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DI MARCO CATANIA

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Sandro Botticelli

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Meritò dunque Sandro gran lode in tutte le pitture che fece, nelle quali volle mettere diligenza e farle con amore.

Descrive così il critico aretino Giorgio Vasari nelle Vite il pittore Sandro Botticelli, assoluto protagonista del Rinascimento e della corte del Magnifico Lorenzo, portatore di una grazia e di una bellezza senza tempo, artista divenuto l'emblema in tutto il mondo della raffinata civiltà fiorentina del suo tempo grazie all'eterno capolavoro della Nascita di Venere.

Nato a Firenze nel 1444 o 1445, quartogenito della famiglia, il suo vero nome era Alessandro di Mariano di Vanni Filipepi. Mariano di Vanni era il padre; Smeralda la madre. Il nome di battesimo Alessandro venne abbreviato nel corso del tempo, mentre “Botticelli” ha probabilmente origine dal nomignolo del fratello Giovanni, evidentemente di costituzione robusta, soprannominato per questo “botticella”, oppure dalla professione dell'altro fratello, Antonio, un orefice, che in fiorentino si diceva "battigello". «Ne' medesimi tempi del Magnifico Lorenzo Vecchio de' Medici, che fu veramente per le persone d'ingegno un secol d'oro, fiorì ancora Alessandro, chiamato a l'uso nostro Sandro e detto di Botticello», ricorda il Vasari.

Cresciuto con i suoi fratelli nel quartiere di Santa Maria Novella, trascorse qui l'intera vita, instaurando importanti legami. Nelle vicinanze viveva, per esempio, la famiglia Vespucci, da cui dieci anni dopo la nascita di Botticelli discese il famoso commerciante e viaggiatore Amerigo. I Vespucci erano amici dei signori di Firenze, i Medici, e furono tra i primi sostenitori del pittore.
Nel quartiere, inoltre, presso la basilica di Santa Maria Novella, il giovane Botticelli poteva osservare una delle opere più rilevanti del tempo, la Trinità del Masaccio, databile al 1427, primo esempio di uso delle leggi della prospettiva centrale. Di quest’opera scriveva il Vasari: «Ma quello che vi è bellissimo oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono e scortano così bene, che pare che sia bucato quel muro».

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La Firenze dell’epoca di Botticelli era una città che si apprestava a vivere gli anni più fecondi a livello artistico e culturale, divenendo il centro del Rinascimento. Nel 1436, solo nove anni prima della nascita di Botticelli, Filippo Brunelleschi aveva terminato l’immensa cupola del Duomo e presto, per le vie del capoluogo toscano, si sarebbero incrociati i tre più grandi pittori della storia dell’arte, Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.

L'apprendistato di Botticelli si svolse presso la bottega di Filippo Lippi dal 1464 al 1467. Risalgono a questi anni le sue prime opere, una serie di raffigurazioni della Vergine come la Madonna col Bambino degli Innocenti, del 1465-1467 e custodita alla Galleria dello Spedale degli Innocenti di Firenze, primo documento certo che ci permette di osservare la maniera iniziale del Botticelli, in cui è evidente l'influenza diretta del maestro. Maria, seduta di profilo, prende in braccio il piccolo Gesù che un angelo le sta porgendo volgendo lo sguardo all'osservatore come a coinvolgerlo nella scena.

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Confronto tra il dipinto di Botticelli e quello del maestro, conservato agli Uffizi, noto come "La Lippina".

Nel dipinto Madonna col Bambino e un angelo, databile negli stessi anni, si nota ancora di più la ricerca da parte del pittore di una bellezza ideale, che pone l'attenzione alla figura umana piuttosto che al paesaggio, in uno studio connotato da fisionomie eleganti, amorevolezza degli sguardi e colori delicatamente intonati. Qui la Vergine è in piedi, unita in un tenero bacio con Gesù Bambino, all'interno di una composizione la cui cornice è costituita da un festone decorativo posto attorno alla parte superiore della tavola.

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Un'altra dolcissima immagine di maternità è la Madonna della Loggia custodita alla Galleria degli Uffizi di Firenze, in cui vediamo, in una precisa architettura che lascia intravedere un paesaggio smisurato all'orizzonte, il Bambino Gesù andare incontro alla Madre, felice e compiaciuta di abbracciarlo, tuttavia non manca nell'espressione della Vergine quella velata malinconia tipica nella produzione di Botticelli.

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Terminato l'apprendistato presso il Lippi, a partire almeno dal 1470 il Botticelli ebbe una bottega propria. In questo periodo risultano determinanti nel processo di maturazione del proprio linguaggio pittorico gli insegnamenti di Andrea del Verrocchio, nella cui bottega poté conoscere giovani talenti tra cui Pietro Perugino, Domenico Ghirlandaio, Bartolomeo della Gatta e lo stesso Leonardo.
Il cambiamento stilistico del Botticelli è evidente in altre due raffigurazioni di Madonne, databili intorno al 1470. Nella Madonna in gloria di serafini, Maria ha il viso dolce e delicato ed è mostrata in atteggiamento riflessivo mentre osserva il suo Bambino. Simile è la Madonna del Roseto, nella quale Gesù guarda la Madre che appare assorta nei propri tristi presagi perché consapevole del destino di suo figlio, al quale porge una melagrana, simbolo di Resurrezione, di cui il piccolo mangia i chicchi. Attorno a loro non vi è più una schiera di angeli, bensì un arco sostenuto da quattro colonne e alle spalle il contesto di un giardino con arbusti di rose, allusione alla purezza della Vergine. Entrambe le opere sono conservate agli Uffizi.

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Intanto Botticelli entrava sempre più a far parte di quel colto e nobile ambiente della corte medicea di Lorenzo il Magnifico. Testimonianza ne è l'Adorazione dei Magi degli Uffizi, del 1475 circa, che mostra numerosi ritratti dei componenti della famiglia Medici giunti ad adorare il piccolo Gesù appena nato. Si riconoscono infatti Cosimo il Vecchio con i figli Piero e Giovanni, nelle vesti dei tre Magi che offrono i loro doni al Bambino. Rigorosamente in ordine dinastico, alla sinistra di Piero vi sono in piedi i figli Lorenzo, con una lunga veste bianca e azzurra ed il cappello, mentre a destra Giuliano de' Medici, posto in perfetta specularità e caratterizzato da un'espressione malinconica. Non mancano infine anche letterati e filosofi di questa corte squisitamente intellettuale, tra cui Agnolo Poliziano e Pico della Mirandola. Non per ultimo, all'estrema destra della tavola, si scorge l'autoritratto dell'artista, ormai parte di questa cerchia culturale e politica dove si univano armoniosamente potere e bellezza grazie alle indiscusse capacità del Magnifico.

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La composizione fu lodatissima dal Vasari che scrisse: «Né si può descrivere la bellezza che Sandro mostrò nelle teste che vi si veggono; le quali con diverse attitudini son girate, quale in faccia, quale in proffilo, quale in mezzo occhio, e qual chinata, et in più altre maniere e diversità d'arie di giovani, di vecchi, con tutte quelle stravaganzie che possono far conoscere la perfezzione del suo magisterio; avendo egli distinto le corti di tre re, di maniera che e' si comprende quali siano i servidori dell'uno e quali dell'altro: opera certo mirabilissima; e per colorito, per disegno e per componimento ridotta sì bella, che ogni artefice ne resta oggi maravigliato».

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Uno degli uomini di lettere protagonisti presso la corte medicea fu appunto Agnolo Poliziano, poeta prediletto del Magnifico e autore delle Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano, opera dedicata al fratello minore di Lorenzo, Giuliano de' Medici, rimasta incompiuta per la prematura scomparsa di quest'ultimo durante la Congiura dei Pazzi. Il Botticelli gli rese omaggio con un ritratto datato 1478 di cui esistono ben tre versioni, una delle quali, qui sotto, è conservata all'Accademia Carrara di Bergamo.

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Celeberrima fu la sfortunata relazione amorosa di Giuliano con la giovane genovese Simonetta Vespucci, giovane nobildonna capace di conquistare con la sua grazia tutta Firenze. Musa ispiratrice del Botticelli in numerosi ritratti, come questo datato intorno al 1476, il volto della giovane compare forse anche nella Nascita di Venere, come se il pittore avesse voluto donare eterna vita a cotanta bellezza, ad un'esistenza stroncata a soli ventitré anni dalla malattia, lasciando nel dolore più assoluto il povero Giuliano, che la raggiunse due anni più tardi a seguito dell'omicidio.

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Ormai divenuto noto anche fuori dai confini fiorentini, Botticelli ottenne numerose commissioni anche da altre città, la più importante delle quali arrivò nel 1481 da Roma quando l'allora pontefice Sisto IV della Rovere lo chiamò, insieme ai migliori professionisti del tempo, per affrescare le pareti laterali della Cappella Sistina. Qui Perugino, Ghirlandaio, Cosimo Rosselli, Luca Signorelli e appunto il Botticelli ebbero la loro sfida più grande, lavorare per il papa in quella che sarebbe diventata la cappella più famosa nella storia delle arti. Così il Vasari: «Et allora gli arrecò in Fiorenza e fuori tanta fama che papa Sisto IIII avendo fatto fabricare la cappella in palazzo di Roma e volendola dipignere, ordinò ch'egli ne divenisse capo. [...] Laonde, acquistato fra molti concorrenti che seco lavorarono e Fiorentini e di altre città, fama e nome maggiore, ebbe da 'l Papa una buona somma di danari».

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Sisto IV ritratto da Melozzo da Forlì in un affresco custodito alla Pinacoteca Vaticana.

Curioso è quanto accade al turista che entra nella Sistina, rapito dalla potenza dell'arte michelangiolesca, dalla perfetta anatomia dei nudi che popolano l'impresa leggendaria della volta, con la Creazione di Adamo al centro, sino al terrificante Giudizio sullo sfondo che sembra incombere su chiunque abbia l'ardire di guardarlo. Così, molte volte i visitatori quasi non si accorgono dei preziosi affreschi che adornano le due pareti laterali, i primi ad essere realizzati in questo luogo unico divenuto una vera e propria antologia figurata della pittura rinascimentale.

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Entrando dalla porta principale, dalla parte opposta rispetto all'ingresso del percorso dei Musei Vaticani, si vedono sulla parete di destra le Storie di Gesù e sulla parete di sinistra le Storie di Mosè, scene tratte dunque dall'Antico e dal Nuovo Testamento, a dimostrazione della concordanza tra la vita di Mosè e quella di Cristo, i due grandi legislatori. Poste in perfetta specularità di immagine e contenuto, le scene presentano dunque dei parallelismi concettuali volti a mostrare la superiorità del Nuovo Testamento, del Cristianesimo sulla religione antica; tutto quello che si annuncia in forma imperfetta nel Vecchio Testamento trova infatti compiuta realizzazione nel Nuovo. In tal senso lo stile lineare del Botticelli, di sublime bellezza e potenza espressiva, ben si prestava alla trasposizione in figure delle connessioni tra Antico e Nuovo Testamento.

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La Sistina prima degli interventi di Michelangelo in una ricostruzione del XIX secolo.

Botticelli si cimentò in tale parallelismo nel secondo registro di affreschi a partire dalla parete d'altare del Giudizio. Nelle Storie di Gesù troviamo così le Prove di Cristo, le cui scene, descritte dall'evangelista Matteo, si vedono nella zona superiore del dipinto. Il demonio, che indossa i panni di un eremita, tenta il Signore, a digiuno nel deserto da quaranta giorni e quaranta notti, chiedendogli di trasformare le pietre in pane, come vediamo a sinistra. Al centro, sulla sommità del tempio, lo invita a gettarsi così che i suoi angeli possano venire a salvarlo. A destra, Satana mostra infine al Figlio di Dio lo sfarzo delle ricchezze mondane e gli promette il potere del mondo se solo si prostrerà a lui. Gesù, però, non cede al tentatore, che finisce per cadere da un precipizio mostrando il suo vero volto diabolico.
Gesù si vede nuovamente a sinistra nel piano centrale del dipinto, accompagnato da alcuni angeli, posto come spettatore di quanto avviene in primo piano. Dinanzi al tempio si sta infatti compiendo un sacrificio, con alcuni personaggi che portano le loro offerte, tra cui è da notare per eleganza la bellissima donna che tiene sulle spalle un fascio di legna.

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In connessione al dipinto precedente, esattamente di fronte, troviamo le Prove di Mosè, che il fiorentino dipinse riportando fedelmente gli episodi della vita giovanile del patriarca scritti nel Libro dell'Esodo. Da destra si vedono dunque Mosè, vestito di giallo e verde in ogni scena così da essere riconosciuto, mentre uccide un egiziano che aveva maltrattato un israelita, fuggendo poi verso il deserto, come si vede sullo sfondo. Più al centro scaccia i pastori che impediscono alle figlie del sacerdote Ietro, tra cui la sua futura moglie Sefora, di abbeverarsi al pozzo, per poi attingere l'acqua per le fanciulle e le loro pecore. A sinistra, sulla sommità del monte, Mosè, guardiano del gregge di Ietro, si toglie i calzari per poi avvicinarsi al roveto ardente dove Dio gli comunica la missione di tornare in Egitto e liberare il suo popolo, con il corteo più in basso in cui il patriarca guida gli Israeliti fuori dall'Egitto.

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Conclude l'intervento in Sistina del Botticelli un altro autentico capolavoro, la Punizione dei ribelli, che, insieme alla Consegna delle chiavi del Perugino posto di fronte, è sicuramente uno degli affreschi che rapiscono maggiormente l'attenzione del visitatore, probabilmente per il bellissimo arco trionfale che fa da sfondo alla scena, nient'altro che l'Arco di Costantino situato accanto al Colosseo, a dimostrazione di come l'antichità romana impressionò notevolmente il pittore.
Mosè interviene contro gli usurpatori dell'autorità sacerdotale, con chiaro riferimento ai tentativi di quegli anni di mettere in discussione il potere del papato, che invece discende direttamente da Dio, come celebra magnificamente l'affresco del Perugino. Evidente è dunque l'allegoria del potere papale e della punizione che spetta a chi oserà sostituirsi ai capi eletti da Dio.
Secondo un programma iconografico studiato minuziosamente, Sisto IV legittimò così la sua autorità papale, che a lui veniva da Mosè attraverso Cristo sino a Pietro.

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Finiti i lavori romani, il pittore fece ritorno a Firenze, «Dove, per essere persona sofistica, comentò una parte di Dante; e figurò lo Inferno e lo mise in stampa», afferma Vasari. Botticelli fu dunque ispirato dalla lettura di Dante, del quale realizzò anche un celeberrimo ritratto, dando vita ad una innumerevole serie di disegni per illustrare la Divina Commedia, uno dei quali è custodito in Vaticano ed è il più noto perché uno dei pochi conclusi, ossia La voragine infernale.

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L'Alighieri non fu l'unica fonte d'ispirazione letteraria per l'artista, come dimostrano quattro piccole tavole oggi al Museo del Prado di Madrid che illustrano la novella di Nastagio degli Onesti del Decameron di Giovanni Boccaccio, la cui commissione gli giunse forse dallo stesso Lorenzo de' Medici in occasione di un matrimonio. Il racconto costituisce infatti una sorta di ammonimento per tutte le donne ad essere più gentili nei riguardi dei loro innamorati. La scena raffigurata è il momento conclusivo della storia, prima del matrimonio e del lieto fine, quando Nastagio, durante un banchetto, mostra a tutti il proprio sogno in cui vede un cavaliere, impegnato in una macabra "caccia infernale", rincorrere per l'eternità l'amata che in vita non aveva corrisposto il suo amore. I particolari descrittivi della tavola imbandita, le espressioni e i gesti di concitazione, così come il paesaggio marino di serena compiutezza, rendono il dipinto prezioso.

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Intorno al 1482 si è soliti datare il primo dei due maggiori capolavori di Botticelli, spesso considerati come un dittico, le cui immagini fanno parte dell'iconografia universale, fonte di attrazione per milioni di turisti che da ogni parte del mondo decidono di recarsi agli Uffizi per contemplarle. Si parla ovviamente della Primavera, dipinta per la camera nuziale di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino di secondo grado del Magnifico. La bucolica composizione, mirabile nella stesura pittorica, è ambientata in un boschetto di aranci ricco di fiori e piante d'ogni specie. Al centro Venere, dea dell'amore, domina la scena, che rappresenta una poetica allegoria della natura intesa come rinnovamento del mondo. Sopra di lei vi è un amorino, bendato, in atto di scoccare i suoi dardi. Da destra a sinistra vediamo Zefiro che irrompe con impeto nel paesaggio, a tal punto da piegare gli alberi, fecondando la ninfa Clori, dalla cui bocca spuntano fiori. Ella si trasforma allora in Flora, dea della giovinezza e della fioritura, secondo quanto narrato dallo scrittore latino Ovidio: «Un tempo ero io Clori, che oggi vengo chiamata Flora». Flora è adornata da un ricercatissimo vestito carico di fiori e guarda verso lo spettatore: «fiori parvero nascer da' capelli, / come ne la divina Allegoria / cui pinse in terra Sandro Botticelli», scrive poeticamente Gabriele d'Annunzio ne La Chimera. Più a sinistra vi sono le tre Grazie che danzano leggiadre tenendosi per mano, mentre Venere sembra quasi accompagnare il loro ballo col suo incedere e sollevando la mano destra. Infine, all'estremità di sinistra della tavola, Mercurio, coperto solo da un mantello rosso, veglia sul compiersi armonioso del ciclo naturale, concludendo simbolicamente la scena nel suo gesto che, oltre a conferire eterna circolarità al dipinto, ci riconduce verso l'alto, a sottolineare la nobiltà degli ideali che l'uomo deve seguire per elevare il proprio spirito. Voltando le spalle alla scena principale, egli è intento nel disperdere le nuvole intrusive che non possono turbare l'eterna primavera del giardino, vero e proprio locus amoenus e immagine di un paradiso perduto, di un regno tanto perfetto quanto inattingibile.

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Le premesse ideologiche poste nella Primavera tornano e vengono sviluppate nel secondo celeberrimo capolavoro, la Nascita di Venere, sintesi di mitologia greca ed espressione compiuta della bellezza e dello splendore del Rinascimento fiorentino. Per comprendere pienamente quanto raffigurato nella tela è necessario tornare in quel contesto in cui nacque, facendo riferimento all'epoca dalla quale, grazie alla fantasia e la capacità unica del suo autore, prese forma e vita divenendone l'emblema stesso.
Siamo a metà degli anni Ottanta del Quattrocento alla corte di Lorenzo de' Medici, ottimo poeta, che insieme a un cenacolo di intellettuali tra cui spiccano Poliziano, Cristoforo Landino, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola, volevano riproporre l'antichità classica in tutta la sua magnificenza, con la stessa spiritualità ed estetica.
Come maestro di questo nascente pensiero venne eletto Platone, considerato il più affascinante filosofo della classicità perché portatore di temi complessi ma alquanto nobili e profondi quali il rapporto fra Dio e il mondo, l'anima, l'amore ed il bello ideale.

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La riscoperta della filosofia platonica avvenne grazie al diffondersi dell'Umanesimo, movimento intellettuale caratterizzato da un nuovo atteggiamento nei confronti dell'antichità, in grado di elaborare una visione diversa del mondo nella quale l'uomo assunse una posizione privilegiata, facendosi artefice del proprio destino. Autore di primaria importanza considerato il precursore delle idee dell'Umanesimo fu Francesco Petrarca, dai cui versi di Chiare, fresche et dolci acque sembra uscire la Venere del Botticelli.

 

 

 

Da' be' rami scendea
(dolce ne la memoria)

una pioggia di fior' sovra 'l suo grembo;
et ella si sedea
humile in tanta gloria
coverta già de l'amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le treccie bionde,
ch'oro forbito et perle
eran quel dì, a vederle;
qual si posava in terra, et qual su l'onde;
qual, con un vago errore
girando, parea dir: Qui regna Amore.

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Nata dalla spuma del mare e giunta a noi da un sogno platonico, Venere, secondo la mitologia greca, approda dopo la nascita sull'isola di Cipro, come narrato dal cieco Omero, da Esiodo, passando per Ovidio e arrivando sino al Poliziano delle Stanze. La dea dell'amore avanza leggera verso l'osservatore fluttuando su di una conchiglia. Zefiro, abbracciato alla sua fidanzata Clori, diffonde un lieve venticello che increspa le onde e accarezza i capelli d'oro di Venere, mentre da ogni parte si cospargono fiori.
La bellissima dea, dipinta quasi a grandezza naturale, appare pura e casta nonostante la completa nudità, mentre con le mani si copre i seni e l'inguine. Intanto, giungendo sulle rive della spiaggia, le si fa incontro Flora per avvolgerla con un manto purpureo decorato di fiori.
Colpiscono la luminosità della superficie della tela, i colori chiarissimi ed il candore delle fattezze della Venere nuda, ma soprattutto la perfezione della visione prospettica in un paesaggio che si perde sino alle più remote lontananze.
In questo stesso paesaggio, che allude ad un'epoca felice ma ormai perduta, il nostro pensiero si lascia andare ad una sottile nostalgia, come se l'uomo fosse consapevole di non poter raggiungere questa perfezione, questo apice di bellezza ideale raggiunta da Botticelli, che qui diede vita alla donna più bella del mondo il cui equivalente maschile non può che essere il David michelangiolesco.
Sono proprio gli occhi di Venere, nel cui sguardo ritroviamo ancora una volta quello di Simonetta Vespucci, a trasmetterci quel disincanto dinanzi a tanta grazia a cui segue inevitabilmente un'atmosfera malinconica.

Accostabile al medesimo clima umanistico, la tavola di Venere e Marte della National Gallery di Londra spiega chiaramente l'armonia degli opposti spiegata dal filosofo Ficino, mostrando la superiorità della dea Venere, capace di ammansire lo spirito bellicoso di cui il suo sposo, Marte, è personificazione. "L'amore vince tutto": il verso virgiliano riassume compiutamente tale allegoria, con Venere che grazie alla propria bellezza disarma Marte, potente dio della guerra che qui appare vulnerabile, colto da un sonno tanto profondo da non accorgersi della presenza di alcuni satirelli che giocano, divertiti, con le sue armi. La contrapposizione tra i due protagonisti, uniti tuttavia dal legame sentimentale, è evidente anche nell'elegante vestito della donna, le cui pieghe morbidissime cadono dolcemente lungo il corpo disteso posto in primissimo piano, sino ai limiti fisici della tela; dall'altra parte il dio è quasi totalmente nudo, mostrando la virilità del suo corpo scultoreo. L'opera affascina ancor di più quando si nota che i volti delle due divinità sono così simili a Simonetta Vespucci, la dama che aveva incantato Firenze, e a Giuliano de' Medici, in un ricordo postumo delle loro sfortunate esistenze, vinti da un amore tanto grande quanto beffardo.

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In questi anni tornano anche le rappresentazioni di Madonne con Bambino - ricorrenti nella produzione dell'artista e di carattere devozionale - che avevano caratterizzato la fase giovanile. Su tutte spiccano due perle di rara bellezza, una delle quali ci porta a Milano, al Museo Poldi Pezzoli, ricordata come Madonna del libro. La qualità del dipinto è altissima, basti osservare la cura dei dettagli nella natura morta o la tenerezza dei lineamenti. L'amorevole Madre, che tiene sulle gambe il suo Bambino, ha appoggiato su un morbido cuscino un libro che tiene aperto con la mano per leggere qualcosa a Gesù, che la guarda attento e incuriosito. Non mancano i presagi della Passione, come i chiodi della croce e la corona di spine, i quali rendono cupo il viso della Vergine.

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"L'anima mia magnifica il Signore": con queste parole inizia nel Vangelo di Luca il cantico di ringraziamento e di gioia che Maria innalza al Signore quando visita la cugina Elisabetta, incinta, nonostante l'età, di Giovanni il Battista. Nella tavola degli Uffizi intitolata Madonna del Magnificat, la Vergine è intenta nello scrivere questa splendida preghiera su di un libro che le porgono due angioletti. Quasi all'interno di una sfera di cristallo, in una sorta di oculo architettonico, Maria viene incoronata da altri due angeli ed è illuminata dallo Spirito Santo, mentre un paesaggio campestre incontaminato si perde nell'immensità dell'orizzonte. L'eleganza del quadro, la cui forma circolare fa supporre che fosse destinato alla devozione privata, è impreziosita dai raffinati accostamenti cromatici dei quali la Madonna del libro era stata preludio, dalle soffici capigliature, dai veli quasi impalpabili che avvolgono Maria, infine dalle mani di Madre e Figlio che poeticamente si cercano, incontrandosi sul libro.

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La produzione dell'ultimo decennio del XV secolo mostra con evidenza i segni di una profonda crisi spirituale che colse l'artista al tramonto della sua esistenza, in anni di incertezze e inquietudini per la città di Firenze, nei quali era emersa con forza la figura del frate domenicano Girolamo Savonarola, che predicava penitenza e un ritorno al misticismo, attaccando i costumi e la cultura dei fiorentini. Seguì la morte del Magnifico nel 1492 e la cacciata dei Medici due anni più tardi, il protagonista della storia contemporanea nonché la famiglia a cui il pittore si era legato per tutta la vita.
In tale contesto si colloca la Calunnia della Galleria degli Uffizi, databile alla prima metà degli anni Novanta del Quattrocento, che si può inserire a livello iconografico tra le colte allegorie umanistiche che avevano caratterizzato i capolavori di Botticelli, sebbene il clima quieto e sereno sia sostituito da un'atmosfera turbata e precaria. In contrasto con l'armoniosa architettura nella quale è inserita la composizione, al centro vediamo un episodio di efferata violenza, che si svolge al cospetto di re Mida, seduto in trono con le lunghe orecchie asinine del cattivo giudice. Accanto a lui, cattive consigliere, le personificazioni del Sospetto e dell'Ignoranza. Incappucciato vediamo il Livore, ossia il rancore, che accompagna per mano verso il sovrano la Calunnia, dipinta come una fanciulla seducente cui altre due giovinette, l'Invidia e la Frode, acconciano i biondi capelli per renderla ancora più bella e credibile. La Calunnia trascina per la chioma il povero calunniato, nudo perché innocente, con le mani giunte in preghiera. A sinistra vediamo un'anziana donna vestita di nero, allegoria del Rimorso, che giunge a seguito del misfatto quando, ormai, è troppo tardi. A sinistra e come elemento culminante della scena vi è la Verità, che tanto richiama la Venere, la quale indica che solo dal cielo discende la vera giustizia.

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Si concluse così, in una solitudine vissuta con profonda amarezza, nell'indifferenza dei più, la rivoluzionaria e unica carriera di un artista che, a lungo dimenticato, sarà poi celebrato e riscoperto, soprattutto nell'Ottocento, quando il tempo restituirà al suo nome la gloria che merita. L'astro del pittore si spense lentamente, chiudendo un capitolo fondamentale nella storia dell'arte italiana il cui tramonto era già cominciato inesorabile nell'anno 1492 con la morte di Lorenzo de' Medici e di Piero della Francesca. Botticelli visse sino al 1510, quando aveva sessantacinque anni, quando si apriva una nuova gloriosa fase nella pittura rinascimentale: Raffaello e Michelangelo si trovavano a Roma, contemporaneamente impegnati uno nelle Stanze Vaticane e l'altro nella volta della Cappella Sistina.

Bibliografia

  • Botticelli - Guido Cornini - Giunti
  • Botticelli - Marco Albertario (testi di) - Electa
  • Botticelli - Carlo Bo (presentazione di) - Skira
  • Botticelli - Barbara Deimling - Taschen
  • Botticelli - Philippe Daverio (con uno scritto di) - Giunti
  • Botticelli. Abitato dalla grazia - Murielle Neveux - Edizioni White Star
  • Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti - Giorgio Vasari - Newton Compton editori
  • I Medici e le arti - Cristina Acidini - Giunti
  • La Roma dei Papi. Il Rinascimento - Claudio Strinati - Giunti
  • Disegno e analisi grafica - Mario Docci - Editori Laterza
  • Canzoniere - Francesco Petrarca (a cura di Marco Santagata) - Mondadori
  • Poesie - Gabriele d'Annunzio (a cura di Annamaria Andreoli e Giorgio Zanetti) - BUR

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