Il Sommo Poeta

DI MARCO CATANIA

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Venere

Un percorso iconografico e iconologico per interpretare il capolavoro di Botticelli.

Dalla spuma del mare, sospinta dal soffio dei venti che increspa la superficie dell'acqua e sparge rose nell'aria, Venere giunge verso di noi su una conchiglia, perfetta nelle sue proporzioni fisiche e nei lunghi capelli biondi, pura e casta nonostante la completa nudità. Si tratta del capolavoro assoluto di Sandro Botticelli custodito alla Galleria degli Uffizi e datato intorno agli anni Ottanta del Quattrocento, nato all'interno del contesto della corte rinascimentale del Magnifico Lorenzo de' Medici.
Sebbene si tratti di un'icona assoluta della storia dell'arte e di una delle opere più famose del mondo, per comprendere davvero il significato e i riferimenti di questa tela - capace di esprimere compiutamente la sensibilità estetica universale - è necessario inserire l'opera nel proprio tempo e fare riferimento all'epoca in cui nacque, in un clima artistico e filosofico squisitamente intellettuale, finalizzato alla ricerca di un ideale di perfezione per cui è divenuto eterno il Rinascimento fiorentino.
Una possibile interpretazione è quella letteraria, facendo riferimenti a quei versi di grandi autori dai quali deriverebbe l'immagine della Venere nonché l'intera composizione, inserita in un paesaggio naturale che si perde sino alle più remote lontananze e che rispecchia i canoni tipici del locus amoenus petrarchesco, in cui acque cristalline e una rigogliosa vegetazione accolgono la donna angelicata, dagli occhi luminosi e i capelli voluminosi nello splendore del loro color oro.

 

 

 

Chiare, fresche et dolci acque,
ove le belle membra
pose colei che sola a me par donna;
gentil ramo ove piacque
(con sospir' mi rimembra)
a lei di fare al bel fiancho colonna;
herba et fior' che la gonna
leggiadra ricoverse
con l'angelico seno;
aere sacro, sereno,
ove Amor co' begli occhi il cor m'aperse.

I versi di una delle più celebri poesie del Canzoniere petrarchesco restituiscono l'ideale di perfezione paesaggistica che connota il dipinto, tratto certamente da scenari derivanti dalla letteratura greca e, ancor di più, da questa strofa emblema dell'Umanesimo, un periodo letterario che riscoprì i classici adattandoli alla contemporaneità, studiando l'antico per meglio interpretare il presente, cercando di impreziosirlo di bellezza. Introdotto dal Petrarca, il vertice supremo del periodo dell'Umanesimo è proprio il Rinascimento di fine Quattrocento e quel cenacolo di pensatori che si riunirono attorno al Magnifico, poeta egli stesso e illuminato mecenate. Nei palazzi fiorentini figure come Agnolo Poliziano, Cristoforo Landino, Marsilio Ficino e Pico della Mirandola si ritrovarono nel comune intento di riscoprire l'antichità classica in tutta la sua magnificenza, con la stessa spiritualità ed estetica, dando vita al cosiddetto neoplatonismo rinascimentale.
Come maestro di tali ideali fu infatti assunto Platone, considerato il pensatore più affascinante della classicità perché in grado di spiegare concetti nobili e profondi, quanto complessi, quali il rapporto fra Dio e il mondo, l'anima, il bello e l'amore.
Venere incarna proprio questi ideali d'amore e di bellezza assoluta, posti in risalto, oltre che dal paesaggio, dai colori freddi e chiari su cui risalta il gelido nudo della dea, intangibile ed etereo nella sua purezza, emblema della beltà disadorna dell'anima, ma anche, in chiave cristiana, dell'anima purificata attraverso l'acqua del battesimo. Botticelli, interprete visivo della cultura neoplatonica e dei concetti dell'Umanesimo grazie ai lunghi anni trascorsi a contatto coi letterati della corte medicea, pose sempre al centro della propria produzione l'uomo nella sua essenza, in quanto essere che discende direttamente da Dio. Non è un caso se la figura umana, in questa tela come nella Primavera, è interpretata nella sua componente amorosa, in quanto in entrambi è centrale Venere, simbolo dell'armonia universale che governa il mondo e di quelle virtù a cui lo spirito deve ambire per elevarsi al divino. La dea, per le sue qualità spirituali e le sue fattezze fisiche è per questo divenuta, nei secoli, uno dei soggetti preferiti degli artisti, che a livello iconografico la interpretano costantemente con le medesime caratteristiche, nuda e pudica, dal corpo leggiadro nei suoi lineamenti, sogno di un ideale assoluto ed eterno.
Il suo sguardo, tuttavia, lascia intendere ad un ideale tanto nobile quanto, appunto, irraggiungibile, sogno svanito di un paradiso terrestre a noi privato, illusione di una classicità ormai perduta, in un paesaggio idilliaco nel quale il nostro pensiero si lascia trasportare con disincanto da una sottile nostalgia che pervade l'aria serena poiché, afferma Petrarca: «quanto piace al mondo è breve sogno».

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La dea dell'amore avanza leggera verso l'osservatore fluttuando su di una conchiglia, coprendosi i seni e l'inguine. Nata dalla spuma marina, ella approda sull'isola di Cipro, come narrato da Omero e nella Teogonia di Esiodo, passando per Ovidio e arrivando sino al Poliziano delle Stanze. A sospingerla verso riva è Zefiro, il vento mite che preannuncia la bella stagione, abbracciato alla sua fidanzata Clori, mentre da ogni parte si cospargono fiori. Così il Petrarca: «Zephiro torna, e 'l bel tempo rimena / e i fiori et l'erbe, sua dolce famiglia. [...] Ridono i prati, e 'l ciel si rasserena; / Giove s'allegra di mirar sua figlia; / l'aria et l'acqua et la terra è d'amor piena; / ogni animal d'amar si riconsiglia».
Il lieve venticello percepibile poeticamente nel paesaggio della tela e proveniente dal soffio di Zefiro costituisce idealmente anche il legame con l'altra celeberrima tela a cui questa è sempre associata, vale a dire la Primavera, dove è ancora una volta protagonista assoluta Venere, anche qui posta al centro della composizione, come ricorda Giorgio Vasari nelle Vite, sottolineando la medesima committenza per ambedue i capolavori: «l'uno Venere che nasce, e quelle aure e venti, che la fanno venire in terra con gli amori, e così un'altra Venere che le grazie la fioriscono, dinotando la Primavera». L'occasione della commissione delle due opere deriverebbe dal matrimonio di Lorenzo di Pierfrancesco de' Medici, cugino di secondo grado del Magnifico e raffinato collezionista, con Semiramide Appiani, per adornare la loro camera nuziale, sebbene la Nascita di Venere sia databile a qualche anno più avanti rispetto alla Primavera, a seguito del soggiorno romano del pittore a servizio del papa.
Il mito di Venere, in connessione con il matrimonio, diviene così portatore - oltre all'ideale di bellezza, dell'amore fisico e spirituale - della fecondità, in un auspicio di eterna rinascita dove ogni spirito è guidato dal desiderio e spesso trafitto da una passione intesa come forza dirompente e vitale, che divampa attraverso la contemplazione della bellezza, di cui il topos letterario e artistico è certamente la bionda capigliatura, come testimonia il seguente sonetto petrarchesco.

 

 

 

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi
che 'n mille dolci nodi gli avolgea,
e 'l vago lume oltra misura ardea
di quei begli occhi ch'or ne son sì scarsi;

e 'l viso di pietosi color' farsi,
non so se vero o falso, mi parea:
i' che l'ésca amorosa al petto avea,
qual meraviglia se di sùbito arsi?

Non era l'andar suo cosa mortale,
ma d'angelica forma, et le parole
sonavan altro che pur voce humana:

uno spirto celeste, un vivo sole
fu quel ch'i' vidi; et se non fosse or tale,
piagha per allentar d'arco non sana.

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Primavera (dettaglio) - 1482 circa - Firenze, Galleria degli Uffizi

L'Amore che trafigge inesorabile con il suo arco, citato dal Petrarca, è qui raffigurato da Botticelli sopra Venere come un putto bendato, il quale non perdona chi, insensibile alla sua forza, riesce a fuggirgli. Cupido non permette tuttavia di non essere corrisposto e, offeso, tende il proprio arco e scocca le frecce, continua il Petrarca: «Per fare una leggiadra sua vendetta, / et punire in un dì ben mille offese, / celatamente Amor l'arco riprese, / come huom ch'a nocer luogo et tempo aspetta».
Questa scena ricorrente nella letteratura è punto di contatto tra le due tele e un capolavoro umanistico quale Le Stanze per la giostra del Magnifico Giuliano, composto dal Poliziano tra il 1475 e il 1478 con intento celebrativo della famiglia Medici e della storia d'amore tra il fratello di Lorenzo il Magnifico, Giuliano, e la bellissima nobildonna Simonetta Vespucci. Poemetto in ottave rimasto incompiuto a seguito dell'uccisione di Giuliano nella Congiura dei Pazzi, l'opera è una sintesi ideale di potere e bellezza, specchio, come i dipinti del Botticelli, di quell'idillio che si cercò di creare a Firenze, destinato a dissolversi troppo presto.
Nei versi del Poliziano il protagonista Giuliano, ribattezzato classicamente Iulio, è un giovane dedito all'esercizio delle armi e insensibile all'amore; Cupido, allora, decide di punirlo organizzando una spedizione di caccia e costringendolo a inseguire una cerca che si addentra in una selva. L'animale si trasforma poi in una ninfa bellissima, Simonetta, per cui Iulio scopre una nuova dolcezza, inappagata a causa dell'allontanarsi della giovane.
Iulio è stato dunque rapito dalla forza del sentimento amoroso, così Cupido si reca dalla madre Venere per riferirle della propria impresa e dell'innamoramento del giovane, ora perdutamente invaghito della ninfa Simonetta. Si apre qui una lunga descrizione del regno della dea a Cipro, luogo paradisiaco in cui regna un'eterna primavera, nelle cui ottave si può trovare il riferimento più diretto alla Nascita di Venere, un'opera che sarebbe nata proprio dall'influenza del poeta sull'amico pittore.

 

 

 

Vagheggia Cipri un dilettoso monte,
che del gran Nilo i sette corni vede
e 'l primo rosseggiar dell'orizzonte,
ove poggiar non lice a mortal piede.
Nel giogo un verde colle alza la fronte;
sott'esso aprico un lieto pratel siede;
u' scherzando tra' fior lascive aurette
fan dolcemente tremolar l'erbette.

Corona un muro d'òr l'estreme sponde
con valle ombrosa di schietti arbuscelli,
ove in su' rami fra novelle fronde,
cantan i loro amor soavi augelli.
Sentesi un grato mormorio dell'onde,
che fan due freschi e lucidi ruscelli
versando dolce con amar liquore,
ove arma l'oro de' suoi strali Amore. [...]

E dentro nata in atti vaghi e lieti
una donzella non con uman volto,
da' zefiri lascivi spinta a proda
gir sopra un nicchio; e par che 'l ciel ne goda.

Vera la schiuma e vero il mar diresti,
e vero il nicchio e ver soffiar di venti:
la dea negli occhi folgorar vedresti,
e 'l ciel ridergli a torno e gli elementi.

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Ancor più di Venere, destinata ad una fortuna iconografica forse unica nell'intera storia dell'arte, è però la figura che compare a destra nella tela ad essere quella in cui l'artista ha posto, evidentemente, tutta la propria attenzione, con un'incredibile minuzia nella resa delle vesti, vale a dire Flora, elemento di contatto - attraverso il manto purpureo decorato di fiori che avvolgerà Venere - tra la condizione terrena e la perfezione divina, tra l'isola di Cipro e la sua dea. Flora, che accorre sino a riva velocemente, come dimostrano l'ondeggiare dei propri eleganti panneggi e i suoi capelli intrecciati, è metaforicamente il Rinascimento che irrompe sulla scena, facendosi portatrice di una serie di figure già incontrate nel corso del Quattrocento di cui essa è evidentemente un omaggio. A livello iconografico si possono infatti ritrovare le medesime fattezze di Flora in opere di Filippo Lippi, maestro di Botticelli, e di Domenico Ghirlandaio, suo grande concorrente nella scena artistica fiorentina.
Nel primo caso bisogna uscire da Firenze, pur rimanendo nell'ambito toscano, per recarsi nel Duomo di Prato, dove nella scena del Banchetto di Erode della Cappella Maggiore, situata alle spalle dell'altare maggiore, si può scorgere una voluttuosa Salomè il cui movimento di danza rapì anche il poeta Gabriele d'Annunzio: «Frate Filippo, agli occhi tuoi la Vita / danza come colei davanti a Erode, voluttuosa». Dinamica e leggiadra nel candore della sua veste, che pone in risalto la canestra di frutta che regge sul capo, è anche la ninfa del Ghirlandaio, «che porta a l'usanza fiorentina frutte e fiaschi da la villa, la quale è molto bella», scrive il Vasari, che si può vedere invece presso nell'affresco della Natività di San Giovanni Battista presso la Cappella Tornabuoni della Basilica di Santa Maria Novella a Firenze.

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Ulteriori riferimenti alle figure presenti nella Nascita di Venere derivano anche dagli stessi dipinti di Botticelli ed in particolare a due opere a cui lavorò negli anni intorno all'esecuzione del capolavoro degli Uffizi e il soggiorno romano, quando fu chiamato da papa Sisto IV per affrescare le pareti laterali della Cappella Sistina. Nel ciclo d'affreschi sistino, più precisamente nell'opera dedicata alle Prove di Cristo, troviamo un'altra donna da cui potrebbe derivare Flora, simile nei gesti delle braccia con cui sorregge un fascio di legna, ma anche nei voluminosi e candidi drappeggi.
In una raffinatissima Annunciazione del 1481 circa, proveniente dall'ospedale di Santa Maria alla Scala di Firenze ed oggi agli Uffizi, notiamo infine l'arcangelo Gabriele entrare nella dimora della Vergine per portare l'annuncio del concepimento di Gesù. Nel suo volo repentino e nelle ali spiegate possiamo trovare un antecedente di Zefiro, a testimonianza della connessione tra la produzione religiosa e quella profana dell'artista, connotato da una grazia e una raffinatezza d'esecuzione in grado di unire soggetti mitologici e cristiani, poiché entrambi, nei loro movimenti vibranti con cui irrompono sulle scene, sono testimonianza di un moto che non è solamente fisico, ma è quello dell'animo - come suggerito dai versi petrarcheschi - coincidente con il significato più intimo dell'Amore e della Bellezza.

 

 

 

Spirto felice che sì dolcemente
volgei quelli occhi, più chiari che 'l sole,
et formavi i sospiri et le parole,
vive ch'anchor mi sonan ne la mente:

già ti vid'io, d'onesto foco ardente,
mover i pie' fra l'erbe et le viole,
non come donna, ma com'angel sòle...

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Bibliografia

  • Botticelli - Guido Cornini - Giunti
  • Botticelli - Carlo Bo (presentazione di) - Skira
  • Botticelli. Nascita di Venere - Philippe Daverio (con un testo di) - Corriere della Sera
  • Due quadri del Botticelli eseguiti per nascite in Casa Medici. Nuova interpretazione della Primavera e della Nascita di Venere - Mirella Levi D'Ancona - Olschki
  • Canzoniere - Francesco Petrarca (a cura di Marco Santagata) - Mondadori
  • Storia e testi della letteratura italiana. Il mondo umanistico e signorile (1380 - 1494) - Giulio Ferroni (a cura di) - Mondadori
  • Il piacere dei testi. L'Umanesimo, il Rinascimento e l'età della Controriforma - Volume 2 - Paravia
  • Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti - Giorgio Vasari - Newton Compton editori
  • Versi d'amore e di gloria - Gabriele d'Annunzio (a cura di Annamaria Andreoli e Niva Lorenzini) - Mondadori

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