Masaccio

Il Quattrocento per Firenze, culla degli ideali dell'Umanesimo, rappresentò un periodo artistico e culturale di straordinaria rilevanza, grazie alla presenza di Masaccio, Filippo Brunelleschi e Donatello, che attraverso l'eccellenza delle loro arti, vale a dire la pittura, l'architettura e la scultura, furono i precursori della civiltà rinascimentale.
Il critico aretino Giorgio Vasari, a introduzione della biografia dedicata a Masaccio, spiega bene quello che doveva essere la città nel secolo a lui precedente:
«È costume della natura, quando ella fa una persona molto eccellente in alcuna professione, molte volte non la far sola, ma in quel tempo medesimo, e vicino a quella, farne un'altra a sua concorrenza, a cagione che elle possino giovare l'uno all'altra nella virtù e nella emulazione. La qual cosa, oltra il singular giovamento di quegli stessi che in ciò concorrono, accende ancora oltra modo gli animi di chi viene dopo quella età a sforzarsi con ogni studio e con ogni industria, di pervenire a quello onore et a quella gloriosa reputazione, che ne' passati tutto 'l giorno altamente sente lodare».
L'incipit ci permette di capire cosa dovette significare la presenza negli stessi anni di Masaccio, Brunelleschi, Donatello, ma anche Lorenzo Ghiberti e Paolo Uccello, non solamente per il XV secolo, bensì anche per il fiorire della grande stagione del Cinquecento, quando l'arte raggiunse il suo apice con Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.
«Lo aver Fiorenza prodotto in una medesima età Filippo, Donato, Lorenzo, Paulo Uccello e Masaccio, eccellentissimi ciascuno nel genere suo, non solamente levò via le rozze e goffe maniere, mantenutesi fino a quel tempo, ma per le belle opere do costoro incitò et accese tanto gli animi di chi venne poi, che l'operare in questi mestieri si è ridotto in quella grandezza et in quella perfezzione che si vede ne' tempi nostri».

Cacciata dal Paradiso terrestre, particolare della cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine a Firenze.

Nato l'anno 1401 a San Giovanni Valdarno, in provincia di Arezzo, Tommaso di Ser Giovanni detto Masaccio può essere considerato il primo pittore dell'età moderna, degno continuatore di Giotto e delle sue mirabili innovazioni pittoriche, capace di coniugare magistralmente l'attenzione all'emotività umana con la costruzione prospettica brunelleschiana e la plasticità della statuaria di Donatello.
Scrive il Vasari: «Le cose fatte innanzi a lui si possono chiamar dipinte, e le sue vive, veraci e naturali».
Il carattere dell'artista era alquanto particolare, dedito esclusivamente alla nobile professione della pittura e non curante di nessun'altra vicenda del mondo che non la riguardasse, tantomeno il modo di vestire: «L'origine di costui fu da Castello San Giovanni di Valdarno, e dicono che quivi si veggono ancora alcune figure fatte da lui nella sua prima fanciullezza. Fu persona astrattissima e molto a caso, come quello che avendo fisso tutto l'animo e la volontà alle cose dell'arte sola, si curava poco di sé e manco di altrui. E perché e' non volle pensar già mai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro, al vestire stesso, non costumando riscuotere i danari da' suoi debitori, se non quando era in bisogno estremo, per Tommaso, che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio».

Capolavoro di fondamentale importanza per la storia universale delle arti è il suo affresco raffigurante la Trinità nella basilica di Santa Maria Novella, il primo dipinto nel quale furono applicate le leggi della prospettiva teorizzate da Brunelleschi, il quale, secondo alcuni studiosi, intervenne direttamente nel lavoro o almeno consigliò l'amico nel modo di operare.
Iscrivibile perfettamente in un triangolo, simbolo della trinità, i cui vertici congiungono Dio Padre e i due donatori inginocchiati, l'affresco mostra al centro Gesù crocifisso e ai piedi della croce la Vergine e San Giovanni. La colomba dello Spirito Santo, inizialmente difficile da riconoscere, ha le ali attorno al collo di Dio Padre. Il basamento presenta un sarcofago con uno scheletro a cui è affidata la funzione di "memento mori", con la scritta "Io fu' già quel che voi sete, e quel ch'i' son voi anco sarete". È però la volta a botte che fa da sfondo alla composizione il vero elemento rivoluzionario, portatrice delle idee brunelleschiane, tanto che i contemporanei, increduli dinanzi all'illusione prospettica, erano convinti che il muro fosse bucato: «Quello che vi è bellissimo oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono e scortano così bene, che pare che sia bucato quel muro».

Durante la giovinezza Masaccio entrò nella bottega di Masolino da Panicale, col quale avviò un prolifico rapporto di collaborazione che culminerà nella decorazione della cappella Brancacci. La testimonianza più antica della loro collaborazione è una pala, oggi custodita alla Galleria degli Uffizi, raffigurante la Madonna col bambino e Sant'Anna, nella quale si possono riconoscere le differenze stilistiche tra il più anziano Masolino ed il suo allievo Masaccio, il quale si inserisce nella tradizione facendosi portatore di una proposta stilistica rivoluzionaria. Suoi sono infatti il Bambino dalle fattezze atletiche, quasi erculee, mentre la Sant'Anna e gli angeli che compongono la sacra rappresentazione sono di Masolino.

Forse una delle raffigurazioni più dolci in tutta la storia dell'arte è la Madonna del solletico conservata agli Uffizi, piccolissima tavola grande come un libro di medie dimensioni. La Vergine tiene in braccio il suo Bambino compiaciuta, compiendo un gesto come una qualsiasi mamma che con amore fa il solletico a suo figlio. Il piccolo Gesù sorride divertito e stringe il braccio della Madre. È un momento tenerissimo di maternità che denota la capacità del pittore nel descrivere con precisione e naturalezza i sentimenti più nobili e profondi dell'animo umano.

L'impresa della decorazione ad affresco della cappella Brancacci nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze cominciò nel 1424, quando un giovanissimo Masaccio, insieme a Masolino, diede vita ad un ciclo di pitture destinate a divenire imprescindibili per la formazione di ogni artista fiorentino, dal Beato Angelico sino a Michelangelo, passando per Filippo Lippi e Sandro Botticelli.
Lo sconvolgimento dei canoni tradizionali della pittura da parte del Masaccio si compie qui nei gesti, nelle pose e nell'espressività delle figure, basti confrontare le scene simmetriche dipinte sui due pilastri d'ingresso della cappella, ossia la Cacciata dal Paradiso terrestre del Masaccio e la Tentazione di Adamo ed Eva di Masolino. Se nell'affresco del più anziano artista vediamo delle figure ancora legate alla tradizione, statiche nella loro posa e dalle espressioni serene quasi prive di pensiero, in Masaccio l'intensità della sofferenza tocca un livello mai raggiunto prima, come se concretamente l'uomo prendesse coscienza della caducità della propria condizione.

Una scena così drammatica e commovente dovette colpire rimanere impressa nel giovane Michelangelo negli anni della sua formazione, quando si recava a bottega dal Ghirlandaio, tanto che anni dopo la riprenderà nella volta della Cappella Sistina, in un omaggio a distanza di quasi novant'anni che riprende lo stesso pathos nei volti, trasfigurati dal peccato.

Il culmine del ciclo e dell'intera opera massaccesca è certamente il Pagamento del tributo, la prima raffigurazione dinamica nell'arte suddivisa in tre momenti che risultano però unitari e perfettamente equilibrati tra loro. La scena, ispirata dal Vangelo, richiama allo stesso tempo la vita del committente Felice Brancacci, di professione esattore delle tasse.
Al centro Cristo, circondato dagli apostoli, indica a San Pietro dove procurarsi una moneta d'argento per pagare le tasse. Si tratta della prima scena in ordine temporale e del punto focale della storia; il gesto di Gesù è infatti il motore di tutte le azioni che seguono e il suo volto è il punto di fuga del rigoroso impianto prospettico che caratterizza la composizione. Il miracolo è relegato in posizione laterale a sinistra, dove vediamo Pietro, pescatore, estrarre la moneta dalla bocca di un pesce sulla riva del lago di Tiberiade. A destra, infine, il santo consegna la moneta al gabelliere per pagare la tassa dovuta.

L'artista si spense improvvisamente nel 1428 mentre si trovava a Roma per un viaggio; la morte così giovane e senza apparenti spiegazioni ha lasciato spazio a delle ipotesi di avvelenamento dovute alla gelosia di un pittore rivale.
Il suo corpo, tornato a Firenze, trovò riposo solamente nel 1443, ci dice Vasari, quando fu seppellito nella chiesa di Santa Maria del Carmine, dove un epitaffio ne ricorda la memoria.
Inizialmente i fiorentini rimasero indifferenti alle novità, sicuramente a causa di una vita tanto breve, tuttavia presto ci si accorse della portata della sua rivoluzione pittorica, capendo che il ciclo della cappella Brancacci sarebbe diventata "scuola del mondo".

Copia michelangiolesca della figura di San Pietro nel Pagamento del tributo.