Benvenuto Cellini

Personalità tormentata e affascinante, dalla vita inquieta, trasgressiva e contraddittoria divenuta una celebre opera letteraria, Benvenuto Cellini è stato il migliore scultore tra la generazione di Michelangelo Buonarroti e quella di Giambologna, famoso per la sua abilità di orafo e per quella straordinaria autobiografia, amata in età romantica e tradotta da Goethe, scritta perché «Tutti gli uomini d'ogni sorte, che hanno fatto qualche cosa che sia virtuosa, o sì veramente che le virtù somigli, doverieno, essendo veritieri e da bene, di lor propia mano descrivere la loro vita».
Nato a Firenze l'anno 1500, si dedicò per l'intera esistenza all'arte del produrre opere di oreficeria, cominciando relativamente tardi l'attività di scultore, riuscendo però a donare alla sua città uno dei simboli che ancora oggi vigilano su piazza della Signoria, cuore artistico e politico del capoluogo toscano, meraviglioso palcoscenico teatrale che custodisce le migliori sculture del Cinquecento, un secolo straordinario per la storia universale delle arti.
Una di queste opere è il Perseo, ultimato nel 1554 e collocato nella Loggia dell'Orcagna, la statua più bella di Firenze dopo il David, un capolavoro unico, firmato e realizzato in bronzo, che consacrò definitivamente il genio ribelle di Cellini dimostrando la sua natura di grande scultore e non soltanto di orafo.

Per comprendere la personalità così travagliata di Cellini è utile analizzare i rapporti con gli altri artisti presenti nella sua epoca a Firenze, dove, alla corte di Cosimo I de' Medici, l'artista di fiducia era l'aretino Giorgio Vasari, che con Cellini aveva in comune solamente l'amicizia con Michelangelo, da entrambi considerato "divino".
Il duca Cosimo, illuminato committente intenzionato ad esprimere attraverso il mecenatismo la propria grandezza, aveva deciso di trasferire la sua residenza a Palazzo Vecchio, l'edificio più rappresentativo della città, affidandone la ristrutturazione al Vasari proprio negli anni in cui fu inaugurato il Perseo, concependo un'idea di straordinaria continuità simbolica tra lo sfarzo interno e l'esterno con le statue che ornano piazza della Signoria.

Ritratto di Cosimo I de' Medici in armatura - Bronzino - 1545 circa - Firenze, Galleria degli Uffizi

Afferma lo scrittore francese Stendhal«Malgrado la rara bellezza di tante strade pervase di grandiosa malinconia, nulla è paragonabile al Palazzo Vecchio. Questa fortezza, costruita nel 1298 con il contributo volontario dei mercanti, innalza fieramente i suoi merli di mattoni e le sue mura fino ad un'altezza smisurata, non in qualche angolo solitario, ma proprio in mezzo alla più bella piazza di Firenze. A sud c'è la galleria di Vasari, a nord la statua equestre d'un Medici, ai suoi piedi il David di Michelangelo, il Perseo di Benvenuto Cellini, il bel portico dei Lanzi, in breve tutti i capolavori d'arte di Firenze e tutto il lavoro della sua civiltà».
La sistemazione di Palazzo Vecchio fu principalmente interna, al fine di rendere l'edificio consono a residenza ducale, mentre l'esterno, con la Torre di Arnolfo di Cambio, simbolo della città, sarebbe rimasto tale. Cosimo era infatti consapevole dell'importanza dell'architettura del passato a livello politico, in una visione sicuramente differente a quella di papa Giulio II della Rovere, che cinquant'anni prima a Roma non aveva esitato nel demolire la millenaria basilica costantiniana per fare spazio al progetto di Donato Bramante per la basilica di San Pietro che oggi conosciamo.

Entrando a Palazzo Vecchio nella sala dedicata a Cosimo I, interamente decorata dal Vasari con l'aiuto dei suoi allievi, si può vedere un tondo nel quale è reso omaggio alla politica culturale del sovrano, con i ritratti degli artisti eminenti disposti intorno al loro signore. Tra gli altri notiamo Baccio Bandinelli, che in piazza della Signoria aveva scolpito l'Ercole e Caco posto a fianco del David, e Bartolomeo Ammannati, autore della fontana del Nettuno.

Curioso è il fatto che Vasari, non amando il Cellini, lo abbia rilegato in secondo piano, sullo sfondo dietro a tutti, mentre guarda lo spettatore con aria sospettosa. Il dipinto, essendo datato intorno al 1560, lo raffigura ormai anziano e con la barba, quasi a disagio nel trovarsi tra i colleghi eletti, ma allo stesso tempo non privo di una certa sfrontatezza, isolato, emarginato e senza alcun amico per il difficile carattere, ma anche per una propria scelta. Cellini ci appare così come lo dovevano vedere i contemporanei, soprattutto come lui stesso voleva essere visto.

Altro acerrimo rivale del Cellini fu il più anziano Bandinelli, aspramente criticato nell'autobiografia per aver cercato di competere con Michelangelo innalzando dinanzi a Palazzo Vecchio la scultura di Ercole e Caco, connotata di un gigantismo privo di grazia ed espressività, testimonianza di un manierismo ormai anacronistico.

A seguito della formazione a Firenze, Bologna e Pisa, in giovane età il Cellini visse degli anni a dir poco avventurosi a Roma sotto il pontificato di Clemente VII Medici, qui ritratto da Sebastiano del Piombo.
Rimasto nella città eterna, sebbene in fasi alterne, dal 1524 al 1540, Cellini si legò in amicizia con Giulio Romano e altri pittori della cerchia di Raffaello Sanzio, ma anche con l'eccentrico Rosso Fiorentino, pioniere del manierismo pittorico. Favorito dalla confidenza con papa Clemente, che lo nominò capo della Zecca pontificia, l'artista divenne il primo orafo di Roma, tuttavia della sua produzione non rimane praticamente nulla, essendo l'oreficeria un'arte effimera i cui prodotti sono destinati a durare poco.

Maggiormente problematico sarà il rapporto con Paolo III Farnese, il papa del Giudizio Universale della Cappella Sistina, eletto nell'anno 1534. Il ribelle artista, infatti, pur godendo della fiducia del nuovo pontefice, fu coinvolto in risse, omicidi e un processo per sodomia che lo costrinsero a lasciare Roma.
Fu però l'anno 1527 l'anno più leggendario vissuto nella città eterna, quando durante il Sacco di Roma da parte delle truppe imperiali di Carlo V d'Asburgo si rifugiò con papa Clemente a Castel Sant'Angelo, partecipando in prima persona alla sua difesa come bombardiere, colpendo i lanzichenecchi ed in particolare, secondo la sua autobiografia, il comandante degli assedianti, Carlo III di Borbone, francese passato dalla parte di Carlo V.

Castel Sant'Angelo in un'incisione settecentesca di Giovanni Battista Piranesi.

Sempre a Castel Sant'Angelo l'artista visse nel 1538 la dura esperienza del carcere, accusato dell'appropriazione illecita di gioielli appartenuti a Clemente VII. Riuscito ad evadere dal carcere fratturandosi una gamba, fu presto ricatturato.
A farlo uscire sarà il re di Francia Francesco I, alleato del papa durante il Sacco di Roma e dunque rivale di Carlo V, che lo accoglierà nella sua corte a Parigi concedendogli il medesimo compenso devoluto in precedenza a Leonardo da Vinci.

Un autoritratto a grafite del Cellini datato tra il 1540 e il 1543 e conservato alla Biblioteca Reale di Torino.

Per il sovrano di Francia realizzò nel 1543 uno dei più alti capolavori d'oreficeria di tutti i tempi, una Saliera da porre al centro della tavola, un oggetto relativamente piccolo ma di tale virtuosismo tecnico da suscitare lo stupore e l'incredulità del re, una sorta di scultura in miniatura arrivata sino a noi, certamente un miracolo essendo l'oreficeria un'arte tanto delicata.
Le due figure in oro che si fronteggiano sono il Mare e la Terra, dal cui incontro nasce il sale. Il dio dei mari, con in mano il suo tridente, è seduto su un carro trionfale trainato da animali mitologici, mentre la dea della terra si sfiora dolcemente il seno con la mano. Attorno alla base si alternano otto piccoli rilievi che rappresentano le allegorie del Tempo e delle Stagioni. I quattro momenti della giornata, ossia il giorno, la notte, il crepuscolo e la sera, si ispirano chiaramente alle analoghe raffigurazioni michelangiolesche delle tombe medicee in San Lorenzo a Firenze.

Il soggiorno francese durò cinque anni, sino al 1545, quando l'artista decise improvvisamente di fare ritorno in Italia senza una precisa motivazione, probabilmente a causa di alcuni contrasti con i cortigiani o con lo stesso sovrano, forse perché segnato dal suicidio dell'amico Rosso Fiorentino, anch'egli in Francia a servizio del re.
Accolto calorosamente dalla famiglia Medici, Cellini visse a Firenze, a metà del secolo, i suoi anni migliori, culminati con l'inaugurazione del Perseo nel 1554, simbolo delle vittorie politiche del granduca Cosimo, del suo mecenatismo illuminato, ma anche emblema stesso della città, che a partire da Michelangelo, passando per il Cellini ed arrivando al Giambologna, divenne a livello artistico la dominatrice d'Europa.
Significativa in tal senso è una sala del Museo nazionale del Bargello dedicata alla grande statuaria cinquecentesca, con la presenza del meraviglioso Bacco michelangiolesco, dell'Ammannati, del Giambologna e infine di tre sculture in marmo del Cellini, vale a dire l'Apollo e Giacinto, il Ganimede e un Narciso.

Si tratta di statue spiccatamente erotiche, per tale motivo inizialmente relegate nel Giardino di Boboli e giunte al Bargello solo in tempi recenti. L'Apollo e Giacinto narra dello sfortunato amore tra il dio e il giovinetto di cui si era perdutamente innamorato. Apollo, vulnerabile nonostante la sua natura divina perché in preda al sentimento amoroso, dovette respingere i numerosi amanti del ragazzo, arrivando addirittura ad accettare di diventare suo servo pur di averlo vicino. Per la gelosia di Zefiro, dio del vento che soffia da ponente, Giacinto troverà la morte, per la disperazione di Apollo.
Il Ganimede mostra invece il giovane principe troiano, descritto da Omero come il più bello tra i mortali, rapito da Zeus sotto forma di aquila. Mentre nei disegni di Michelangelo donati a Tommaso de' Cavalieri vediamo il rapimento vero e proprio o quando, per citare le Vite del Vasari, "l’avvoltoio gli mangia il cuore", in Cellini il rapace posa mansueto ai piedi del fanciullo, limitandosi a guardarlo con bramoso desiderio, quasi il dio fosse soggiogato alla volontà dell'amato.

Sculture come queste spiegano bene il sentimento dell'artista, omosessuale dall'animo nobile e irascibile allo stesso tempo, il cui comportamento scandaloso, in tempi di moralismo, lo costrinsero nel 1546 a riparare a Venezia perché accusato di aver sedotto un ragazzo della sua bottega. Il viaggio si rivelò tuttavia provvidenziale per quanto riguarda la realizzazione del Perseo, avendo Cellini frequentato Iacopo Sansovino, maestro nella fusione del bronzo.
L'avventura della fusione del Perseo, descritta minuziosamente in alcune celebri pagine della Vita, cominciò nell'estate del 1545, per concludersi nove anni dopo, quando venne sistemata nella Loggia dell'Orcagna, in competizione nientemeno che con la Giuditta di Donatello e il David michelangiolesco, i cui originali si trovavano allora nella piazza, mentre oggi sono sostituiti da copie.
«Risposi al mio Duca che volentieri o di marmo o di bronzo io gli farei una statua grande in su quella sua bella piazza. [...] A questo mi rispose che avrebbe voluto da me, per una prima opera, solo un Perseo: questo era quanto lui aveva già desiderato un pezzo; e mi pregò che io gnene facessi un modelletto».
Prima di arrivare al maestoso e temibile eroe che veglia sulla città vi sono voluti anni di difficoltà e di ostacoli, nonché due modellini, in cera e in bronzo, entrambi custoditi al Bargello.
Il racconto della fusione dell'opera è descritto nell'autobiografia di Cellini come una vera e propria impresa epica, per la quale l'artista superò ogni ostacolo, dalla pioggia che fece abbassare il fuoco della fornace all'insufficienza dello stagno, alla quale si sarebbe rimediato gettando tutte le stoviglie che gli aiutanti e i servi dell'artista avevano nelle loro case, per arrivare ad una febbre altissima che mise a repentaglio la vita stessa del Cellini:
«Io mi sento 'l maggior male che io mi sentissi mai da poi che io venni al mondo, e credo certo che in poche ore questo gran male m'arà morto. [...] Messo che io mi fui nel letto, comandai alle mie serve che portassino in bottega da mangiare e da bere a tutti; e dicevo loro: io non sarà mai vivo domattina. Loro mi davano pure animo, dicendomi che 'l mio gran male si passerebbe, e che e' mi era venuto per la troppa fatica. Così soprastato dua ore con questo gran combattimento di febbre e di continuo io me la sentivo cresciere, e sempre diciendo: io mi sento morire».
Alla fine ebbe la meglio l'artista, l'eroe, quel semidio della mitologia greca, figlio di Zeus e Danae, giunto in tutta la sua terribile bellezza, languida e altera allo stesso tempo, a ristabilire l'ordine e la giustizia.
Il suo gesto fiero colpì profondamente anche il poeta ed esteta Gabriele d'Annunzio, se nelle pagine del romanzo Il fuoco il protagonista Stelio, superuomo alla ricerca dell'ispirazione creativa per dare vita ad un'opera d'arte totale, afferma entusiasta: «Hai tu mai veduto, in qualche istante, l'Universo intero dinanzi a te come una testa umana? Io sì, mille volte. Ah, reciderla come colui che recise d'un colpo la testa di Medusa, e tenerla sospesa dinanzi alla folla, da un palco, perché essa non la dimentichi mai più! Non hai tu mai pensato che una grande tragedia potrebbe somigliare al gesto di Perseo? Io ti dico che vorrei togliere dalla Loggia dell'Orcagna e trasportare nell'atrio del nuovo teatro il bronzo di Benvenuto, per ammonimento».
Il Perseo di Cellini, decapitando con freddezza Medusa, divenne così l'emblema di ogni dissidente, interno o esterno, della città di Firenze.

Note

Le fotografie del Perseo di spalle con Palazzo Vecchio sullo sfondo, quella qui sopra e quelle delle due statue del Bargello sono state scattate a Firenze nel luglio 2023.

Bibliografia

  • Cellini - Antonio Paolucci - Giunti
  • Arte in primo piano. Manierismo, Barocco, Rococò - Giuseppe Nifosì - Editori Laterza
  • La scultura raccontata da Rudolf Wittkower. Dall'antichità al Novecento - Einaudi
  • La scrittura e l'interpretazione. Volume 3 - Palumbo Editore
  • Vita - Benvenuto Cellini (a cura di Ettore Camesasca) - BUR
  • Roma, Napoli e Firenze - Stendhal (introduzione e cura di Giuseppe Vettori) - Avanzini e Torraca editori
  • Il fuoco - Gabriele d'Annunzio - Arnoldo Mondadori Editore