dell'obelisco, Romolo, a seguito della fondazione di Roma, ordina ai suoi uomini di rapire alcune donne al fine di popolare la nuova città, generando un gran tumulto. Descrive così la tela il Bellori: «Romolo, elevato sopra il suggesto, alzando il manto reale di porpora dà il segno a' suoi guerrieri che assalghino e rapischino le vergine sabine. Rappresentasi la fuga, il pianto e lo spavento loro, e la violenza e brama de' predatori. Evvi una che fugge a lato il vecchio padre, il quale tutto anelante e con le braccia aperte si volge indietro all'impeto di un soldato, che la prende ed invola. Non lungi la compagna si travolge in terra e si ripara al seno della vecchia madre, sedente in atto di rispingere un giovine armato, il quale rispinge ancor lei con una mano al petto, tenendo l'altra sopra la giovane rapita. Dal lato contrario un'altra giovane con acerbo sdegno si difende e tira li capelli d'uno assalitore che se la reca in braccio. Tali affetti si rincontrano avanti; ma più indietro in distanza e figurine minori vedesi un soldato che alza una fanciulla da terra e la pone per forza in groppa a cavallo d'un altro che si volge ad abbracciarla, e d'ogni intorno fuggono donne ed uomini sabini, seguitati da' Romani che li assalgono con le spade».

Bibliografia

  • Poussin - Maurizio Marini - Giunti
  • Le Vite de' pittori, scultori e architetti moderni - Giovan Pietro Bellori - Einaudi
  • Passeggiate romane - Stendhal - Garzanti
  • Arte in primo piano. Manierismo, Barocco, Rococò - Giuseppe Nifosì - Editori Laterza