Caspar David Friedrich

La legge dell'artista è il suo sentimento.


Caspar David Friedrich, pittore tedesco nato nel 1774, fu uno dei massimi esponenti dell'arte romantica, forse il più celebre per i suoi paesaggi immensi, suggestivi e intensamente malinconici, chiara espressione del sentimento del sublime e della presenza divina nella natura.

Fu il filosofo Immanuel Kant a descrivere pienamente il concetto del sublime, cioè il piacere e allo stesso tempo la paura angosciante che provoca il pensiero e la vista dell'infinito, ideale fondamentale dell'età romantica. Questa duplice sensazione è ciò che avvertiamo osservando un dipinto di Friedrich in cui la natura sconfinata viene mostrata indifferente al destino dell'umanità, pensiero che si può ritrovare nelle pagine di un contemporaneo, Giacomo Leopardi.

Il poeta descrisse anche il tema caro ai romantici dell'infinito, inteso come il naufragare nel mare della propria interiorità. In questo periodo l'uomo avverte il bisogno di riscoprirsi, conoscendo i propri sentimenti, scrutando negli abissi dell'anima e arrivando a comprendere la sua fragilità al cospetto dell'universo. Questo passo è fondamentale perché allo stesso tempo mostra una grandezza, quella di custodire in sé un infinito, di conoscere l'eternità e di sentirsene parte. Ciò è quanto esprime Kant nel suo pensiero.

Charles Baudelaire sostiene che il Romanticismo dimora nell'interiorità, nell'intima aspirazione dell'uomo a ricongiungersi con l'infinito.

Capolavoro datato 1808, Monaco in riva al mare, è l'espressione più alta della contemplazione dell'infinito e del concetto di sublime.

Immerso in un angoscioso paesaggio marino, un monaco solitario, che si tiene il capo fra le mani come la figura del celebre Urlo di Edvard Munch, resta immobile nell'osservare l'immensità del cielo e del mare tenebroso. Ciò che si avverte di fronte all'opera è una sensazione di vuoto impressionante: l'uomo è solo un granello di sabbia di fronte allo spettacolo della natura.

Tornando, però, al concetto di sublime, osserviamo in alto nel cielo una schiarita, una luce che, improvvisa, tranquillizza lo spettatore e ripone in lui una speranza.

«Il Divino è ovunque, anche in un granello di sabbia».

Il Viandante sul mare di nebbia, realizzato nel 1818, è un altro capolavoro in cui Friedrich raffigura un uomo colto nel contemplare un paesaggio grandioso. Il quadro è considerato il manifesto del Romanticismo.

Dall'alto di una roccia il soggetto, ben vestito e con un bastone, si trova immerso nella nebbia, con i capelli scompigliati dal vento, solo, di fronte al sublime spettacolo del paesaggio che si perde all'orizzonte.

Nell'immensità silenziosa e misteriosa della natura, l'uomo mette a nudo la sua anima con tutte le sue domande e incertezze. Anche se l'artista non ci mostra gli occhi del viandante, possiamo conoscere ugualmente il suo sguardo: la sua visione, che poi è quella del pittore, è infatti diventata la nostra.

Nello stesso anno Friedrich si sposò con Caroline Bommer, una ragazza di umili origini dalla quale ebbe tre figli. Grazie alla serena relazione i suoi quadri acquisirono una nuova leggerezza e maggiore luminosità. Iniziarono a comparire più figure umane e meno solitudine, forse ciò fu dovuto alla centrale importanza che ebbe la sua famiglia nei suoi pensieri.

L'amata è probabilmente la protagonista del dipinto Donna al tramonto del sole, visto anche l'anno in cui l'opera venne realizzata, il 1818.

La figura femminile è perfettamente centrale e allarga un poco le braccia come stupita dallo spettacolo che ha dinanzi. Il colore arancione del cielo invade una natura incontaminata, senza apparente traccia di presenze umane.

Inizialmente commissionata come pala d'altare, rappresentando una vera e propria rivoluzione per tale tema, ma successivamente rifiutata, Croce in montagna colpisce sin da subito l'osservatore per l'imponente paesaggio roccioso in primo piano. Oscuro e opprimente, esso è contrapposto alla parte superiore del dipinto, dove in un suggestivo tramonto si staglia una croce. Gli alti abeti che fanno da sfondo alla composizione sembrano intrisi di malinconia e mistero. Al cospetto di quest'opera non si può infatti che avvertire una sensazione di smarrimento, così distanti dalla croce e dalla salvezza, dalla luce eterna, quasi impossibilitati ad arrivarvi.

Nel dipinto Il tramonto due uomini, raffigurati simili ad indicare l'esperienza comune che stanno vivendo, osservano il tramonto in un'atmosfera malinconica. Sembrano perdersi in questo paesaggio che trova l'unione perfetta di terra, mare e cielo, ma sono allo stesso tempo rasserenati dalla luce all'orizzonte che vuole indicare l'esistenza di un'altra vita dopo la morte.

Friedrich fu autore di una pittura religiosa; egli amava la solitudine e si interrogava sul destino dell'uomo attraverso l'arte. La morte fu un motivo ricorrente nella sua produzione, raffigurata con paesaggi cupi e misteriosi, con alberi spogli dai rami secchi, a cui si affianca, però, anche l'immagine della redenzione, con elementi di salvezza come la croce e la luce del cielo a promettere una vita eterna.

Il dipinto in cui questo tema trova la massima espressione è Abbazia nel querceto, datato 1809-1810. Un'abbazia in rovina, di cui resta solo la facciata, è situata tra scuri tronchi di querce e avvolta da una silenziosa atmosfera in cui cammina una processione funebre di monaci. Contrapposto alla nebbia e all'oscurità della vita terrena, vi è il cielo che si apre luminoso e infonde speranza.

«Perché, mi son sovente domandato, scegli sì spesso a oggetto di pittura la morte, la caducità, la tomba? È perché, per vivere in eterno, bisogna spesso abbandonarsi alla morte».

Nel 1824 Friedrich manifestò i primi sintomi di una grave malattia nervosa legata al suo stato depressivo. Inoltre la sua arte, con l'affievolirsi degli ideali romantici, iniziò ad essere dimenticata o considerata malinconica e i suoi committenti sparirono.

Un amico raccontò che gli «si erano venute sviluppando idee fisse, evidente anticipazione della malattia cerebrale alla quale dovrà soccombere, che minarono la sua vita familiare. Essendo diffidente, tormentava sé e gli altri, immaginandosi infedeltà coniugali, in un vaneggiare insensato ma che lo assorbiva completamente».

Trascorse così gli ultimi anni della sua vita nella più triste solitudine e in miseria, spegnendosi a Dresda nel 1840.