Carlo Maratta

Nella Roma seicentesca dominata dallo spirito e dal gusto barocco di Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini e Pietro da Cortona, artisti come Nicolas PoussinFrançois Duquesnoy, Alessandro Algardi, Andrea Sacchi e, più avanti, Carlo Maratta, si distinsero per la scelta di perseguire un ideale artistico che si rifacesse alla lineare lezione classicista.
Nato nelle Marche, nei pressi di Ancona, Maratta o Maratti, come spesso viene menzionato, fu uno dei pittori di maggiore successo nella prestigiosa scena romana della seconda metà del XVII secolo, capace nell'ardua impresa di conciliare due movimenti agli antipodi quali classicismo e barocco, partendo dalla ripresa di Raffaello Sanzio per arrivare ad uno stile barocco privo di eccessi retorici. Proprio di Raffaello e della sua scuola, fra il 1693 e il 1694, Maratta ebbe modo di restaurare, donando loro nuova vita, i bellissimi affreschi della Loggia di Psiche presso villa Farnesina, rovinati dall'esposizione all'esterno quando il magnifico luogo, affacciato sul cortile della villa, fu aperto verso l'esterno.
Nonostante oggi Maratta non venga considerato come uno dei protagonisti del suo tempo, la sua bravura lasciò piacevolmente sorpreso un viaggiatore d'eccezione quale Goethe, che nelle pagine del suo Viaggio in Italia scrisse: "Feci la conoscenza di nuovi eccellenti artisti di cui sapevo appena il nome; per esempio imparai a stimare e ad amare il piacevole Carlo Maratti".
Desideroso di raggiungere Roma per coltivare il suo talento e ammirare Raffaello, il Maratta si formò presso la bottega di Andrea Sacchi, il quale lo avvicinò ad autori quali Giovanni Lanfranco, Domenichino e Guercino.

Ritratto di Andrea Sacchi del 1661 circa.

A riconoscere il talento del pittore, scrive nelle Vite Giovan Pietro Bellori, fu lo stesso Bernini: «Succeduto intanto il ponteficato d'Alessandro settimo prencipe magnifico nelle fabbriche, un giorno avendo egli discorso col cavalier Bernino l'interrogò de' giovani, che promettevano riuscita nella pittura. Il cavaliere rispose che Carlo teneva il primo luogo».
Curioso è il fatto che nelle Vite, opera imprescindibile per ogni studioso dell'arte barocca nonché degna continuazione del grandioso progetto di Giorgio Vasari, Gian Lorenzo Bernini viene citato in questo passo e in pochi altri. Il motivo è probabilmente il fatto che il Bellori si occupò poco di architettura e scultura, in quanto secondo la sua teoria bisognava imitare sempre l'antico, mentre gli architetti e gli scultori barocchi, accusati di ignoranza storica, sviluppavano autonomamente nuove idee. La scultura era inoltre ritenuta ancora inferiore rispetto alla pittura, alla quale l'opera si dedica quasi completamente.

Ritratto del Bellori con in mano il suo capolavoro.

Tra i vari pittori di cui narra Bellori, a partire da Annibale Carracci passando per Federico Barocci, Caravaggio e Guido Reni, Maratta è l'unico vivente di cui scrive il biografo, tanto rimase affascinato dalla grazia e dalla purezza della sua pittura, dedicandogli una lunga e dettagliata biografia. Il Bernini viene allora citato e lodato da Bellori per aver compreso le potenzialità del giovane artista, segnalando il suo nome a papa Alessandro VII Chigi, illuminato committente seicentesco.
Bisogna riconoscere che le vedute del Bernini erano assai larghe, dato che dalla sua bottega uscirono scultori quali Andrea Bolgi, Antonio Raggi, ma anche pittori come Giovan Battista Gaulli, sua creatura, di tendenza apertamente barocca.

Alessandro VII ritratto dal Gaulli.

Sia Maratta che Gaulli, come si nota dai dipinti precedenti, spiccarono nell'attività ritrattistica. Le loro figure rappresentarono le due principali alternative nel grande secolo artistico del Seicento, l'uno maggiormente attento alla ripresa del sobrio classicismo e l'altro alla sperimentazione e all'eccesso tipici del barocco.
Il ritratto di papa Clemente IX, successore di Alessandro VII, oggi alla Pinacoteca Vaticana, ci mostra l'attenzione alla raffinatezza del colore, della luce e anche alla resa dello sguardo, dell'espressione del volto come specchio dell'interiorità, elementi che caratterizzano anche i quadri raffiguranti Sacchi e Bellori.
Lo descrive così il Bellori: «Non basta lodare la similitudine, essendo vivissimo e naturalissimo ma bisogna distendersi ancora alle altre parti, che lo rendono in pregio, spirando la maestà e la clemenza di quel prencipe. La figura è disposta quasi in faccia in una seggia di velluto cremesi col berrettino e mozzetta rossa sopra il camice bianco sino le ginocchia; tiene una mano sopra un libro e rilassa l'altra sul bracciolo della seggia, appresso un tavolino sul quale è posato il campanello d'oro ed un memoriale col soprascritto: "Alla Santità di Nostro Signore Clemente IX per Carlo Maratti", che fu un accorto motivo di esso per conciliarsi maggiormente la grazia del papa. Prende il ritratto un buonissimo lume e rilievo nel fondo d'una portiera oscura di lacca, ritenendo con la maestria un'esquisita diligenza, non solo nelle parti principali e più importanti, ma in ogni minuzia nel contrafare le sottilissime pieghe del camice e sino il lustro de' chiodi d'oro e delle trine sfilate della sedia col velluto ne' braccioli alquanto logro e spelato dall'uso con altri accidenti che si lasciano alla vista. Ed essendo Carlo ne' ritratti, come in ogni altro studio della pittura ugualmente considerato ed eccellente, prima d'ogni altra cosa ha in costume ed è sua massima l'osservar col volto la disposizione naturale del corpo e l'atto proprio, in cui ciascuno è solito volgersi, e pronto e vivace o riposato e grave in modo che non si senta sforzo o molestia nel collocarsi le membra. Laonde il papa oltre le altre lodi gli aggiunse quest'una singolare, che ove altri ritraendolo l'aveano tenuto a disagio longamente, dipingendo Carlo non s'era accorto del tempo ch'era passato, parendogli di esser stato a trattenimento, la qual avvertenza ben può ravvisarsi dalla collocazione del ritratto stesso, che sta tutto in riposo ed esprime la stanchezza dell'età e l'aspetto languido del papa».

La luce è la protagonista infine del dipinto Natività, custodito presso la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami a Roma, una scena dolcissima che vede Maria tenere in braccio compiaciuta il suo Bambino, il quale diffonde una luce chiarissima che illumina l'intera scena e l'oscurità del quadro. Scrive l'evangelista Giovanni: "Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre".
Gli angioletti, che circondano la Vergine e guardano con tenerezza Gesù, risaltano sullo sfondo nero grazie allo splendore della luce divina del Cristo e i loro volti servono proprio a restituire la sensazione che dal centro della composizione vi sia una fiamma che riscalda tutti noi che, come loro, osserviamo la scena.

Bibliografia

  • Il Barocco - Tomaso Montanari - Einaudi
  • Le Vite de' pittori, scultori e architetti moderni - Giovan Pietro Bellori - Einaudi
  • Viaggio in Italia - Goethe - Mondadori