Canto XXIV

Bonagiunta Orbicciani

Ma dì s'i' veggio qui colui che fore
trasse le nove rime, cominciando
"Donne ch'avete intelletto d'amore".
E io a lui: «I' mi son un, che quando
Amor mi spira, noto, e a quel modo
ch'e' ditta dentro vo significando».

Incontrato nel Canto XXIII l'amico e poeta Forese Donati, Dante prosegue insieme a lui, Virgilio e Stazio, in una vera e propria cerchia di illustri poeti, il cammino nella sesta cornice della montagna del Purgatorio, dove sono puniti i golosi, emaciati e sofferenti nel fisico perché impossibilitati a soddisfare il loro desiderio di nutrirsi.
A seguito di un dialogo fra Dante e Forese, nel quale il Poeta chiede di Piccarda, sorella dell'amico, scoprendo che già si trova nella beatitudine eterna del Paradiso, dove la incontrerà nel cielo della Luna, nel Canto III.
L'Alighieri chiede poi quale spirito sia degno di essere menzionato fra i tanti golosi puniti nella cornice e Forese gli indica Bonagiunta da Lucca, rimatore della seconda metà del XIII secolo, appartenente alla scuola toscana, che trasse la propria ispirazione dalla scuola siciliana ed in particolare da Iacopo da Lentini, l'inventore del sonetto.
Come nel Canto XI, grazie alla figura di Oderisi da Gubbio, Dante ha inserito dei versi che ci permettono di conoscere le contemporanee vicende legate alla storia dell'arte, in questo dialogo, per mezzo di Bonagiunta, abbiamo un prezioso documento di storia letteraria, nel quale viene distinto nettamente fra i due modi così distanti di poetare del tempo. Da una parte vi è infatti il modello di Guittone d'Arezzo, connotato da uno stile tecnico e difficile a cui si ribellò il Poeta, mentre dall'altra quello, a cui aderì Dante durante la giovinezza, dei poeti del Dolce Stil Novo, i quali hanno come tema privilegiato i sentimenti e le passioni d'amore.
Dante, attraverso le parole di Bonagiunta, è il primo ad assegnare un nome al nuovo movimento poetico fiorentino, a cui appartennero Guido Guinizzelli, il bolognese consideratone il precursore che Dante incontrerà nel Canto XXVI, ma anche Guido Cavalcanti, di cui aveva incontrato il padre nel Canto X dell'Inferno, infine Lapo Gianni e Cino da Pistoia.
Servirsi del rimatore lucchese per assegnare un nome preciso al loro stile è un espediente interessante in quanto la portata rivoluzionaria dei loro componimenti risalta maggiormente proprio perché riconosciuta dall'esponente di un genere poetico precedente. Alla domanda di Bonagiunta, il quale chiede se veramente si trova dinanzi all'autore grazie alla cui poesia, Donne ch'avete intelletto d'amore, sono nate quelle "nove rime" che si stanno diffondendo in Toscana, Dante risponde con tono d'umiltà, riconoscendo la pluralità di esperienze, a scapito del singolo, che hanno permesso la diffusione del nuovo stile.
Seguendo il filo rosso del Canto VI, nell'incontro con il mantovano Sordello, e soprattutto del Canto XXI, dove Dante e Virgilio incontrano Stazio, terzo poeta a continuare l'ascesa al monte a fianco dei due pellegrini, questo canto si fa portatore di una celebrazione della poesia, basti pensare al numero di autori presenti, considerata come la più alta e nobile fra le espressioni artistiche, capace di donare fama immortale a chi la onora.
Nel finale compare un altro degli alberi dai ricchi e profumati frutti a cui i golosi si rivolgono, bramosi di soddisfare il proprio desiderio, affollandosi inutilmente come dei bambini a cui un adulto sottrae l'oggetto desiderato. Dall'albero, in una scena che ricorda quella del Canto XIII della cantica infernale, si ode infatti una voce che allontana i penitenti gridando esempi di golosità punita.
Compare per ultimo un angelo, che con il suo celestiale battito d'ali cancella un'altra P dalla fronte del Poeta, invitandolo a proseguire il proprio percorso.