Il fuoco
Sono molteplici gli argomenti che confluiscono all'interno dell'ambizioso romanzo di Gabriele d'Annunzio Il fuoco, composto a partire dal 1896 e pubblicato nel 1900.
Dall'idea di superuomo tratta dalla filosofia di Friedrich Nietzsche sino all'ambizione di dar vita a un'opera d'arte totale, sintesi della carriera artistica di Richard Wagner, il romanzo denota l'interesse del Vate per la drammaturgia attraverso il suo alter ego Stelio Effrena, il protagonista.
L'opera, che appare completa in sé, nacque come prima parte di una trilogia che avrebbe visto la creazione del dramma composto da Stelio e la sua rappresentazione a Roma presso il nuovo Teatro d'Apollo sul Gianicolo, un edificio di marmi sontuosi, simile al Vittoriano, che si proponeva quale alternativa latina della Bayreuth wagneriana.
Di estrema importanza sono la meravigliosa ambientazione veneziana a cui il poeta dedica intere pagine di incantevoli descrizioni, sino ad arrivare al commovente finale con i funerali di Wagner, ma anche la relazione che unisce Stelio e la Foscarina, una famosa attrice nella cui figura è facile identificare Eleonora Duse.
La storia d'amore tra d'Annunzio e la Duse, attrice di fama internazionale soprannominata "la Divina", coincide proprio con gli anni di composizione del romanzo, quando insieme vivevano a Villa Capponcina, a Settignano, nei pressi di Firenze.
Furono la prima celebre
coppia
del mondo dello spettacolo, dei quali tutti parlavano a inizio Novecento, precursori del divismo moderno, uniti, non solo a livello sentimentale, ma anche da un sodalizio artistico e lavorativo.
Nel Fuoco confluisce tutta l'intensità del loro sentimento, descritto da d'Annunzio con un elegantissimo erotismo e con la consueta arte della parola che caratterizza la sua produzione poetica.
Stringiti a me, abbandonati a me, sicura. Io non ti mancherò e tu non mi mancherai. Troveremo, troveremo la verità segreta su cui il nostro amore potrà riposare per sempre, immutabile. Non ti chiudere a me, non soffrire sola, non nascondermi il tuo tormento! Parlami, quando il cuore ti si gonfia di pena. Lasciami sperare che io potrei consolarti. Nulla sia taciuto fra noi e nulla sia celato. Oso ricordarti un patto che tu medesima hai posto. Parlami e ti risponderò sempre senza mentire. Lascia che io ti aiuti, poiché da te mi viene tanto bene!
Fu però una storia travagliata e dal malinconico epilogo quella tra la Duse e il Vate, con quest'ultimo che la tradì ripetutamente anche a livello professionale, preferendole, per il ruolo di protagonista delle sue rappresentazioni teatrali, attrici emergenti e più giovani.
Così nel Fuoco, sebbene il ritratto complessivo della Foscarina, e dunque della Duse, sia quello di un amoroso omaggio alla nobiltà del suo animo, emergono anche il carattere dominante del superuomo Stelio e quello della succube Foscarina, che man mano perde quella giovane femminilità e quel fascino di cui il protagonista si era innamorato.
Ormai consapevole di non essere più la musa ispiratrice del poeta, ossia "un buono e fedele instrumento al servigio di una potenza geniale", Foscarina sparisce con dignità dalla sua vita, viaggiando per il mondo, lasciandolo libero di dedicarsi alle sue creazioni poetiche.
"Che tutto, sempre, sia propizio al tuo lavoro! Questo solo importa; il resto è nulla".
Durante l'emozionante saluto tra i due amanti, Stelio afferma: "Ti amo e credo in te. Io non ti mancherò e tu non mi mancherai. Nasce qualche cosa che sarà più forte della vita".
La donna risponde: "Una malinconia".
Questo dialogo sembra anticipare il triste destino dell'amore tra Gabriele ed Eleonora, che si separarono nel 1904. Più tardi l'attrice scrisse: "Gli perdono tutto, perché ho amato".
Si rividero solamente una volta nel 1922 a Milano, due anni prima della morte della Duse, che si spense durante una tournée americana nella completa solitudine.
D'Annunzio fu segnato da quella perdita, vivendo il resto della propria vita nel rimorso e nel ricordo dell'amata, ritirandosi al Vittoriale, dove ancora oggi si può vedere un busto raffigurante il volto di Eleonora, per la quale ebbe un vero e proprio culto.
"Dal giorno della sua partenza, quella che il mio cuore chiamava Ghisola vive di continuo dove io respiro e dove io penso".
Si può dire che per d'Annunzio, che amò moltissime donne - facendole sentire il centro dell'universo - l'unico vero amore fu quello per la letteratura e il perseguire quell'innato desiderio di bellezza che avvertiva in sé, l'unico vero obiettivo della sua esistenza: "Io proseguo nella mia corsa cieca e vertiginosa, verso chi sa qual precipizio. Non mi volgerò in dietro che per guardare, con gli occhi velati di lacrime, il grande amore passato, il grande amore perduto per sempre".
Si accorse troppo tardi di quanto fosse stato amato e di aver commesso un errore nel porre l'arte dinanzi a tutto, nell'ottica superomistica, capendo solo a seguito della morte di Eleonora, di quanto anch'egli l'amasse, di quanto quella frase "Io non ti mancherò e tu non mi mancherai", ricorrente nel romanzo, fosse solo una vana illusione, ora più dolorosa che mai.
"È morta quella che non meritai. Nessuna donna mi ha mai amato come Eleonora né prima, né dopo. Questa è la verità lacerata dal rimorso e addolcita dal rimpianto".
D'Annunzio in lettura nella sua villa a Settignano.
Il romanzo si conclude con la scena del funerale di Wagner, il più alto esponente del Romanticismo musicale, autore di quell'opera d'arte totale a cui anche Stelio ambisce nel suo fuoco creativo, sebbene disprezzi la cultura germanica e glorifichi quella latina: "La fortuna d’Italia è inseparabile dalle sorti
della Bellezza, cui ella è madre".
Egli ha però una vera e propria devozione per il compositore tedesco, emblema del genio
artistico capace di creare da solo l'intera opera, componendo la musica, scrivendo il libretto e occupandosi della messa in scena, come in passato era riuscito solamente Gian Lorenzo Bernini, l'architetto della Roma barocca: "Il Bernino fece rappresentare a Roma un’opera
per la quale egli stesso costruì il teatro, dipinse le scene, scolpì le statue
ornamentali, inventò le macchine, scrisse le parole, compose la musica, regolò
le danze, ammaestrò gli attori, danzò, cantò, recitò".
Alla morte di Wagner, Stelio, insieme ad alcuni amici, chiede alla vedova del compositore, niente meno che la figlia di Franz Liszt, di poter avere l'onore di accompagnare il feretro del musicista, proponendosi in tal modo come ideale prosecutore della sua opera. In precedenza egli aveva infatti soccorso il compositore, colto da un malore, mentre si trovava su una nave a bordo della quale vi era anche il protagonista, che si precipitò per aiutarlo.
Wagner si spense a Venezia nel 1883, quando d'Annunzio aveva vent'anni, immaginandosi attraverso il suo alter ego come uno dei portatori della bara, in modo da rendergli un ultimo omaggio. Alimentò anche le voci che l'episodio fosse davvero accaduto, tuttavia ciò rimane il frutto della sua straordinaria inventiva.