Giovanni Fattori

Pittore livornese nato nel 1825, Giovanni Fattori lavorò principalmente a Firenze ed è considerato uno dei principali esponenti del movimento dei Macchiaioli.
Verso la metà XIX secolo in Italia si svilupparono notevolmente, soprattutto nel contesto toscano, gli ideali del Realismo, corrente pittorica francese nata nel primo Ottocento grazie all'opera di Gustave Courbet. L'apporto innovativo che fu in grado di donare il Realismo alla storia dell'arte fu, oltre alla predilezione per l'esatta rappresentazione della realtà, l'adottare le tradizionali misure dei quadri storici di grandi committenze per raffigurare la vita di tutti i giorni, capendo che non vi è meno poesia in un qualunque funerale di provincia o nell'umile lavoro nei campi.

Funerale a Ornans - Gustave Courbet - 1850 circa - Parigi, Museo d'Orsay

Seguendo tali ideali i Macchiaioli, di cui vanno ricordati, oltre a Fattori, anche Silvestro Lega e Telemaco Signorini, si dedicarono a una pittura essenziale attenta alla bellezza del reale, alla tranquillità della vita quotidiana, adottando una tecnica che prevedeva la costruzione di immagini attraverso l'uso di masse di colore, dette appunto "macchie", cercando in questo modo di rimanere il più possibile fedeli all'impressione visiva, a ciò che percepisce l'occhio umano nel catturare la natura.
Si potrebbero dunque considerare i Macchiaioli in un certo senso precursori degli Impressionisti, in quanto il gruppo italiano cominciò a dipingere a partire dal 1856 lavorando sino al 1867, mentre la prima uscita pubblica del gruppo di Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir avvenne nel 1874 presso lo studio fotografico di Félix Nadar. Entrambi i movimenti cercarono di rompere con la tradizione pittorica del passato, rifiutando gli schemi accademici, tuttavia i Macchiaioli, sebbene accolti inizialmente con entusiasmo dalla critica, non riuscirono mai ad imporsi sul mercato artistico finendo per essere accantonati e dimenticati, forse anche per le loro posizioni antiaccademiche, pur rappresentando il momento più alto della pittura italiana nell'Ottocento. Ben altro successo ebbe invece l'impressionismo, anche se i primi tempi non furono facili. Un'altra sostanziale differenza è poi l'utilizzo di "macchie" di colore, mentre gli Impressionisti lavoravano sulla tela con pennellate ampie e decise, con rapidi movimenti volti a catturare ciò che l'occhio dell'artista coglieva en plein air.
Quello con la Francia fu sicuramente un rapporto fondamentale per i Macchiaioli, che si recarono a Parigi per studiare le opere di Courbet ma anche di Camille Corot e della scuola di Barbizon. Non va dimenticato infine che proprio dal 1858 al 1860, al sorgere delle idee macchiaiole, soggiornò a Firenze Edgar Degas, uno dei protagonisti dell'impressionismo che tuttavia in questi anni dava vita a quadri più che mai vicini alla concezione del gruppo italiano, basti osservare il Ritratto della famiglia Bellelli, confrontandolo in particolare con la produzione di Silvestro Lega, un'opera con cui Degas indirizzò i toscani verso un domestico realismo.

La famiglia Bellelli - Edgar Degas - 1860 circa - Parigi, Museo d'Orsay

I Macchiaioli trovarono in Firenze la città perfetta per il confronto su nuove tecniche, vivendo degli anni di estrema importanza a livello politico, vale a dire quelli degli ideali risorgimentali, dell'unificazione nazionale, nonché il breve periodo nel quale la città divenne la capitale del regno. In particolare fu il Caffè Michelangelo il luogo prediletto degli artisti, sede di interminabili discussioni e dibattiti in un'atmosfera patriottica e antiaccademica allo stesso tempo.
Amanti della pittura all'aperto, i Macchiaioli si ritrovavano spesso anche a Castiglioncello, nei pressi di Livorno, come mostra il dipinto di Fattori La signora Martelli a Castiglioncello datato 1867. Più che il soggetto, una dama che si riposa all'aria aperta godendosi all'ombra la bella giornata, l'importanza del quadro sta nell'attento studio degli effetti luminosi che rendono incantevole l'incontaminato paesaggio della campagna maremmana.

Fattori aderì alquanto tardi alle nuove idee del gruppo macchiaiolo, così come lo stesso Lega, l'altro principale esponente, lasciandosi alle spalle carriere già consolidate in senso tradizionale. Il livornese decise qualche anno dopo aver cominciato a frequentare il Caffè Michelangelo di abbandonare il gusto romantico e i classici temi pittorici per cercare nuove forme di espressione, privilegiando sempre soggetti semplici e apparentemente di poca importanza, come soldati di ronda che ripetono con monotonia il loro compito di guardia, scelte che consentivano all'artista di focalizzarsi sul cogliere con precisione la realtà, osservando le scene dal vivo per custodirle nella memoria e dipingerle in studio, tecnica che contrasta con quella degli impressionisti, muniti di cavalletto, che sceglievano la collocazione più appropriata per la loro tela cercando di rapire l'esatto istante come in una fotografia.
È il caso di uno dei dipinti più celebri del pittore, intitolato In vedetta e realizzato intorno al 1870, un'opera di piccole dimensioni nella quale sono raffigurati tre soldati a cavallo che in una rovente giornata estiva svolgono il dovere alquanto faticoso di sorvegliare una caserma. Il sole pomeridiano è alto nel cielo azzurro e la sua luce abbagliante e calorosa crea ombre marcatissime sul muro bianco che diviene uno degli elementi fondamentali nella composizione per l'effetto della luce e per la precisa prospettiva.

Ricorrente nella sua produzione artistica furono i soggetti militari, partecipando nel 1859 ad un concorso per quattro grandi illustrazioni delle battaglie del Risorgimento. Fattori vinse con Il campo italiano durante la battaglia di Magenta, terminato solo nel 1862 per le notevoli dimensioni, nel quale, così come l'opera precedente, non viene raffigurato un attimo fondamentale ai fini della battaglia, allo stesso modo in cui i soldati che sorvegliano la caserma non sono dei protagonisti rilevanti, in una visione antiretorica della guerra e del lavoro.
Nell'episodio della Seconda guerra di indipendenza italiana, combattuta a fianco della Francia contro l'Austria, Fattori si sofferma su un carro-ambulanza che trasporta i feriti e il ritorno dei soldati sulle retrovie per essere assistiti e medicati dalle infermiere. Ormai non vi sono più eroismi da celebrare, ma l'intento dell'autore sembra quello di dare valore alle gesta di ogni soldato che ha rischiato la propria vita, mostrando allo stesso tempo all'osservatore le drammatiche conseguenze che la guerra comporta anche in caso di esito positivo per le sorti della propria patria. L'opera, portata a compimento già quando l'autore aveva aderito alle tecniche dei Macchiaioli, appare ancora maggiormente vicina alle tradizionali regole accademiche, tuttavia sembra anticipare nell'uso del colore la nascente corrente pittorica.

Sono invece messe in risalto le valorose gesta militari in un'altra scena bellica dipinta da Fattori nel 1878, questa volta ricordando un momento della Terza guerra d'indipendenza combattuta dal Regno d'Italia contro l'Austria nel 1866. Si tratta del Quadrato di Villafranca, quando il reggimento italiano si sacrificò per salvare il figlio del re d'Italia Vittorio Emanuele II, il futuro Umberto I, dall'attacco nemico.
Il 24 giugno le forze italiane e quelle austriache si fronteggiarono a Custoza, nella campagna veronese tra il Mincio e il Po. Alle armi erano stati chiamati anche i figli del "Padre della Patria", i principi Umberto e Amedeo, una scelta imprudente che espose entrambi al rischio. Sorpreso dall'attacco austriaco nei pressi di Villafranca, lo schieramento di Umberto fu celere nel rinchiudersi in un quadrato formato attorno al futuro sovrano.
L'esito del conflitto fu negativo per il nostro paese, tuttavia l'accaduto fu celebrato per il grande coraggio, inoltre la resistenza di Umberto nel quadrato, insieme anche ad una ferita riportata dal fratello Amedeo, divennero strumenti di propaganda per la dinastia che riuscì a celare l'imprudenza e le colpe della sconfitta mostrando l'immagine eroica dei due principi.

Nello stesso anno in cui l'esercito italiano combatteva a Custoza, Fattori dipinse una piccolissima tavola dal singolare formato orizzontale divenuta una dei suoi più grandi e famosi capolavori, vale a dire La rotonda dei bagni Palmieri, manifesto del movimento macchiaiolo.
Un gruppo di signore, all'ombra di una tenda da sole, si trova su una terrazza situata sul lungomare di Livorno, affacciate dinanzi al bellissimo panorama di una giornata luminosissima. Le vesti, i cappelli e persino i volti delle donne sono resi con macchie nette di colore e si può notare come il pittore non abbia descritto con precisione le fattezze delle dame, delle quali mancano i particolari fondamentali come occhi, naso e bocca. Questa scelta dimostra l'attenta osservazione della realtà da parte dell'artista, consapevole che da lontano, al chiaro della luce del sole estivo, i tratti dei volti non si vedono affatto. L'opera sembra un'impressione, un'immagine colta all'improvviso, tuttavia questo particolare e i lunghi studi preparatori dimostrano la lenta meditazione dell'autore, il quale rielaborò la scena nella sua mente, cercando poi di reinterpretare con estrema precisione la realtà, in una costruzione pittorica dalla sintassi tanto rigorosa che diversi critici hanno cercato un paragone tra questo sfondo paesaggistico e quelli delle opere di Piero della Francesca o Beato Angelico.

In tarda età Fattori si dedicò sempre di più alla pittura di paesaggio, in particolare la Maremma toscana, la costa livornese nonché al lavoro dei contadini nella campagna.
Un viaggio a Parigi che gli permise di conoscere direttamente gli Impressionisti non influì notevolmente sul suo stile ormai sicuro e pienamente maturo.

Autoritratto di Giovanni Fattori firmato e datato 1884.

Il suo interesse era ancora rivolto ad un autore come Corot, così come si può vedere nella tavola intitolata La libecciata, eseguita fra il 1880 e il 1885. Il forte vento soffia impetuoso piegando i tronchi dei due grandi alberi e increspando le onde del mare. I colori danno all'osservatore una sensazione di angoscia e allo stesso tempo la perfetta resa della realtà, qui resa magistralmente dal pittore, sembra quasi riuscire a restituirci la sensazione uditiva del vento che soffia sugli alberi, qualità davvero unica per un'opera pittorica.

Datato 1887 e custodito alla Pinacoteca di Brera di Milano, Il riposo presenta un soggetto apparentemente semplice e di nessuna importanza, ossia un contadino seduto accanto ai suoi buoi mentre si riposa dopo il lavoro sotto il sole di una calda giornata. Dietro a un quadro come questo si cela però una sincera celebrazione della nobiltà del lavoro umano, che rende anche l'umile ma prezioso compito di un contadino degno di divenire protagonista di un'opera d'arte. A prevalere sono i colori primari: il rosso del carro, il blu del mare all'orizzonte e il giallo della terra arsa dal sole. I contorni sono netti, al contrario delle composizioni impressioniste, con le sagome dell'uomo e degli animali che si stagliano contro lo sfondo marino illuminato dalla chiarissima luce pomeridiana.

T’amo, o pio bove; e mite un sentimento
Di vigore e di pace al cor m’infondi,
O che solenne come un monumento
Tu guardi i campi liberi e fecondi,

O che al giogo inchinandoti contento
L’agil opra de l’uom grave secondi:
Ei t’esorta e ti punge, e tu co ’l lento
Giro de’ pazïenti occhi rispondi.

Da la larga narice umida e nera
Fuma il tuo spirto, e come un inno lieto
Il mugghio nel sereno aer si perde;

E del grave occhio glauco entro l’austera
Dolcezza si rispecchia ampïo e quïeto
Il divino del pian silenzio verde.

Giosuè Carducci

Negli ultimi anni di vita, caratterizzati da una profonda indagine introspettiva, l'artista si interrogò sul significato più recondito dell'esistenza, cercando nell'arte la risposta alle proprie domande. Nacque così Tramonto sul mare, nel quale vediamo un uomo, che potrebbe essere il pittore stesso, che contempla l'orizzonte sul far della sera, quando emergono le nostalgie più recondite dell'animo. Il tema dell'uomo solitario al cospetto dell'immensità era stato un tema ricorrente nell'Ottocento, si pensi a Caspar David Friedrich e agli altri romantici, tuttavia quest'opera appare più vicina a Monet, che nella seconda metà del secolo aveva dato vita a Impressione, levar del sole, ancor di più appare più vicina ai sentimenti del nuovo secolo, il Novecento, che era ormai alle porte con tutti i drammatici eventi di cui sarà portatore. Si può così considerare questo quadro come un punto di contatto tra due secoli tanto distanti, sia a livello artistico che sociale, politico e sentimentale, allo stesso tempo una chiara sintesi dell'eterna condizione umana.

Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.

Salvatore Quasimodo