Canto VI

Sordello

O Mantoano, io son Sordello
de la tua terra! e l'un l'altro abbracciava.

Come nel Canto V l'ambientazione è quella del secondo balzo della montagna del Purgatorio, dove Dante e Virgilio incontrano gli spiriti negligenti di coloro che morirono per violenza subita.
Nella prima parte del canto il Poeta si domanda come mai le anime chiedano con insistenza di pregare per loro in quanto è sicuro che un decreto divino non possa essere modificato e con esso nemmeno la durata della pena da scontare. La capacità delle preghiere di suffragio, rivolte dai vivi al defunto, come già aveva spiegato Manfredi nel Canto III, possono però effettivamente accorciare il tempo d'attesa nell'Antipurgatorio, conferma Virgilio. Pur non modificando la sentenza celeste, l'ardore della preghiera può infatti abbreviare l'espiazione della colpa, a testimonianza della misericordia di Dio.
I due poeti, incerti sulla strada da intraprendere, si accorgono della presenza di un'anima che, seduta in disparte, guarda verso di loro. Virgilio, presentandosi, pronuncia il nome della propria città natale, Mantova, e il suo semplice accenno a quel nome si rivela sufficiente a destare lo spirito dal suo torpore, come risvegliato da una lieta novella. Si tratta del poeta trovatore Sordello da Goito, nato nei pressi di Mantova, uno dei maggiori poeti italiani di lingua provenzale vissuto nella prima metà del Duecento, dedito alla vita di corte e alla professione di giullare. Distinguendosi per le sue doti di musico e nell'arte di comporre versi, fu dapprima alla corte estense e quindi passò a Verona, dove si innamorò della nobildonna Cunizza da Romano, rispettando i canoni dell'amore trobadorico, vale a dire l'amor cortese del poeta, il vassallo, a servizio dell'amata.
La figura di Sordello, presente anche nei due canti seguenti, con il quale incomincia la sequenza di incontri con illustri poeti che caratterizzerà la cantica, è di estrema importanza poiché introduce anche un tema, quello dell'amicizia, già incontrato in precedenza, ma che assume qui una forma differente. Se, infatti, Dante aveva ritrovato gli amici Casella nel Canto II e Belacqua nel Canto IV, ricordando dei legami terreni instauratesi realmente, con Sordello trova spazio l'invenzione di un'amicizia ideale fra poeti vissuti in tempi diversi, ripresa e approfondita più avanti grazie al personaggio di Stazio e celebrata in questo canto dal sincero sodalizio fra Virgilio e Sordello, ritrovatesi nell'oltremondo e uniti dalla commozione nel ricordare la medesima patria d'origine che non potranno più rivedere.
L'atteggiamento di Sordello, a cui è stato sufficiente un accenno alla comune patria per abbracciare con commozione il proprio interlocutore, spinge Dante a prorompere in una triste invettiva contro l'Italia, che definisce una nave senza timoniere e, ancor più, come una donna di bordello. Costretto all'esilio e ad assistere ad episodi di corruzione, anche legati alla Chiesa, nonché di lotte intestine e fratricide, il Poeta dipinge in questo canto un chiaro affresco della situazione politica dell'Italia del suo tempo, un paese più che mai diviso. Fra le famiglie prese a modello come esempi di grandi rivalità, Dante nomina i Monaldi e i Filippeschi, e soprattutto i Montecchi e i Capuleti, i cui giovani rampolli morti per amore diverranno i protagonisti della celeberrima tragedia Romeo e Giulietta di William Shakespeare.
Nonostante un senso di profonda delusione, emerge in Dante una chiara visione unitaria del paese. Per ora, però, l'Alighieri non può che ipotizzare, amaramente e con sottile ironia, che Dio stesso abbia probabilmente distolto il suo sguardo dall'Italia.