Italo Svevo

Italo Svevo è uno dei più grandi romanzieri italiani contemporanei, nato nel 1861 a Trieste, allora città di frontiera che faceva parte dell'Impero austro-ungarico.
La sua letteratura è un’analisi interiore della coscienza moderna, capace di narrare in modo paradossale e ironico l’inspiegabile tragicità della vita quotidiana. Svevo mostra la debolezza dei propri personaggi riuscendo a farci immedesimare in loro con facilità; i suoi romanzi non hanno un preciso svolgimento dei fatti, un finale chiaro, bensì aperto a varie possibilità perché a noi lettori non importa sempre come sono andate realmente le cose, ma capire come è fatto davvero l’uomo nuovo protagonista del racconto.
Secondo Svevo la letteratura prende senso solo quando parla di vita, per questo cerca di cogliere interamente la complessità e la profondità dell’umano. La particolare attenzione alla parte psicologica dei personaggi accosta la sua poetica al pensiero di Sigmund Freud, autore decisivo per l’elaborazione del capolavoro La Coscienza di Zeno.

Il protagonista del romanzo è pieno di contraddizioni: ha un amico, ma l'affetto che prova nei suoi confronti è pari all'invidia; sposa una donna che non ama solo per divenire il cognato della bellissima sorella che lo ha respinto; vuole smettere di fumare, ma in realtà si gode ogni volta il piacere dell'ultima sigaretta e quello della trasgressione che accompagna quella successiva.
Per questi motivi sentiamo vicini a noi il personaggio, proprio perché l'autore ne mette in risalto tutte le debolezze, spingendo il lettore ad immedesimarsi e a credergli.
Tutto ciò rende l'opera piacevole da leggere perché in grado di svelare con ironia i complessi meccanismi dell'animo umano e di spiegarli in modo chiaro facendo immedesimare nel protagonista ognuno di noi.

Autoritratto con sigaretta - Edvard Munch - 1895

Svevo nacque da un commerciante ebreo austriaco e da un ebrea italiana, potendo studiare l'italiano in una scuola di Trieste e successivamente il tedesco in un collegio della Baviera. La doppia componente, italiana e tedesca, delle sue origini famigliari e della sua cultura lo portò a scegliere lo pseudonimo di Italo Svevo per firmare le sue composizioni, il suo nome era infatti Ettore Schmitz.
La città di Trieste vide nascere in questo periodo due grandi scrittori della letteratura italiana novecentesca, Svevo, appunto, e Umberto Saba. Fino ad allora, però, non aveva avuto una vera tradizione culturale in quanto città dedita principalmente al commercio e agli scambi economici grazie al suo grande porto.

Il porto di Trieste - Egon Schiele - 1907

A seguito delle difficoltà economiche dell'azienda del padre, Svevo fu costretto a trovarsi un posto in banca a soli diciannove anni, senza però rinunciare agli interessi letterari. Così lesse i romanzieri francesi dell'Ottocento; Stendhal, Honoré de Balzac, Gustave Flaubert ed Émile Zola, i grandi classici italiani e i filosofi tedeschi, soprattutto Arthur Schopenhauer.
In Svevo confluiscono una grande varietà di interessi culturali difficilmente conciliabili tra loro: il Positivismo di Darwin, il marxismo, il pensiero negativo di Schopenhauer e di Friedrich Nietzsche, infine le nuove teorie di Freud.

Nel 1892 uscì il suo primo romanzo, Una vita, che ha come protagonista Alfonso Nitti, un giovane intellettuale con aspirazioni letterarie, inetto nella vita e fallito nell'arte. Lasciato il paese natale si trasferisce a Trieste dove trova lavoro in banca, svolgendo mansioni ripetitive e noiose. Spinto dall'ambizione personale decide di sedurre Annetta Maller, la figlia del padrone. Anch'ella è appassionata di libri e di scrittura, ma il tentativo di sposarla e di elevarsi socialmente falliscono. Alfonso decide allora di fuggire e fare ritorno al paese d'origine dove la madre, già gravemente malata, muore. Una volta tornato in banca tutti lo evitano e viene declassato. Annetta si è nel frattempo fidanzata con il suo rivale, Macario, giovane disinvolto e sicuro di sé. Per un equivoco, il fratello di Annetta lo sfida a duello, ma Alfonso rifiuta anche questa prova e si toglie la vita, pensando che Annetta pianga infine sulla sua tomba.
I temi fondamentali del racconto sono l'attenzione realistica alla condizione lavorativa e piccolo-borghese che avrà fortuna anche nel romanzo di primo Novecento, da Federigo Tozzi e Luigi Pirandello al Kafka del Processo; la condanna del "bovarismo" dell'intellettuale, termine che deriva da Madame Bovary di Flaubert che indicava la tendenza a fuggire dalla monotonia della vita di provincia e l'evasione dalla realtà; la critica alla concezione di letteratura come gioco di società e seduzione; infine il tema del rivale che ritornerà in Senilità e nella Coscienza di Zeno.

Svevo si sposa nel 1896 con la cugina Livia Veneziani, con cui era fidanzato dal 1892. Figlia di un ricco industriale cattolico, per sposarla lo scrittore dovrà abiurare la religione ebraica ed accogliere quella cristiana. L'anno successivo al matrimonio nacque la figlia Letizia.

Nel 1898 venne pubblicato Senilità, il secondo romanzo di Svevo redatto tra il 1892 e il 1897. L'edizione che oggi leggiamo è però quella rivista dall'autore nel 1927.
Uno dei temi principali è ancora quello dell'inettitudine del protagonista, Emilio Brentani, impiegato di trentacinque anni con ambizioni letterarie, giovane "invecchiato" precocemente che tenta di riscattare la propria senilità anticipata con una storia d'amore che pensa di poter condurre a proprio piacimento finendo invece per rimanerci vittima. Egli vive con la sorella Amalia, zitella vissuta sempre nella sua ombra, conducendo un'esistenza monotona.
Emilio ha un amico scultore, Stefano Balli, con cui ha instaurato un legame simile a quello tra Alfonso e Macario in Una vita. Stefano è infatti brillante e ha successo con le donne, mentre Emilio è passivo, spento e senza grandi esperienze in amore. Quando Emilio conosce Angiolina sogna di avere con lei un'avventura felice, breve e spensierata, come quelle dell'amico, ma la relazione si complica perché il protagonista tende a idealizzare la donna, attribuendole, come suggerisce il nome, la figura della donna angelicata, mentre lei è una giovane sveglia e guidata da interessi materiali. Quando si accorge della sua vera natura la lascia, ma presto si accorge di non poter fare a meno di lei, sia della sua bellezza che della sua vitalità. Angiolina intanto si innamora di Stefano, per il quale fa da modella, inoltre si scopre che Amalia è segretamente innamorata dello scultore, passione per cui soffre molto cercando di dimenticare con la droga. Indebolita e ammalata, mentre sta per morire il fratello la abbandona per recarsi da Angiolina ed insultarla violentemente. Rimasto solo senza la sorella e la donna di cui si era innamorato, il protagonista si richiude di nuovo, e definitivamente, nella sua solitudine e nella sua condizione di senilità.

La danza della vita - Edvard Munch - 1899

Nel 1899 Svevo lasciò il posto in banca per occuparsi della ditta di vernici del suocero e dedicarsi maggiormente alla famiglia, abbandonando la letteratura. È il periodo del cosiddetto "silenzio" letterario, anche se in realtà continuerà a scrivere racconti senza pubblicare nulla. Lo scrivere sembra essere diventato per lui un'attività secondaria che gli permette di svagarsi nei periodi di lavoro intenso e dalle molte responsabilità. Vent'anni dopo, nel 1919, tornò alla letteratura componendo in tre anni La coscienza di Zeno. Nel frattempo aveva conosciuto lo scrittore James Joyce, determinante per far conoscere il romanzo in Francia, in quanto si era trasferito a Parigi, dando il via al "caso Svevo" e al successo del libro. In Italia uno dei primi estimatori di Svevo fu invece Eugenio Montale.
Sorpreso del grande successo, Svevo riprese a scrivere racconti e commedie e cominciò un quarto romanzo che però non vide mai la luce perché l'autore si spense nel 1928, all'età di sessantasei anni, a causa di un incidente stradale.

La coscienza di Zeno

Pubblicato nel 1923, venticinque anni dopo Senilità, è il capolavoro di Svevo. Il titolo contiene il nome del protagonista, Zeno, autore della propria autobiografia, e soprattutto il termine "coscienza". Esso ha un duplice significato: è la consapevolezza in senso psicologico e quindi riguarda la psicoanalisi, il cui scopo è indagare l'inconscio cercando di portare coscienza là dove vi è l'inconsapevolezza di sé; dall'altra significa consapevolezza morale, coscienza di ciò che è giusto o sbagliato.
Il libro è composto da 8 capitoli:

  1. Prefazione
  2. Preambolo
  3. Il fumo
  4. La morte di mio padre
  5. Storia del mio matrimonio
  6. La moglie e l'amante
  7. Storia di un'associazione commerciale
  8. Psico-analisi
Il primo capitolo è scritto dal dottor S., lo psicoanalista di Zeno, evidente omaggio di Svevo a Sigmund Freud e alle sue nuove teorie che in quegli anni rappresentavano una grande novità. È inoltre la prima volta che uno psicoanalista compare nella narrativa italiana; non è infatti solo colui che introduce l'opera ma anche un personaggio del romanzo.
Svevo si interessò personalmente a questi nuovi studi sulle profondità della psiche umana, conoscendo la pratica terapeutica almeno dal 1910, quando il fratello di sua moglie era andato a Vienna da Freud per curare la propria nevrosi. Scrisse Svevo a proposito della psicoanalisi: "Si fece psicoanalizzare per due anni e ritornò dalla cura distrutto: abulico come prima ma con la sua abulia aggravata dalla convinzione ch'egli, essendo fatto così, non potesse agire altrimenti. È lui che mi diede la convinzione che fosse pericoloso di spiegare ad un uomo com'è fatto". Quindi per Svevo la psicoanalisi riesce a comprendere molto bene l'animo umano, ma non è affatto una medicina, in quanto secondo lui conoscere la verità su di sé non fa che aggravare la malattia. Questa visione è dunque opposta a quella di Freud. Svevo utilizza la psicoanalisi per creare psicologie verosimili e attendibili, in cui il lettore si ritrova, ma dall'altra parte nega la guarigione dalla nevrosi attraverso questa tecnica e anzi sembra essere quasi ironico quando parla delle analisi del dottor S.; come si legge dalla Prefazione, il dottore avrebbe infatti pubblicato le memorie del suo paziente "per vendetta" e inoltre alla fine del romanzo il protagonista dichiarerà di essere effettivamente guarito quando interromperà la cura. 

Io sono il dottore di cui in questa novella si parla talvolta con parole poco lusinghiere. Chi di psico-analisi s'intende, sa dove piazzare l'antipatia che il paziente mi dedica.
Di psico-analisi non parlerò perché qui entro se ne parla già a sufficienza. Debbo scusarmi di aver indotto il mio paziente a scrivere la sua autobiografia; gli studiosi di psico-analisi arricceranno il naso a tanta novità. Ma egli era vecchio ed io sperai che in tale rievocazione il suo passato si rinverdisse, che l'autobiografia fosse un buon preludio alla psico-analisi. Oggi ancora la mia idea mi pare buona perché mi ha dato dei risultati insperati, che sarebbero stati maggiori se il malato sul più bello non si fosse sottratto alla cura truffandomi del frutto della mia lunga paziente analisi di queste memorie.
Le pubblico per vendetta e spero gli dispiaccia. Sappia però ch'io sono pronto di dividere con lui i lauti onorarii che ricaverò da questa pubblicazione a patto egli riprenda la cura. Sembrava tanto curioso di se stesso! Se sapesse quante sorprese potrebbero risultargli dal commento delle tante verità e bugie ch'egli ha qui accumulate! ...

DOTTOR S.

All'inizio della Prefazione il dottore parla di un'antipatia che manifesta il paziente nei confronti del suo terapeuta. È il fenomeno del transfert, ben teorizzato da Freud, cioè del trasferimento, sulla persona dello psicoterapeuta, di stati d'animo ambivalenti, di amore e di odio, provati dal paziente durante l'infanzia nei confronti dei suoi genitori. Quindi il transfert può essere positivo o negativo: nel caso di Zeno è negativo in quanto prova antipatia per il medico, rivedendo in lui la figura giudicante del padre. L'analisi può avere esito positivo solo se il transfert positivo vince su quello negativo, ma nel caso di Zeno ciò non si verificherà.
Il dottor S. utilizza inoltre dei termini tra loro contrastanti come "novella" e "autobiografia", "verità" e "bugie", che vale la pena di analizzare. Il termine novella si riferisce a un genere letterario di finzione in cui ciò che viene raccontato può essere verosimile, ma non è mai vero. Un'autobiografia è un racconto in prosa fatto da una persona riguardando la propria vita e focalizzandosi sullo sviluppo della propria personalità. Essa presuppone dunque la sincerità di chi scrive. Qui si nota il netto contrasto tra autobiografia e novella, tra autenticità e menzogna, tra "verità" e "bugie".
Il termine "memorie" non rinvia invece a nessun genere letterario. Esso sottolinea un aspetto centrale del romanzo, cioè quello dei ricordi. La scrittura è ricordo, inteso da Svevo non come la registrazione di ciò che è avvenuto, bensì una ricostruzione a partire dal presente. Nello stesso periodo i temi della memoria, del ricordo e la rievocazione malinconica del passato, erano alla base anche del romanzo Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust, tra i massimi capolavori di tutta la letteratura.

Nel Preambolo, anch'esso molto breve, viene narrato da Zeno il primo tentativo, non riuscito, di ricordare la propria infanzia.

Nel terzo capitolo, Il fumo, inizia il romanzo vero e proprio. Zeno ripercorre la storia della sua "propensione al fumo" partendo da un episodio in cui fumò delle sigarette di nascosto tra adolescenti, scoperto dal padre che poi durante una malattia da parte di Zeno gli vietò di fumare, lui che, peraltro, era un forte fumatore di sigaro. Il dottor S. spiegherà a Zeno che il suo vizio è sintomo di un conflitto irrisolto col padre. Il protagonista soffrirebbe dunque di un complesso di Edipo non superato, ecco perché tende ancora inconsapevolmente ad imitare il padre. A seguito della malattia, Zeno scopre un secondo "disturbo", cioè lo sforzo di liberarsi del primo, il fumo. Paradossalmente quello che fa male a Zeno non è il fumo in sé, bensì la nevrosi dovuta al proposito di smettere e l'incapacità di farlo.
In queste pagine l'autore utilizza molto l'ironia, come nella ricerca, da parte di Zeno, di una data significativa nella quale decidersi a smettere di fumare.
Svevo scriverà in una lettera a Montale che La coscienza è sì un'autobiografia, ma non la propria. In effetti le vicende umane dello scrittore e di Zeno non si possono far coincidere, sebbene l'ossessione per le sigarette sia un elemento comune in entrambe le personalità. Svevo fu infatti accompagnato da questo vizio per tutta la vita e in alcune lettere alla moglie Livia si possono ritrovare gli stessi propositi di smettere di fumare: "Mentre scrivo fumo. È l'ultima sigaretta, l'ultimissima", con addirittura annotata la data e l'ora.

Il quarto capitolo, La morte di mio padre, rievoca il difficile rapporto con la figura paterna. Il padre di Zeno muore per edema cerebrale quando il narratore ha trent'anni. La sua scomparsa avviene quando il conflitto tra i due è ancora gravemente irrisolto. La relazione è infatti ostacolata dall'incomprensione e dai silenzi dovuti all'incapacità di parlare di argomenti profondi. Il più grande dei malintesi è quello che avviene proprio sul punto di morte, quando il padre, ormai incosciente, alza la mano e colpisce il figlio sulla guancia. Zeno rimane sconvolto da quella punizione che il padre gli ha voluto dare prima di andarsene. Con la morte del padre scompare anche il conflitto con lui e la possibilità di scaricare sulla sua figura la propria incapacità di operare delle scelte, la propria inettitudine.
Il pianto di Zeno manifesta soprattutto un dolore per se stesso; Svevo mette in risalto il senso di colpa con cui il protagonista dovrà fare i conti da quel momento in avanti, culmine di un complesso edipico non superato.

Nel quinto capitolo, Storia del mio matrimonio, Zeno racconta le vicende che lo hanno portato al matrimonio. Alla ricerca disperata di una moglie, conosce quattro sorelle figlie di Giovanni Malfenti, con cui ha stretto un rapporto di lavoro e per il quale nutre una profonda stima, al punto di vederlo come una figura paterna. Mentre il protagonista perde infatti tempo passando da una facoltà universitaria all'altra, Malfenti fa affari divenendo uno dei commercianti più stimati di Trieste.
Accolto in casa Malfenti da una delle quattro figlie, Augusta; Zeno la esclude subito come futura moglie perché non è bella e mostra nei suoi riguardi molte attenzioni e rispetto. Anche Anna viene esclusa perché troppo piccola; così Zeno decide di fare la corte alla primogenita Ada. Il suo sentimento non è però corrisposto in quanto la donna lo considera troppo diverso ed è inoltre già promessa sposa a Guido, uomo profondo che ama davvero. Quest'ultimo incarna la figura del rivale, importante anche nei romanzi precedenti.
A seguito del rifiuto, Zeno prova un ultimo tentativo con Alberta, la quarta sorella, per poi accontentarsi di Augusta, la meno attraente, al fine di diventare il cognato di Ada. Augusta, però, si dimostrerà la moglie ideale disposta a vivere per lui. Nonostante ciò Zeno troverà un'amante. Augusta, figura femminile dolce e tenera, rappresenta per lui quel conforto materno mancatogli durante l'infanzia.

Nel capitolo sesto, La moglie e l'amante, Zeno cerca un'amante per sfuggire dalla monotonia della vita coniugale. Si lega così a Carla, basando la relazione solo sul desiderio fisico che diverrà poi una vera e propria passione. Carla, inizialmente insicura, arriverà ad essere una donna energica e dignitosa capace di abbandonare l'amante per un maestro di canto che Zeno stesso le aveva presentato. Mentre il protagonista capisce di non aver mai smesso di amare la moglie, il suo sentimento per l'amante si trasformerà in ambivalente e molto vicino all'odio.

Nel capitolo settimo, Storia di un'associazione commerciale, Guido, che nel frattempo ha sposato Ada, chiede l'aiuto del cognato Zeno per mettere in piedi un'azienda. Per il protagonista è l'occasione di rivalsa al cospetto di Ada. Guido inizia però a sperperare il suo patrimonio e a tradire la moglie. Zeno ha così la soddisfazione di essere incaricato da Ada di aiutare e proteggere il marito. A seguito di un'ennesima perdita in un affare, Guido simula il suicidio per indurre la moglie ad aiutarlo economicamente. Più avanti ritenterà il gesto, ma finisce per uccidersi davvero con un potente sonnifero.
Zeno, impegnato a salvarne il patrimonio, non riesce ad arrivare in tempo al suo funerale, accodandosi al corteo funebre sbagliato, accusato da Ada, ormai non più desiderabile a causa di una malattia, di essere ancora geloso. Quello di Zeno è un esempio infatti di "atto mancato", nozione che Svevo aveva imparato da Freud, cioè quella manifestazione inconscia della nostra psiche che mostra rancori oppure desideri rimossi.

Nel capitolo conclusivo, Psico-analisi, il protagonista, dopo aver interrotto la cura psicoanalitica, si dichiara completamente guarito, anzi non è mai stato malato. Malato è chi si sente sano in questo mondo. La vera malattia è avere certezze, principi, senza chiedersi della propria effettiva condizione. In un finale apocalittico, Zeno afferma che l'uomo è ammalato così in profondità che nessuna medicina lo potrà guarire, "la vita è inquinata alle radici", e dunque l'uomo potrà paradossalmente salvarsi dalla propria malattia solo attraverso la scomparsa della specie umana. "Forse attraverso una catastrofe inaudita prodotta dagli ordigni ritorneremo alla salute".