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DI MARCO CATANIA

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Giuliano da Sangallo

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Ritratto di Giuliano da Sangallo - Piero di Cosimo - 1485 circa

Nato a Firenze nel 1445, Giuliano da Sangallo fu l'architetto prediletto di Lorenzo il Magnifico, protagonista dell'architettura rinascimentale tardo quattrocentesca, imponendosi come ideale prosecutore dell'opera di Filippo Brunelleschi e Leon Battista Alberti. Figlio di Francesco Giamberti, «il quale ne' suoi tempi fu di quegli architetti che vivevano nel governo di Cosimo de' Medici», ricorda nelle Vite il biografo aretino Giorgio Vasari, Giuliano ereditava con passione il mestiere paterno, divenendo il più anziano di una celebre famiglia di architetti, essendo fratello di Antonio da Sangallo il Vecchio, nonché zio di Antonio da Sangallo il Giovane e di Bastiano da Sangallo.
Allievo di Francesco di Giovanni detto il Francione, maestro di legname ed esperto di architettura e fortificazioni militari, Giuliano da Sangallo seppe apprendere questa pratica ingegneristica che gli consentì di entrare in contatto con la cerchia medicea, dedita ad una impegnativa impresa di riorganizzazione e rinnovamento per la difesa del territorio. Il nome con cui viene ricordato, Sangallo, - che diverrà quello per tutti i membri della famiglia di artisti -, deriverebbe proprio da un aneddoto, narrato dal Vasari, inerente ad una committenza assegnatagli dal Magnifico Lorenzo: «al quale venne capriccio per sodisfare a frate Mariano da Ghinazzano, literatissimo de l'ordine de' frati Eremitani di Santo Agostino, di edificargli fuor de la porta S. Gallo un convento, capace per cento frati, del quale ne fu da molti architetti fatto modello, et in ultimo si mise in opera quello di Giuliano. Il che fu cagione che Lorenzo lo nominò da questa opera Giuliano da S. Gallo».
Grazie al signore di Firenze, il Sangallo ebbe modo dunque di crescere artisticamente, dedicandosi all'architettura, realizzando negli anni tra il 1480 e il 1485 una delle sue opere più significative, vale a dire Villa Medici presso Poggio a Caiano, in provincia di Prato, in grado di conferirgli definitivamente il favore di Lorenzo de' Medici, il quale, scrive il Vasari, «avendo egli volontà di fabricare al Poggio a Caiano, luogo tra Fiorenza e Pistoia, avendone al Francione fatto più volte fare insieme con altri architetti modelli e disegni, pensò che Giuliano ancora facesse il medesimo; il che egli fece volentieri, e lo trasse tanto de la forma solita e consueta, che Lorenzo cominciò subitamente a farlo mettere in opera come il migliore di tutti; et accresciutoli grado per questo, gli dette poi sempre provisione».
Destinata a divenire per molto tempo il modello di villa gentilizia suburbana, dove trascorrere in armonia i momenti di svago all'aria aperta, a livello architettonico presenta un'originale soluzione architettonica, ossia il collocamento dell'edificio su un alto basamento porticato al quale si accede mediante due scalinate, che fungono da elemento di simbiosi con il paesaggio circostante, tramite tra il giardino e l'ingresso al piano nobile della villa, connotato in facciata da un elegante frontone classicheggiante che reca al centro lo stemma mediceo.
All'interno della villa le ricche decorazioni saranno affidate nel corso del Cinquecento ad alcuni celebri pittori fiorentini, tra cui Andrea del Sarto, Pontormo e, più avanti, Alessandro Allori.

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Sempre a Prato realizzò tra il 1484 e il 1495 il progetto architettonico della chiesa di Santa Maria delle Carceri, considerato uno dei capolavori assoluti tra gli edifici a croce greca, ispirandosi a illustri predecessori quali l'Alberti e, soprattutto, Brunelleschi.
La chiesa appare infatti come un omaggio alla brunelleschiana Cappella Pazzi situata a Firenze nel chiostro della Basilica di Santa Croce; entrambe le opere sono connotate da grazia simmetrica ed equilibrate proporzioni, perfetti esempi di sobrietà architettonica. Il Sangallo, afferma il Vasari, si dedicò a questo progetto in concomitanza della morte del suo illustre committente, Lorenzo de' Medici, lavorandovi con dedizione in anni di profonda incertezza, per poi essere chiamato a Loreto per completare la cupola del Santuario della Santa Casa, un impegno che gli permise di omaggiare il capolavoro della cupola del Duomo di Firenze di Brunelleschi, dimostrando anch'egli con professionalità e passione di saper trovare la soluzione ad un'opera considerata alquanto complessa: «Avvenne, come di continuo avviene, che la fortuna nimica della virtù levò gli appoggi delle speranze a' virtuosi con la morte di Lorenzo de' Medici; la quale non solo fu cagione di danno a gli artefici virtuosi et alla patria sua, ma a tutta l'Italia ancora; e perciò di tal perdita fino il cielo ne fé segno. Rimase Giuliano con gli altri spirti ingegnosi smarriti sconsolatissimo, e per lo dolore si trasferì a Prato vicino a Fiorenza a fare il tempio della Nostra Donna della Carcere, per essere ferme in Fiorenza tutte le fabbriche pubbliche e private. Dimorò dunque in Prato tre anni continui, con sopportare la spesa, il disagio e 'l dolore quanto poteva il meglio. Avvenne che a Santa Maria di Loreto era la chiesa scoperta, et avendosi a voltare la cupola, cominciata già e non finita da Giuliano da Maiano, stavano in dubbio che la debolezza de' pilastri non reggesse tal peso. Per il che scrissero a Giuliano che, se voleva tale opera, la andasse a vedere, et egli come animoso e valente, mostrò con facilità quella poter voltarsi e che a ciò gli bastava l'animo».

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La pianta della basilica di Prato, che come detto è cruciale tra i progetti rinascimentali a croce greca, si basa sull'evidente riferimento simbolico alla forma della croce e presenta quattro bracci corti ed uguali che si congiungono in uno spazio centrale fondato sulle figure elementari del quadrato e del cerchio. I rapporti sono il più semplici possibili: la profondità dei bracci, per esempio, è la metà della loro larghezza, mentre le quattro pareti di fondo della croce sono di larghezza pari all'altezza.

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Una volta mancato il suo mecenate, nel 1492 si recò nella Milano di Leonardo da Vinci e di Donato Bramante; successivamente fu a Savona, incaricato dal cardinale Della Rovere, futuro papa Giulio II, di erigere il palazzo di famiglia nella propria patria d'origine, pensando di stabilirvisi a seguito dell'ascesa al soglio di Pietro dell'acerrimo rivale Alessandro VI Borgia. Il progetto rimase invece incompiuto per via dell'elezione del cardinale Della Rovere a sommo pontefice, nomina che naturalmente favorì il Sangallo, chiamato a Roma a lavorare per la corte papale, traguardo ambito da ogni architetto.
Fu con molta probabilità proprio il Sangallo a fare il nome di un suo talentuoso concittadino al pontefice, un giovane uomo che si era distinto a Firenze per opere come il Bacco o il David, ma che qualche anno prima era passato anche a Roma firmando la Pietà, vale a dire Michelangelo Buonarroti. Giulio II, illuminato mecenate, pensò a Michelangelo per realizzare il progetto della sua sepoltura, consigliato da Sangallo, in un'ambiziosa committenza da cui, spiega Vasari, si crearono le premesse per la costruzione della nuova Basilica di San Pietro, vista la smodata ambizione del pontefice: «Si praticava che 'l divino Michele Agnolo Buonarroti dovesse fare la sepoltura di Giulio, per che Giuliano confortò il papa alla impresa, e che per tale edifizio si fabricasse una cappella a posta, e non por quella nel vecchio San Pietro, non ci essendo luogo; la quale cappella renderebbe quella opera più perfetta e con maestà. Laonde molti architetti fecero i disegni, di maniera che venuti in considerazione appoco appoco, da una cappella si misero alla fabbrica del nuovo San Pietro».
La tomba di Giulio II, come è noto, si trasformò per il Buonarroti nella cosiddetta "tragedia della sepoltura", un titanico mausoleo, oggi visibile solamente in parte nella Basilica di San Pietro in Vincoli, il cui progetto fu improvvisamente accantonato dal pontefice, che scelse Michelangelo per affrescare la volta della Cappella Sistina, decisione che irritò l'artista al punto da lasciare Roma, come scrive egli stesso in una lettera inviata al Sangallo, suo amico e confidente nell'inospitale contesto romano: «io udì dire el Sabato Santo al Papa, parlando con uno gioelliere, a tavola, e col maestro delle cerimonie, che non voleva spendere più uno baiocco né in pietre piccole né in grosse: ond'io ne presi ammirazione assai; pure, innanzi che io mi partissi, gli domandai parte del bisogno mio per seguire l'opera. La sua Santità mi rispose che io tornassi lunedì: e vi tornai lunedì e martedì e mercoledì e giovedì, come quella vide. All'ultimo, el venerdì mattina io fui mandato fuora, cioè cacciato via; e quel tale che me ne mandò, disse che mi conosceva ma che aveva tal commissione.
Ond'io, avendo udito il detto sabato le dette parole, e veggendo poi l'effetto, ne venni in gran disperazione. Ma questo solo non fu cagione interamente della mia partita, ma fu pure altra cosa, la quale non voglio scrivere; basta ch'ella mi fe' pensare, s’i’ stavo a Roma, che fussi fatta prima la sepultura mia che quella del Papa».

Lo stesso Sangallo sceglierà di lasciare Roma a causa del pontefice, quando quest'ultimo gli preferirà il Bramante nella direzione del cantiere di San Pietro, considerando evidentemente il fiorentino come il rappresentante di una tradizione architettonica ormai superata: «Onde talmente si sdegnò Giuliano, per la servitù che avea col papa in minor grado, avendogli promesso tal fabbrica, che domandò licenza; [...] e così con molti doni del papa se ne tornò a Fiorenza», scrive il Vasari.
La chiamata a Roma, nata sotto ottimi auspici, si rivelò così alquanto effimera, sebbene sia da riconoscere il ruolo del Sangallo quale promotore del Buonarroti presso Giulio II. I due artisti, uniti dalla comune terra natia, furono protagonisti a Roma, nonostante le varie difficoltà, di un episodio alquanto sorprendente e, per la loro professione, del tutto straordinario. Bisogna infatti immaginarsi il loro stupore quando, in un giorno di gennaio dell'anno 1506, uno scavo archeologico sul Colle Esquilino riportò alla luce un'enorme scultura di marmo. Giulio II incaricò immediatamente il Sangallo, suo consigliere artistico nonché esperto conoscitore e studioso dell'antico, di recarsi sul posto per capire di cosa si trattasse; insieme a lui si precipitò anche Michelangelo. Dal terreno emergeva nel frattempo un gruppo marmoreo, un nudo virile quasi del tutto intatto, dalle bellissime fattezze, con un braccio alzato e l'altro teso a impugnare un serpente pronto a mordergli il fianco. Il Sangallo non esitò nel constatare che si trattava del Laocoonte, personaggio della mitologia greca, la cui statua è oggi custodita nei Musei Vaticani, dove il pontefice volle collocarla non appena compreso il valore della scoperta.
Il soggetto, reso celebre da Virgilio nell'Eneide, era stato menzionato da Plinio, che indicava come autori tre scultori greci di Rodi, i migliori del loro tempo, ossia Agesardo, Atanodoro e Polidoro.
L'opera, di una bellezza e di una terribilità senza pari, sarà fondamentale per Michelangelo, da sempre affascinato dall'esaltazione della fisicità e dell'anatomia umana, basti osservare il soffitto sistino.

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Venuto a mancare Giulio II, nel 1513 fu eletto papa Leone X Medici, figlio del Magnifico, così il Sangallo fu di nuovo a Roma ed ottenne finalmente l'ambita carica di primo architetto della fabbrica insieme a Raffaello Sanzio. Vi lavorò però solo sino al 1515, scegliendo - dopo la giusta ricompensa per un incarico a cui aveva dovuto rinunciare in favore del Bramante - di ritirarsi nella sua Firenze, essendo prostrato dalle fatiche e dalla malattia, spegnendosi l'anno seguente. Si può tuttavia osservare un prezioso disegno del suo progetto per la basilica, custodito nel Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Galleria degli Uffizi, in cui appare evidente la scelta di una pianta longitudinale simile a quella che oggi conosciamo, opera di Carlo Maderno.

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Bibliografia

  • Giuliano da San Gallo architettore - Silvia Guagliumi - Tau Editrice
  • Disegno e analisi grafica - Mario Docci - Editori Laterza
  • Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - Giorgio Vasari - Einaudi
  • Rime e Lettere - Michelangelo Buonarroti (a cura di Antonio Corsaro e Giorgio Masi) - Bompiani
  • Michelangelo. Una vita inquieta - Antonio Forcellino - Editori Laterza
  • Michelangelo. L'architettura - Adriano Marinazzo - Giunti
  • Principi architettonici nell'età dell'Umanesimo - Rudolf Wittkower - Einaudi
  • La fabbrica di San Pietro. Il principio della distruzione produttiva - Horst Bredekamp - Einaudi
  • Storia della basilica di San Pietro - Paola Boccardi Storoni - Editoriale Viscontea Pavia

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