Canto III

Piccarda Donati

I' fui nel mondo vergine sorella;
e se la mente tua ben sé riguarda,
non mi ti celerà l'esser più bella,
ma riconoscerai ch'i' son Piccarda,
che, posta qui con questi altri beati,
beata sono in la spera più tarda.

Nel cielo della Luna, il più lontano da Dio e dunque quello con il moto più lento, Dante incontra gli spiriti che mancarono ai voti, ossia le anime sante di coloro che, per violenza subita, non portarono a termine l'impegno preso nei confronti di Dio con i voti religiosi.
Il Poeta si rivolge a Beatrice, colpito dalla visione di volti diafani, di color perlaceo, simili a immagini riflesse da uno specchio che conservano ancora le fattezze terrene anche se trasfigurate dalla beatitudine celeste. Dante si volta, cercando le persone che creano quei riflessi, ma Beatrice sorridendo gli spiega che non si tratta di immagini specchiate, bensì di vere sostanze.
Il canto è incentrato sulle figure femminili, bellissime e impalpabili allo stesso tempo, celestiali, simili alle donne angelicate dello Stilnovo, delle quali avevamo trovato testimonianza, per gentilezza e nobiltà d'animo, già in Francesca da Rimini, sebbene all'Inferno, ma anche in Pia de' Tolomei nel Canto V del Purgatorio, infine in Matelda e nella stessa Beatrice a conclusione dell'ascesa al Paradiso terrestre.
Una delle anime rivela di essere Piccarda Donati, amica di gioventù di Dante, il quale inizialmente non la riconosce perché in lei risplende qualcosa di divino che la rende diversa da come era in vita.

Pur trovandosi nel cielo più lontano da Dio, queste anime godono della perfetta beatitudine, così il Poeta chiede a Piccarda se non desiderino essere più in alto, ma la donna risponde che sono in perfetta sintonia con l'ordine dell'universo e che la carità le induce a non desiderare altro se non quello che già possiedono. Dante capisce allora che ogni luogo che vedrà e ogni condizione dei beati che scoprirà è Paradiso, preannunciando la particolare disposizione, ben spiegata nel Canto IV, secondo la quale i santi e i beati sono scesi nei diversi cieli solamente per il tempo dell'ascesa dantesca. La loro sede eterna è infatti la "rosa dei beati" nell'Empireo.
Piccarda spiega poi al pellegrino perché mancò ai voti religiosi, trovandosi dunque fra gli spiriti difettivi. Una volta scelto il matrimonio mistico con Cristo e la vita claustrale, seguendo l'esempio di santa Chiara, i suoi fratelli la rapirono per riportarla nel mondo e sistemarla in matrimonio. La protagonista del canto indica infine un'altra anima che ebbe una sorta uguale alla sua, vale a dire Costanza d'Altavilla, madre dell'imperatore Federico II di Svevia.
Intonando un inno alla Vergine, Piccarda si dilegua salendo in un'aurea luminosa verso l'Empireo, mentre lo sguardo di Dante, come a inizio canto, si volge verso Beatrice, rimanendone abbagliato.