Michelangelo

Il Giudizio universale

Fu Clemente VII, figlio di Giuliano de' Medici, ad incaricare Michelangelo di affrescare la parete d'altare della Sistina con il Giudizio Universale. Con quell'immensa sfida sarebbe stata completata l'intera cappella, vero e proprio manuale della storia dell'arte di tutti i tempi. La volontà del pontefice era quella di legare il proprio nome all'impresa della Sistina così come avevano fatto i suoi predecessori: Sisto IV, da cui la cappella prende il nome, con la commissione degli affreschi delle pareti laterali ai pittori fiorentini del Quattrocento, Giulio II con la volta michelangiolesca e infine Leone X con i raffinatissimi arazzi di Raffaello Sanzio. Questi sarebbero stati usati solo durante le cerimonie più solenni, posti nel registro più basso delle pareti, dove oggi vi sono dei finti tendaggi. Quando vennero collocati per la prima volta il giorno 26 dicembre 1519, il giorno più importante della carriera artistica di Raffaello da Urbino, il suo trionfo. Immaginare la Sistina con gli arazzi è qualcosa di straordinario; una vera e propria "scatola dipinta", come la definisce Antonio Paolucci, ex direttore dei Musei Vaticani. «Opera certo più tosto di miracolo che d’artificio umano», scrive Giorgio Vasari.

Clemente VII, che avrebbe seguito personalmente i lavori del Giudizio, morì quando Michelangelo stava iniziando a mettere mani ai cartoni preparatori. Venne fatto papa Paolo III Farnese, il quale conferì al Buonarroti la carica di supremo architetto, scultore e pittore del Palazzo apostolico. Michelangelo tornò a Roma per non andarsene più sino alla morte.

Fin dai primi disegni Michelangelo si concentrò sulla figura di Cristo giudice, attorniato dalla Madonna e dai santi, mentre più in basso da una folla di anime dannate, in quello che è l'ultimo giorno dell'umanità. La scena non ha confini, con l'esibizione spropositata di figure umane.
Per lasciare spazio alla composizione michelangiolesca, vennero sacrificati l'Assunzione della Madonna di Pietro Perugino, tema a cui è dedicata la cappella, e altri due dipinti del medesimo.

La Cappella Sistina prima degli interventi di Michelangelo in una ricostruzione del XIX secolo.

Michelangelo, che chiuse le due finestre che vi erano sulla parete, realizzò una pendenza nel muro per far sì che sembrasse che il giudizio incombesse su chiunque lo guardasse; un tocco prodigioso che capiamo bene quando ci troviamo al cospetto di questa scena monumentale.

Al centro, immerso nel blu lapislazzulo, un Gesù bellissimo tiene il potente braccio destro sollevato. Una volta abbassato, il destino sarà compiuto e sarà fatta la volontà di Suo Padre. Al suo fianco Maria, raccolta in sé stessa, sembra non voler assistere alla punizione dei dannati. Attorno al Cristo non gravita solo l'affresco ma l'intera cappella, la volta, ed anche le pareti laterali dipinte dai grandi pittori del Quattrocento, vale a dire Perugino, Sandro Botticelli, Domenico Ghirlandaio, le cui opere sembrano orbitare come pianeti attorno al proprio sole, all'astro splendente della storia dell'arte, attorno a Michelangelo.

L'anatomia è il solo strumento espressivo dell'arte michelangiolesca, come ebbe a dire il suo allievo e biografo Ascanio Condivi: «In quest'opera Michelagnolo espresse tutto quel che d'un corpo umano può far l'arte della pittura». Nella scena non vi sono infatti paesaggi; è un'unica vastissima rappresentazione di corpi, i quali raccontano le aspirazioni di ognuno, il male di vivere: l'intera esistenza.
Basta osservare, ai piedi di Gesù, la figura di San Bartolomeo, scuoiato vivo, che sorregge la propria pelle nel cui volto si scorge un celeberrimo autoritratto di Michelangelo.
L'artista che affresca l'immensa parete è un uomo segnato dalla fatica e dal dolore fisico, dalla solitudine, un uomo con le proprie angosce e inquietudini, come afferma in un componimento delle sue Rime.

I' sto rinchiuso come la midolla
da la sua scorza, qua pover e solo,
come spirto legato in un'ampolla.

A metà della stessa poesia si trova poi un verso bellissimo e modernissimo che sembra essere scritto da Giacomo Leopardi.

La mia allegrezz' è la maninconia.

Mentre gli angeli senz'ali volano sorreggendo le anime degli eletti, conducendoli in Paradiso, in basso regnano terrore, angoscia, violenza e disperazione. Alla sinistra di Cristo, San Pietro restituisce le chiavi del regno dei cieli. Dalla parte opposta, alla destra di Gesù, più o meno nella stessa posa e con le medesime dimensioni, si vede San Giovanni Battista, riconoscibile dal manto di pelo di cammello. Alla base del dipinto, in una caverna, inquietanti diavoli escono per accaparrarsi le anime malvagie.

Una delle fonti letterarie a cui si ispirò Michelangelo fu sicuramente la Divina Commedia dell'amato Dante i cui versi sono stati presi fedelmente nella raffigurazione di alcuni personaggi, sebbene con alcune personali interpretazioni.
Notiamo infatti, sempre in basso, Caronte, il demone dallo sguardo di fuoco traghettatore del fiume infernale Acheronte. Benché le fattezze del nocchiere siano le medesime citate da Dante, la scena raffigurata è quella dello sbarco delle anime, mentre Caronte le batte con il remo; il Poeta ci descrive invece l'imbarco.

Ed ecco verso noi venir per nave un vecchio, bianco per antico pelo, gridando: «Guai a voi, anime prave! Non isperate mai veder lo cielo: i’ vegno per menarvi a l'altra riva ne le tenebre etterne, in caldo e ‘n gelo». 

Inferno, Canto III, vv. 82 - 87

Poco più in basso, nell'estremità di destra, il giudice Minosse esamina le colpe dei dannati, giudicandoli e assegnando loro il cerchio dell'inferno in cui dovranno scontare la propria pena attorcigliando la coda di serpente.

Stavvi Minòs orribilmente, e ringhia: essamina le colpe nell’entrata; giudica e manda secondo ch’avvinghia.

Inferno, Canto V, vv. 4 - 6

Nel suo volto si può vedere il ritratto grottesco di Biagio da Cesena, il cerimoniere del papa che considerava indegna la nudità dei corpi dei peccatori. Scrisse al riguardo il Vasari: «Messer Biagio da Cesena maestro delle cerimonie e persona scrupolosa, che era in cappella col Papa, dimandato quel che gliene paressi, disse essere cosa disonestissima in un luogo tanto onorato avervi fatto tanti ignudi che sì disonestamente mostrano le lor vergogne, e che non era opera da cappella di papa, ma da stufe e d’osterie. Dispiacendo questo a Michelagnolo e volendosi vendicare, subito che fu partito lo ritrasse di naturale senza averlo altrimenti innanzi, nello inferno nella figura di Minòs con una gran serpe avvolta alle gambe fra un monte di diavoli».

Appena sopra a Caronte un gruppo di angeli annunciano la fine dei tempi, risvegliando i morti con le trombe dell'Apocalisse e mostrando i libri profetici delle Sacre Scritture. Ai beati il suono delle trombe giunge come una musica dolce; i dannati, invece, devono tapparsi le orecchie per non rimanerne assordati.
Così Stendhal a seguito della visita in Sistina: «Nessun pittore ha mai fatto nulla di simile e mai ci fu spettacolo più orribile. Sono gli sventurati condannati trascinati al supplizio dai demoni. Michelangelo traduce in pittura le immagini spaventose che l'eloquenza infuocata di Savonarola gli aveva un tempo impresso nell'anima».

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