François Duquesnoy

Nelle Vite di Giovan Pietro Bellori, opera imprescindibile per ogni studioso della storia dell'arte che vuole accostarsi alla grande stagione barocca, poco spazio è riservato alla nobile professione della scultura, in quanto considerata ancora inferiore alla pittura, che a inizio Seicento aveva raggiunto le sue vette espressive con i capolavori di Annibale Carracci e Caravaggio, continuando per tutto il secolo grazie alle opere, tra gli altri, di Guido Reni, Domenichino e Giovanni Lanfranco.
In effetti in ambito scultoreo non vi era un artista in grado di imporsi come nuovo punto di riferimento, erede della tradizione cinquecentesca di Michelangelo Buonarroti e Benvenuto Cellini. Bellori inserisce però nel suo trattato le biografie degli scultori Alessandro Algardi e Duquesnoy, fiammingo, considerandoli gli unici in grado di proseguire lo spirito del Rinascimento. Scrive infatti nell'incipit della Vita dell'Algardi: «Benché la scoltura fino a questo tempo sia molto indietro a gl'antichi nel poco numero delle statue moderne che meritino fama, non essendo essa pervenuta alla perfezzione del pennello, né avendoci fatto vedere lo scultore come la pittura il pittore ci ha dimostrato, con tuttociò all'età nostra si rinvigorì e ripigliò le forze con lo studio di due chiarissimi artefici, Francesco Fiammingo ed Alessandro Algardi, [...] nelle cui mani fu restituito lo spirito a i marmi».

Duquesnoy, nato a Bruxelles nel 1597 e trasferitosi a Roma nell'anno 1618, dove divenne noto come Francesco Fiammingo, «Era di statura giusta, e secondo il nativo temperamento della Fiandra, candido e biondo, gli occhi suoi erano di colore celeste, il volto e le membra ben composte ed ordinate in aspetto piacevole e moderato. A queste acconsentivano l'altre qualità dell'animo suo candido ancora, e tanto puro ed umano che chiunque l'avesse una volta conosciuto era indotto ad amarlo; se bene spesso e facilmente sospettava, e si ritirava astratto e pensieroso. Non ammetteva alcuno, e ricusava sino gli amici che lo vedessero nel tempo che stava applicato alle sue straordinarie fatiche, mosso ancora dal sospetto che altri non ispiasse in casa le sue cose. [...] Questo artefice non amò cosa alcuna maggiormente della sua arte, e dalle continue fatiche poté bene restare stanco, ma non mai sazio e vinto», afferma Bellori.

Legato in amicizia con il pittore Nicolas Poussin, Duquesnoy si avvicinò poi al genio di Gian Lorenzo Bernini, ottenendo il privilegio di collaborare nei lavori di costruzione del meraviglioso Baldacchino della basilica di San Pietro.
Proprio nella chiesa più importante della cristianità il Fiammingo fu incaricato nel 1629 da papa Urbano VIII di realizzare una scultura da collocare in uno dei quattro immensi pilastri progettati da Donato Bramante per sostenere la cupola michelangiolesca.

All'interno della nicchia del pilone possiamo oggi ammirare la statua di Sant'Andrea, così descritto dal Bellori: «Sta il Santo Apostolo con la testa elevata in atto di rimirare il cielo: dietro le spalle si attraversa la croce decussata in due tronchi, ed abbracciandone uno con la mano destra distende aperta la sinistra in espressione di affetto e di amore divino nella gloria del suo martirio. Nella quale azzione il Santo espone il petto ignudo col braccio destro che si attiene al tronco; e 'l manto passando dietro la destra spalla ricade dalla sinistra sopra il braccio e si rilega al fianco, diffondendosi sotto a mezza gamba ed all'altro piede. Ma più si accresce la bellezza e l'arte, poiché nell'abbigliarsi il manto sotto il petto viene a cadere in se stesso il panno sopra il panno, mentre staccandosi un gran lembo dal fianco destro pende dal sinistro, ed insieme dalla mano dilatato in più falde».

Il progetto originale della scultura era di Bernini, che nel pilastro vicino aveva da poco concluso uno dei suoi capolavori, vale a dire il San Longino. Evidenti sono le somiglianze tra le due statue, su tutte la postura e la gestualità dei due protagonisti, tuttavia allo stesso tempo si possono capire le differenze sostanziali tra i due artisti. Nel Sant'Andrea si riconosce chiaramente la mano del Fiammingo ed il suo amore per il classicismo, in una maggiore staticità che riprende la scultura greca e un'opera come il Laocoonte, che l'artista ebbe modo di studiare in Vaticano. Se entrambe sono esempi di statue barocche, così come la Veronica di Francesco Mochi e la Sant'Elena di Andrea Bolgi negli altri due piloni, si può tuttavia cogliere lo stile più dinamico e fantasioso del Bernini, sempre pronto a sperimentare nuove soluzioni, e quello più tradizionale del Fiammingo, che qui realizzò la sua opera più importante.

L'amore per il classicismo e lo studio degli antichi da parte di Duquesnoy, che lo lega ad un autore come Alessandro Algardi, deriva probabilmente dalla frequentazione di un pittore quale Poussin e ritorna nell'altra sua statua di primaria importanza per coglierne lo stile e la propria visione artistica. Nella chiesa di Santa Maria di Loreto la Santa Susanna, scolpita contemporaneamente al Sant'Andrea, è l'esempio ancor più evidente di questo suo classicismo, un capolavoro che lo storico Jacob Burckhardt considerava "la migliore statua del XVII secolo".
La santa è ritratta mentre simbolicamente calpesta la corona e lo scettro imperiali, dopo aver rifiutato, secondo la leggenda, di sposare il figlio di Diocleziano per non rinnegare Cristo, avviandosi dunque al martirio. Con dolcezza e umiltà ella non guarda in cielo, come tipico delle pose berniniane, ma china il capo rivolgendosi all'umanità. Un'opera come questa, apprezzata dagli scultori del Settecento, spiega la scelta di alcuni artisti, tra cui appunto il Fiammingo, l'Algardi, Andrea Sacchi e, più avanti, Carlo Maratta, di contrapporsi allo spirito e al gusto barocco di Bernini, Borromini e Pietro da Cortona che stava prendendo il sopravvento nella Roma seicentesca.

Così la descrive magistralmente il Bellori: «Muovesi la Santa in una bella azzione, poiché tenendo nella destra la palma, travolge il volto al popolo ed addita con la sinistra l'altare; ma nello sporgere alquanto il braccio fuori del manto arretra sotto la gamba e posa su l'altro piede. Siché le membra vicendevolmente s'oppongono con moto lieve e soave, ritenendo il costume d'una vergine nobile ed umile dedicata a Cristo. Spira nel volto un'aria dolce di grazia purissima, con semplice chioma raccolta, e tutti i lineamenti sono formati alla bellezza ed al pudore. Ma consistendo la perfezzione di questa statua principalmente nel suo panneggiamento, per essere tutta vestita, il manto è sottile e lieve e disposto in modo sopra la tonaca che, restando scoperto il petto e la spalla destra, ricade sopra il braccio e la mano che tiene la palma. Dalla spalla sinistra si avvolge e ripiega sotto il gombito, e n'esce fuori la mano, che addita l'altare. Qui lo scultore prese occasione di esporre nelle pieghe tutta l'industria dello scarpello; poiché il manto, spiegandosi dal gombito e sotto il seno, vela il resto del corpo e si solleva all'altro fianco, e con doppio scherzo ricade in un lembo e si scuopre sotto la tonaca a mezza gamba, scorrendo le pieghe sino all'altro piede, e tanto che v'apparisce la rotondità pura delle membra; e sopra il petto e le mammelle s'increspa gentilmente la tonaca in modo che il sasso, perduta affatto l'asprezza, s'assottiglia nelle pieghe e si avviva nello spirito e nell'atto. [...] Poté tanto Francesco con lo studio suo sopra questo marmo che lasciò a' moderni scultori l'esempio delle statue vestite, facendosi avanti al pari de' megliori antichi in uno stile tutto gentile e delicato, non essendovi fin ora chi l'agguagli con opera di scarpello».

Bibliografia

  • Le Vite de' pittori, scultori e architetti moderni - Giovan Pietro Bellori - Einaudi
  • Il Barocco - Tomaso Montanari - Einaudi
  • Arte in primo piano. Manierismo, Barocco, Rococò - Giuseppe Nifosì - Editori Laterza