Canto XXIII

Forese Donati

Mai non l'avrei riconosciuto al viso;
ma nella voce sua mi fu palese
ciò che l'aspetto in sé avea conquiso.

Il canto di Forese Donati, ambientato nella sesta cornice della montagna del Purgatorio, unisce due temi centrali nella cantica che si sono già incontrati più volte e che accompagneranno il lettore sino alla fine del viaggio, quando Dante, incontrata l'amata Beatrice, sarà pronto per ascendere nei cieli del Paradiso.
Il primo filo rosso che viene toccato nel canto è quello dell'amicizia, un valore di primaria importanza per il Poeta, che nel Purgatorio ha ritrovato, mostrando sincero affetto e compassione, il musico Casella nel Canto II, il liutaio Belacqua nel Canto IV ed il miniatore Oderisi da Gubbio nel Canto XI, tutti realmente conosciuti. Sono da ricordare inoltre le amicizie ideali che si instaurano fra la guida di Dante, Virgilio, e due poeti, vale a dire il mantovano Sordello nel Canto VI e Stazio nel Canto XXI, il quale ancora accompagna i due pellegrini.
Il secondo tema fondamentale è infatti la ricca presenza di poeti nella cantica, a rimarcare il primato della poesia come la più alta forma artistica, capace di donare fama immortale a chi la onora. Il motivo sarà ripreso anche in due momenti successivi, ossia nel Canto XXIV durante l'incontro con Bonagiunta Orbicciani e nel Canto XXVI con lo stilnovista Guido Guinizzelli.
Il tono affettuoso delle parole e la gioia di Forese Donati nel vedere Dante, preoccupato per la sorte dell'amico, sono caratteristiche proprie di questo canto e di quelli inerenti all'amicizia, cui si aggiungono qui l'ansia di comunicarsi i motivi delle attuali condizioni ultraterrene nonché, con sottile nostalgia, i dolci ricordi, le segrete confessioni e i sentimenti che li avevano uniti in passato.
Le anime dei golosi, che in vita si abbandonarono ai piaceri del mangiare e del bere, sono, per contrappasso, costrette a contemplare alberi ricchi di frutti profumati, senza poterli toccare, soffrendo terribilmente nella loro orrenda magrezza.
Fra questi spiriti penitenti, riconoscibile solamente dal suono della voce familiare con cui esclama "Qual grazia m'è questa?", Dante incontra Forese, che, stravolto fisicamente, spiega come nella sofferenza di quel suo essere così magro e nel continuo desiderare avidamente di potersi nutrire è riposta, per disposizione celeste, la gioia della purificazione. Ancor prima, però, Forese vuole sapere come mai Dante si trovi in quel luogo, ponendo in secondo piano la propria condizione come solo un vero amico è capace di fare.
Forese Donati era fratello del crudele Corso Donati, capo dei guelfi neri a Firenze, e di quella Piccarda che Dante incontrerà nel Canto III del Paradiso, nel cielo della Luna, nonché parente di Gemma Donati, moglie dell'Alighieri. Insieme a Dante, Forese ricorda la loro giovanile tenzone, vale a dire quel celebre scambio di sonetti, dallo stile ironico, a cui si erano dedicati.
Essendo mancato da soli cinque anni, il Poeta chiede all'amico come mai non si trovi ancora nell'Antipurgatorio, per di più in quanto pentitosi solo alla fine della sua esistenza; Forese risponde che la sua attesa è stata abbreviata dalle sincere preghiere della moglie Nella, il cui esempio di vita morale viene contrapposto alla condotta sfacciata e peccaminosa delle lussuriose donne fiorentine, emblema della decadenza e della corruzione del loro tempo.