Edgar Degas

"Ragazzo originale, questo Degas, malaticcio, nevrotico, oftalmico al punto che teme di perdere la vista, ma proprio per questo un essere per eccellenza sensibile che percepisce il contraccolpo del carattere delle cose. Finora è quello che meglio ho visto afferrare, copiando la vita moderna, l'anima di questa vita".

Sono queste brevi righe dello scrittore Edmond de Goncourt a scolpire l'animo di Edgard Degas, nato a Parigi nel 1834 da una nobile famiglia di banchieri.

Una volta abbandonati gli studi di giurisprudenza per dedicarsi all'arte, ricevette una formazione maggiormente collegata ai maestri del passato, al contrario degli altri Impressionisti. Copiò spesso le opere esposte al Louvre e ammirò, durante un soggiorno in Italia, i grandi pittori del Quattrocento.

Il suo principale maestro fu il grande Jean-Auguste-Dominique Ingres, dal quale apprese l'importanza della tecnica del disegno e dell'imitare gli autori classici.

"Bisogna copiare e ricopiare i maestri, e soltanto dopo aver fornito tutte le prove di un buon copista vi si potrà ragionevolmente permettere di dipingere un ravanello dal vero".

Si innamorò inoltre della pittura coloristica di Eugène Delacroix.

Fondamentale fu un incontro con l'ormai anziano Ingres, considerato l'ultimo rappresentante vivente della tradizione classica, che, accorgendosi della bravura del giovane Degas, si dice gli si rivolse donandogli un prezioso consiglio: "disegnare linee, giovanotto, disegnare linee". Degas non si dimenticò mai di queste parole così preziose per la sua carriera, tanto da portarlo a divenire uno dei migliori disegnatori dell'arte moderna.

Opera che rimanda agli artisti del passato è La famiglia Bellelli del 1860-1862, dipinto in parte a Firenze, che ci permette di osservare il modello perfetto di famiglia borghese.

Divenuto amico e ammiratore di Édouard Manet, con il quale condivideva un'educazione privilegiata, Degas iniziò ad allontanarsi dagli ambienti borghesi per avvicinarsi ai caffè frequentati dagli Impressionisti tra cui Pierre-Auguste Renoir, Claude Monet e Paul Cézanne. Inoltre, sempre grazie a Manet, si avvicinò alle idee del movimento realista, promosse una decina di anni prima, e in particolare a un autore come Gustave Courbet.

Nonostante fosse legato in amicizia e condividesse speranze e delusioni con gli Impressionisti, partecipando alle mostre del gruppo, Degas non si allineò mai completamente alle idee dei compagni; egli era totalmente contrario alla spontaneità e all'immediatezza, lontano dalla pittura en plein air, distinguendosi sempre nelle esposizioni per l'autonomia delle scelte e il suo stile unico.

"Nessun'arte è meno spontanea della mia. Quel che faccio è il risultato della riflessione e dello studio sui grandi maestri; di ispirazione, spontaneità, temperamento, io non ne so niente. Bisogna rifare dieci volte, cento volte lo stesso soggetto. Nulla in arte deve sembrare casuale, nemmeno il movimento".

La sua tendenza ad isolarsi a livello pittorico coincideva anche a quella caratteriale; Degas viene descritto varie volte come un uomo terribile, cupo, suscettibile, persino misogino. Afferma di lui il pittore Camille Pissarro: "È un uomo terribile, ma franco e leale".

Perché dietro a quell'apparente freddezza vi era un animo sensibile, bisognoso d'amore; il suo comportamento era spesso dovuto alla fragile salute, ai problemi di vista, che lo portarono a diventare quasi cieco e lo rendevano nervoso e scontroso. Fu però lui stesso a sostenere come artista Suzanne Valadon, una delle sue modelle preferite che quando gli portò la cartella contenente i suoi disegni si sentì dire, dopo che il pittore aveva costantemente mantenuto la sua seria espressione: "siete veramente una di noi".

Grazie al consiglio del poeta Charles Baudelaire, Degas iniziò ad accostarsi ai temi della vita contemporanea come le corse dei cavalli, al mondo del lavoro attraverso lavandaie ritratte nei momenti di sforzo, di pausa o di noia, al teatro con i cantanti e i musicisti, alle ballerine, grazie alle quale poteva analizzare il movimento.

Cavalli da corsa davanti alle tribune riesce a rendere, attraverso un continuo studio del vero, l'eleganza dei cavalli e la vivacità della folla.

Presto Degas divenne noto come il pittore delle ballerine; egli stesso arrivò a lamentarsene poiché affermava che la danza era per lui solo un pretesto per studiare il movimento. Comunque l'artista amava molto il balletto e si recava spesso all'Opéra di Parigi, come mostra il dipinto del 1870 intitolato L'orchestra dell'Opéra. Si vedono in primo piano i musicisti, mentre il palcoscenico è rappresentato sullo sfondo, dove si scorgono le ballerine. Il quadro ci offre uno spaccato della Parigi della seconda metà dell'Ottocento, capitale europea artistica e culturale.

Affermò Baudelaire: "Amava il corpo umano come un'armonia materiale, come una bella architettura con in più il movimento".

Le Ballerine di Degas sono spesso ritratte nei momenti di riposo e con vari atteggiamenti: mentre si esercitano, si aggiustano il costume, si massaggiano le caviglie indolenzite o semplicemente osservano la grande città dalla finestra. La delicatezza, l'armonia e la purezza dei soggetti femminili rendono unici questi dipinti e sembrano rendere eterna la pittura di Degas.

Il dipinto La lezione di danza, datato 1874, ritrae il momento in cui una ballerina sta provando dei passi di danza osservata con attenzione dal maestro, mentre le altre ragazze osservano la scena o parlano tra loro distrattamente, aspettando il proprio turno. Si nota come l'autore ha ottenuto una grandiosa profondità spaziale, accentuata dalle linee oblique del parquet.

Lavandaia, datato 1875, mostra la sensibilità dell'artista nei confronti della corrente artistica del Realismo e del mondo del lavoro. Numerosi sono i suoi lavori che ritraggono donne impegnate a pulire il bucato, a stirare, in atteggiamenti di sforzo o di riposo.

Nel 1874 il romanziere realista Edmond de Goncourt si recò nell'atelier di Degas, mostrandosi entusiasta dei soggetti scelti dall'autore: "Ieri ho trascorso la mia intera giornata nell'atelier di uno strambo pittore nominato Degas. Dopo molti tentativi, prove, ricerche in tutti i campi, si è innamorato del moderno; e, nel moderno, ha messo gli occhi sulle stiratrici e sulle ballerine. Pensandoci, è una scelta per nulla malvagia. Degas mi ha mostrato... lavandaie, e ancora più lavandaie"...

Così Paul Valéry, poeta e amico di Degas, che tanto amava la sua pittura, soprattutto per il rigore geometrico nel disporre le figure nello spazio: "C'era in Degas una curiosa sensibilità per la mimica. D'altronde, le ballerine e le stiratrici che ha dipinto, le ha colte in atteggiamenti professionali significativi, il che ha permesso di rinnovare la visione dei corpi e di analizzare un gran numero di pose di cui i pittori prima di lui non si erano occupati".

In molti quadri dell'autore osserviamo un taglio fotografico della scena che viene ritratta da un angolo preciso, come fosse una fotografia che riesce a fermare un preciso istante con immediatezza. Degas fu uno dei primi artisti sensibile alle tecniche fotografiche, promosse in quegli anni da Félix Nadar, sostenitore del gruppo impressionista.

Ciò è evidente nel suo capolavoro del 1876, L'assenzio, custodito al Museo d'Orsay di Parigi.

Degas immortala un pezzo di vita vissuta all'interno di un caffè, dove sul fondo rispetto l'inquadratura vediamo, seduti a un tavolino, una ragazza che appare persa mentre guarda nel vuoto, sotto l'effetto dell'alcol, e accanto a lei un uomo che osserva qualcosa all'interno del locale mentre fuma la pipa, rimasta tagliata dall'inquadratura così come parte della sua figura.

Nel dipinto hanno posato l'attrice Ellen Andrée, già modella di Manet e Renoir, e l'artista Marcellin Desboutin.

L'opera trasmette un senso di solitudine: la donna, un'esile e stanca prostituta, e un volgare bohémien, sono seduti uno accanto all'altro, chiusi nei loro malinconici pensieri e isolati dalla realtà.

Per certi versi la scena richiama Il caffè di notte di Vincent Van Gogh, realizzato più avanti nel 1888, anch'esso una fotografia di un locale, riposo di alcuni avventori nel pieno della notte. Sia Van Gogh, sulla sua sedia, che Degas, sul tavolino sopra al quale pone la propria firma, fanno parte dell'opera anche se non si vedono, in quanto hanno a lungo seduto per comporre il dipinto.

Lo specchio dietro ai due personaggi e l'ambientazione parigina ricordano invece un'opera di Manet, Il bar delle Folies-Bergère, datata 1881-1882, dove la barista è sì assorta nei suoi pensieri ed estraniata dalla folla, ma ne fa comunque parte, nonostante sembri non condividerne i modi superficiali. Ella non è così sola come invece appaiono i due protagonisti dell'opera di Degas, in cui lo specchio non è altro che un elemento che esalta la loro disperazione.

I dipinti di Van Gogh e Manet mostrano come Degas fosse già diventato un modello e un vero punto di riferimento nell'arte contemporanea.

Ne è un ulteriore esempio Donna al Cafè Le Tambourin di Van Gogh, del 1887, che ritrae una malinconica emarginata, in posa come la prostituta del dipinto di Degas, intenta a fumare una sigaretta mentre la sua mente è assorta in amari ricordi. Si tratta di un'altra condanna all'alcolismo, in questo caso ancor più sentita dall'autore che probabilmente ebbe una breve e infelice relazione con la protagonista raffigurata.

Nonostante la perdita nel 1883 dell'amico Manet e il peggiorare delle sue condizioni di salute, Degas si accostò alla scultura e, ormai artista affermato, dipinse esclusivamente il femminile.

Intanto sta per perdere lentamente la vista. Dipinge ancora ballerine; nei loro gesti, nei loro movimenti, sembrano sogni d'amore, un ritorno all'adolescenza mai vissuta, una riscoperta del proprio animo.

Anche i suoi nudi, realizzati verso la fine della carriera, non hanno nulla di morboso, di erotico; sono raffigurazioni di donne belle, dentro e fuori, delicate. Sembra che il pittore volesse mettere su tela ciò di cui aveva bisogno, soprattutto ora, stremato dalla malattia. Forse il suo Amore si trova proprio in questi dipinti, è nell'arte, la sua vita...

Degas si spense a Parigi il 27 settembre 1917; al suo funerale parteciparono poche persone, tra cui l'ormai anziano Monet, l'ultimo del gruppo impressionista. Morì isolato nella vita ma non nell'arte che già lo vedeva tra i più grandi della pittura moderna.

"Vi domando perdono d'una cosa che ritorna spesso nelle vostre conversazioni e ancor più spesso nei vostri pensieri: quello d'esser stato, nel corso dei nostri lunghi rapporti artistici, duro, con voi. [...] Lo ero particolarmente con me stesso, dovete ricordarvelo bene, poiché siete stato indotto a rimproverarmelo e a stupirvi di quanto scarsa fiducia avessi in me. [...] Ero e sembravo duro con tutti per una sorta di inclinazione alla brutalità che nasceva dai miei dubbi e dal mio cattivo umore. Mi sentivo così mal fatto, così scarsamente provveduto di mezzi, così fiacco, mentre mi sembrava che i miei calcoli artistici fossero giusti. Tenevo il broncio con tutti, anche con me stesso. Vi domando perdono se, con il pretesto di quest'arte maledetta, ho ferito il vostro spirito intelligente e nobilissimo, forse anche il vostro cuore".

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