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Ritratto di Brunelleschi - Masaccio - Firenze, Cappella Brancacci
Nel corso del Quattrocento il nuovo atteggiamento nei confronti del mondo, tipico dell'Umanesimo, derivante dalla riflessione sui testi antichi nella cosiddetta riscoperta dei classici, portò ad una visione della realtà profondamente diversa da quella medievale, favorendo lo sviluppo del Rinascimento.
La filosofia rinascimentale pose l'uomo al centro dell'universo, artefice del proprio destino e delle proprie fortune, riscoprendo l'armonia e la perfezione classica per una rinascita culturale. Anche il ruolo dell'artista all'interno della società cambiò notevolmente e se in precedenza compiere un'attività manuale era considerato avvilente - mansione riservata ai semplici artigiani - nel Rinascimento fu finalmente riconosciuto il valore intellettuale di un artista, favorendo una generazione di uomini universali capaci di eccellere in molteplici discipline. Con la definitiva distinzione tra le figura del pittore o dello scultore da quella dell'artigiano, l'artista poté divenire tale pur provenendo dai ceti più elevati, mentre in parallelo si andava affermando l'idea che egli potesse lavorare in solitudine, seguendo non solo i desideri dei committenti ma anche la propria ispirazione.
Una svolta decisiva nella pubblica considerazione nei confronti degli artisti fu anche la sempre maggior qualificazione necessaria per concepire e dare vita alle grandiose opere dei mecenati dell'epoca. È il caso di Filippo Brunelleschi, architetto, ingegnere e scultore che applicò le regole della prospettiva matematica e della proporzionalità per progettare le sue opere, elaborando un nuovo linguaggio architettonico. Le sue raffinate conoscenze scientifiche, insieme al suo innato talento creativo, gli permisero di toccare i vertici dell'architettura, sfiorando il cielo con un'opera irripetibile per complessità e bellezza, tra le più belle di tutta la cristianità: la maestosa Cupola di Santa Maria del Fiore, capolavoro del Duomo della città di Firenze.

Proveniente da una famiglia di agiate condizione economiche, Brunelleschi viene considerato il precursore, insieme ai più giovani Donatello e Masaccio, del Rinascimento fiorentino, periodo straordinario per la nostra storia dell'arte che ebbe il suo apice nel Cinquecento quando nella città si trovavano contemporaneamente Leonardo da Vinci, Michelangelo Buonarroti e Raffaello Sanzio.
Nato nell'anno 1377 da padre notaio che ne riconobbe il talento per il disegno e la vocazione artistica, Brunelleschi rivoluzionò per sempre l'architettura, riscoprendo la maniera antica e ponendo lo stile fiorentino come modello assoluto per secoli, incoraggiando la nascita di fabbriche capaci di superare i limiti umani per ingegno e grandezza. Scrive riguardo all'architetto il biografo aretino Giorgio Vasari: «di ingegno tanto elevato che ben si può dire che e' ci fu donato dal cielo per dar nuova forma alla architettura, già per centinaia d'anni smarrita; nella quale gl'uomini di quel tempo in mala parte molti tesori avevano spesi, facendo fabriche senza ordine, con mal modo, con tristo disegno, con stranissime invenzioni, con disgraziatissima grazia e con peggior ornamento. E volle il cielo, essendo stata la terra tanti anni senza uno animo egregio et uno spirito divino, che Filippo lasciassi al mondo di sé la maggiore, la più alta fabrica e la più bella di tutte l'altre fatte nel tempo de' moderni et ancora in quello degli antichi, mostrando che il valore negli artefici toscani, ancora che perduto fusse, non perciò era morto».

L'uomo vitruviano leonardesco, simbolo della filosofia antropocentrica del Rinascimento con l'uomo al centro del cosmo.
Scriveva a metà del Quattrocento Leon Battista Alberti nel suo De re aedificatoria: «Architetto chiamerò colui che con metodo sicuro e perfetto sappia progettare razionalmente e realizzare praticamente, attraverso lo spostamento dei pesi e mediante la riunione e la congiunzione dei corpi, opere che nel modo migliore si adattino ai più importanti bisogni dell'uomo. A tale fine gli è necessaria la padronanza delle più alte discipline». In questo senso si può considerare Brunelleschi il primo architetto dell'età moderna, grazie alla sua metodologia scientifica, nonché l'inventore della prospettiva lineare, ossia quella tecnica geometrica che consente di rappresentare corpi tridimensionali su un piano in modo che di essi si abbia la medesima immagine percepita nella realtà. Da questa rivoluzione che cambierà per sempre la storia della pittura moderna derivano tutti i dipinti che da Paolo Uccello, passando per Masaccio, giungono sino a Piero della Francesca, per proseguire durante la grande stagione rinascimentale impreziosendosi man mano di quella bellezza e armonia che fiorì, a partire da Firenze, nelle principali corti del centro Italia per mezzo di uomini di potere illuminati, pensatori, letterati e umanisti.

La "Città ideale", capolavoro di prospettiva attribuito a Luciano Laurana custodito alla Galleria nazionale delle Marche di Urbino.
Il primo esempio di utilizzo delle leggi della prospettiva centrale in un'opera pittorica è la Trinità del Masaccio in Santa Maria Novella, databile al 1427, a cui probabilmente collaborò in prima persona lo stesso Brunelleschi, essendo legato a lui da solidale amicizia. Divenuto pratico nella prospettiva, Brunelleschi «particularmente la insegnò a Masaccio, pittore allor giovane, molto suo amico», consentendogli di eseguire perfettamente, con esatte proporzioni, questo affresco concepito per una visione dal basso e connotato alle spalle della croce da uno spazio illusorio, dove vediamo un'elegante volte a botte, come mai si era visto prima. Le parole del Vasari che possiamo leggere nella biografia di Masaccio riassumono e spiegano perfettamente la novità e la suggestione che doveva rappresentare all'epoca quest'opera straordinaria: «Ma quello che vi è bellissimo oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni, che diminuiscono e scortano così bene, che pare che sia bucato quel muro».

Nuovamente in Santa Maria Novella, riprendendo il tema della crocifissione, possiamo vedere quella che è l'unica opera lignea realizzata da Brunelleschi, a cui è legata un'altra storia d'amicizia, questa volta con lo scultore più importante dell'epoca, vale a dire Donatello. Si tratta del Crocifisso nato tra il 1410 e il 1415 come sfida a quello di Donatello commissionato per la Basilica di Santa Croce, considerato dal Brunelleschi alquanto rozzo, dalle fattezze contadine e dunque improprie per il Figlio di Dio. Così il Vasari, le cui pagine delle Vite sono fonte inesauribile di tali aneddoti artistici: «Ora, avendo Donato in que' giorni finito un Crucifisso di legno, il quale fu posto in S. Croce di Fiorenza [...], volle Donato pigliarne parere con Filippo; ma se ne pentì perché Filippo gli rispose ch'egli aveva messo un contadino in croce». Brunelleschi volle allora cimentarsi in un'opera analoga per materiali e dimensioni, imitando il modello di Giotto sempre in Santa Maria Novella, mettendovi particolare impegno e dedicandovi molto tempo, riuscendo infine a stupire l'amico «per la maraviglia e per l'ingegnosa et artifiziosa maniera che aveva usato Filippo nelle gambe, nel torso e nelle braccia di detta figura, disposta et unita talmente insieme, che Donato, oltra il chiamarsi vinto, lo predicava per miracolo», conclude il Vasari.

L'ascesa artistica e il successo di Brunelleschi, che raggiunse il suo vertice con la cupola del Duomo, attraversarono tuttavia anche fasi più difficili e - in quella che fu la prima commissione pubblica - una dura sconfitta la cui delusione che ne conseguì fu allo stesso tempo motivo per riscattarsi e migliorarsi. Ancor giovane, nel 1401, fu indetto un concorso per le nuove porte bronzee del Battistero di San Giovanni, per una delle quali realizzò una formella sul tema prestabilito, il Sacrificio di Isacco, oggi al Museo del Bargello. A risultare vincitrice fu la più classicheggiante soluzione, di squisita fattura, adottata da Lorenzo Ghiberti, che «aveva in sé disegno, diligenza, invenzione, arte e le figure molto ben lavorate», sottolinea Vasari, preferita alla più concitata e drammatica scena brunelleschiana. Il trionfo del Ghiberti dovette essere una profonda delusione per Brunelleschi, il quale, proprio in quel momento, diede tuttavia una svolta alla propria carriera, scegliendo di dedicarsi esclusivamente all'architettura e di intraprendere, insieme all'amico Donatello, un viaggio a Roma finalizzato allo studio dell'antico.

Tornato a Firenze continuò a studiare e ad occuparsi di alcune committenze di fortificazioni, pensando però costantemente al progetto della cupola su cui si dibatteva in città una volta raggiunto il livello del tamburo, che presentava il problema legato alla chiusura, per cui sarebbe stata necessaria una cupola ampia quasi come quella del Pantheon di Roma, a lungo studiato da Brunelleschi.
All'inizio del XIV secolo, alla morte dell'architetto Arnolfo di Cambio, i lavori di costruzione della cattedrale rallentarono bruscamente sino ad essere lasciati interrotti. La nomina di Giotto nel 1334 alla direzione del cantiere portò ad una notevole ripresa, concentrata tuttavia prettamente sul grandioso progetto del campanile.

Tra il 1355 e il 1364, sotto la direzione di Francesco Talenti, iniziarono i lavori nella parte absidale, dove appunto si iniziava a capire la necessità di un'enorme cupola dalla evidenti difficoltà realizzative, basti pensare che il tamburo su cui avrebbe poggiato la colossale struttura si trovava già a più di cinquanta metri da terra. Il diametro della cupola sarebbe inoltre dovuto essere di quarantacinque metri. Fu chiaro che solo una mente geniale avrebbe potuto concepire, sopperendo alle esigenze strutturali senza alterare le qualità estetiche, quella struttura architettonica destinata a divenire l'immagine di Firenze, visibile in ogni angolo della città e simbolo del suo prestigio culturale, politico e artistico, come la celebra l'umanista Leon Battista Alberti: «struttura sì grande, erta sopra e' cieli, ampla da coprire con sua ombra tutti e' popoli toscani».

Nell'agosto del 1418 l'Opera del Duomo bandì finalmente un concorso pubblico per la realizzazione di un progetto al quale parteciparono i più importanti architetti fiorentini. Brunelleschi si mostrò sin da subito convinto di vincere, non essendoci serie alternative alla sua proposta, così, nonostante il clima di incertezza, lo scetticismo e le ostilità nei suoi confronti di chi era invidioso, si armò di pazienza e attese il momento opportuno, presentando nel mentre un modello per il quale collaborò anche Donatello. Più tardi dimostrò anche pubblicamente, dinanzi al Duomo, la fattibilità del proprio progetto, criticato per l'assenza di un'armatura esterna in legno su cui lavorare, soluzione che appariva impossibile tenendo presente l'altezza cui si sarebbe lavorato, ma che l'architetto sosteneva per praticità e per ridurre al minimo le altrimenti cospicue spese di costruzione. A seguito di lunghe trattative Brunelleschi, sicuro dei propri mezzi, fu incaricato quale architetto della fabbrica con il titolo di Provveditore e Governatore, sebbene affiancato inizialmente, nella direzione dei lavori, anche da Lorenzo Ghiberti. I contrasti tra i due erano però insanabili e così non passò molto perché Brunelleschi rimanesse l'unico diretto responsabile. Il lavoro in completa autonomia è una delle novità rispetto all'epoca medievale, in cui vi era compartecipazione nelle decisioni e nelle responsabilità, mentre il Rinascimento concesse spazio all'atto creativo e all'inventiva del singolo che favoriranno l'ascesa di artisti di fama immortale.
Lo straordinario progetto di Brunelleschi affrontava, risolvendoli, i problemi estetici e soprattutto quelli costruttivi; in particolare l'elemento rivoluzionario fu appunto l'eliminare l'utilizzo delle armature lignee di sostegno, la cosiddetta "centina", che, viste le dimensioni della cupola, l'altezza, nonché l'altissimo prezzo di tutto quel legno, sarebbe stata impossibile.
Per erigere la cupola l'architetto, oltre ad ottenere risultati stupefacenti nel campo delle macchine da cantiere, escogitò un sistema autoportante per il quale diede vita sostanzialmente a due cupole, una interna più spessa alla quale era affidato il compito di reggere l'altra, esterna, più sottile. Questo permise di alleggerire una struttura che altrimenti sarebbe stata troppo pesante per i soli quattro pilastri e per il tamburo.
La cupola, che poggia sulla base ottagonale irregolare del tamburo, è divisa da otto grossi costoloni che, partendo dai vertici dell'ottagono, raggiunge la sommità della struttura.
Nel 1426 i costoloni vennero chiusi con un anello detto "serraglio" del diametro di circa quindici metri. Dovendo esso contenere tutte le spinte della cupola, fu evidente al progettista che un sovrastante peso avrebbe stabilizzato ancor meglio la costruzione. Si decise allora di realizzare una lanterna poggiata sul serraglio in modo da rinsaldare e ricomporre l'equilibrio precario sottostante.

Ispirato dalle architetture dei Romani, su tutti dal capolavoro del Pantheon tanto studiato - tenendo conto della tensione emozionale verso l'alto del gotico integrandolo però con la geometrica razionalità rinascimentale - Brunelleschi riuscì a portare a compimento la cupola nel 1436 dopo sedici anni di lavoro senza sosta.
La lanterna, che fu ultimata a seguito della morte di Brunelleschi dal suo discepolo Michelozzo, permette l'ingresso della luce nel bellissimo interno della cupola, affrescato prima dal Vasari e poi da Federico Zuccari con un grandioso Giudizio Universale che rappresenta una delle più vaste superfici dipinte al mondo.
Sin da giovane, passeggiando per le vie della città, quando si recava a bottega da Domenico Ghirlandaio, Michelangelo era rapito dall'imponenza e dalla maestosità della cupola, fonte d'ispirazione per tutta la sua vita. Prima di lasciare Firenze per recarsi dal papa scrisse in una lettera a suo padre: «Vo' a Roma a far la su' sorella, più grande sì, ma non più bella».

Sebbene la colossale e leggendaria costruzione della cupola rappresenti il fulcro della biografia di Brunelleschi, bisogna dire che sono alquanto numerose le altre opere che vennero commissionate al sempre più noto e affermato architetto, capace di riportare a Firenze il modo antico di edificare edifici pubblici come privati o religiosi, cambiando per sempre l'aspetto della sua città. Sono così da ricordare gli incarichi che ricevette dalle corporazioni cittadine, dai ricchi banchieri o dalle nobili famiglie, come lo Spedale degli Innocenti per la Corporazione dei Mercanti della Seta e degli Orafi o la Sacrestia Vecchia nella Basilica di San Lorenzo per volere dei Medici, infine la Cappella Pazzi per la potente famiglia da cui prende il nome.
La Sagrestia Vecchia di San Lorenzo è certamente il manifesto dell'architettura rinascimentale e di quella ricerca costante di proporzionata armonia che diviene spazio abitabile nel rigore e nella melodia dei rapporti geometrici, a cui si rifarà anche Michelangelo quando verrà incaricato di progettare la Sagrestia Nuova, adibita a luogo sepolcrale della famiglia Medici. Brunelleschi fu impegnato anche nei lavori di ricostruzione dell'intera basilica, per volere di Cosimo de' Medici, trasformando l'antico edificio romanico in un tempio moderno, connotato da una nobiltà classica che si esprime compiutamente nella pianta a croce latina in cui la navata centrale è divisa dalle due laterali - a loro volta ritmate da una serie di cappelle - da eleganti colonne dai fusti lisci e dai capitelli corinzi. L'interno è particolarmente luminoso grazie alla serie di finestre ad arco che si sviluppa lungo il claristorio, ovvero lo spazio tra le arcate della navata principale e il raffinatissimo soffitto ligneo cassettonato. Anche se i lavori rimasero incompiuti - in particolare all'esterno nella celebre facciata spoglia su cui ci si interrogò a lungo in merito al completamento - Brunelleschi riuscì a conferire l'aspetto che oggi contraddistingue la basilica, un edificio religioso consono alla crescita urbana e al prestigio di Firenze, al cui progetto guarderanno tutti gli architetti rinascimentali.

La medesima finezza e perfezione geometrica tornerà nella Cappella Pazzi situata nel chiostro di Santa Croce, ma è soprattutto lo Spedale degli Innocenti il progetto che più di ogni altro riassume le caratteristiche architettoniche di Brunelleschi e la sua vocazione urbana nei rapporti con lo spazio circostante. Si tratta infatti di un luogo dalla funzione civile - il primo ospedale per i fanciulli abbandonati - che si sviluppa nell'arioso portico ad arcate che caratterizza la conformazione stessa della piazza della Santissima Annunziata, una delle più note a Firenze, al cui centro si erge una delle ultime sculture del Giambologna, la statua equestre di Ferdinando I de' Medici, opera bronzea dei primi del Seicento.
Nella struttura la prospettiva, come per l'interno di San Lorenzo, è l'elemento fondamentale per organizzare la nuova architettura, in cui notiamo l'utilizzo della volta a vela nelle campate quadrate, che si ripetono in nove moduli per un'esattissima organizzazione dello spazio - scandito dalle delicate colonne corinzie - la cui armonia si riflette anche nei colori grigi della pietra serena, tipicamente toscana, e dell'intonaco bianco. Lo storico edificio si basa su due registri uniti dal parapetto delle finestre del piano superiore, che funge da trabeazione del livello inferiore. Il portico poggia su nove gradini, così come nove sono le arcate, alle quali corrisponde ad ognuna una finestra, per un ritmo chiaro e razionale.

Brunelleschi si spense nel 1446, un anno dopo l'inaugurazione dello Spedale degli Innocenti, quando si lavorava alla lanterna della cupola del Duomo: «addì 16 d'aprile, se n'andò a miglior vita, dopo essersi affaticato molto in far quelle opere che gli fecero meritare in terra nome onorato e conseguire in cielo luogo di quiete. Dolse infinitamente alla patria sua, che lo conobbe e lo stimò molto più morto, che non fece vivo», sentenzia Vasari.
Il percorso attraverso le sue opere - che permettono di immergersi nella cultura rinascimentale e nel patrimonio di una città che per prima riscoprì la civiltà classica grazie ai suoi artisti e mecenati - ci riconduce ancora una volta in Santa Maria del Fiore, sotto la cui cupola trovano riposo le spoglie mortali dell'architetto, il primo a concepire qualcosa di tanto grande che prima era impossibile anche solo immaginare, una costruzione geniale che abbraccia tutti i popoli toscani, come scrisse l'Alberti, sfiorando i limiti del cielo. Proprio nel Duomo si può ammirare un dipinto di Domenico di Michelino in cui vediamo Dante Alighieri con in mano il suo poema e alle spalle Firenze, dove svetta la cupola, apice assoluto ed eterno per la gloria di Brunelleschi. Se Dante è stato il padre linguistico della città, Brunelleschi lo è stato certamente per l'architettura, aprendo la strada alla maniera moderna e donandole il suo simbolo, riguardo alla quale vale la pena lasciare spazio, per concludere, alle parole del Vasari: «E si può dir certo che gli antichi non andorono mai tanto alto con le lor fabbriche, né si messono a un risico tanto grande che eglino volessino combattere col cielo; come par veramente che ella combatta: veggendosi ella estollere in tant'altezza, che i monti intorno a Fiorenza paiono simili a lei. E, nel vero, pare che il cielo ne abbia invidia, poi che di continuo le saette tutto il giorno la percuotono».

Note
Le fotografie del campanile di Giotto con la cupola del Brunelleschi e dell'interno della cupola del Duomo sono state scattate nell'aprile 2023.
Bibliografia
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