Paolo Uccello

Oh che dolce cosa è questa prospettiva!

Paolo di Dono, noto come Paolo Uccello, fu un pittore fiorentino nato nell'anno 1397, descritto nelle Vite da Giorgio Vasari come "solitario, strano, malinconico e povero", ma anche come un talento che sarebbe potuto divenire il migliore artista da Giotto sino al suo tempo. Pur essendo "dotato dalla natura d'uno ingegno sofistico e sottile", egli "non ebbe altro diletto che d'investigare alcune cose di prospettiva difficili et impossibili". Questa sua grande passione per la prospettiva, che considerava quasi come una religione, come uno strumento in grado di spiegare l'ordine del mondo visivo, non fece che allontanarlo, secondo il Vasari, dalla pittura di figure e della natura, finendo per farlo vivere "più povero che famoso". Innegabile è però l'apporto che portò ad una tecnica, quella prospettica, che cambierà per sempre la storia dell'arte grazie anche al contributo di Piero della Francesca.
Coetaneo di Masaccio e Beato Angelico, Paolo Uccello frequentò in giovane età la bottega di Lorenzo Ghiberti, la più prestigiosa della città di Firenze, insieme tra gli altri anche a Donatello.
Il nome con cui è celebre Paolo di Dono, facendo riferimento sempre al Vasari, fonte imprescindibile per ogni storico dell'arte, deriverebbe dalle molte storie di animali dipinte in gioventù a seguito di lunghi studi, tra cui quelle di gatti, cani, leoni e soprattutto uccelli, dai quali prese il soprannome.
Gli anni della formazione non dovettero essere facili se nel 1425 si traferì a Venezia, per fare ritorno in patria solamente nel 1431. Qualche anno più tardi, intorno al 1433, arrivò un'importante commissione, vale a dire la decorazione ad affresco delle Storie della Vergine e di Santo Stefano nella cappella dell'Assunta del Duomo di Prato.

Paolo dipinse sicuramente la Presentazione di Maria al Tempio, la più celebre scena del ciclo, nella quale la giovanissima Maria percorre la scala che domina la precisa prospettiva per raggiungere il sacerdote.
Nella Lapidazione di Santo Stefano si è concordi ad attribuire all'artista l'architettura che fa da sfondo alla composizione, mentre la parte inferiore del dipinto, così come molte altre opere della cappella, dovrebbero essere di Andrea di Giusto, pittore fiorentino che proseguì i lavori durati sino all'anno 1450 circa.

La lunetta con l'episodio della Disputa di Santo Stefano, interamente eseguita da Paolo, è invece ambientata dinanzi ad un edificio a pianta centrale la cui cupola, secondo alcuni studiosi, richiamerebbe il progetto originario di Filippo Brunelleschi per Santa Maria del Fiore.

Tra il 1435 e il 1440 si dedicò al suo capolavoro, la Battaglia di San Romano, di cui esistono tre versioni tutte custodite in prestigiosissimi musei, ossia gli Uffizi di Firenze, il Louvre di Parigi e la National Gallery di Londra. Le tavole prendono spunto da una battaglia combattuta nel giugno del 1432 tra Firenze e Siena, alleata dei Visconti di Milano. Lo scontro ebbe esito incerto e non rappresentò nient'altro che uno dei tanti episodi bellici della Toscana tre-quattrocentesca, tuttavia Paolo riuscì a sospendere eternamente nel tempo il ricordo di questi momenti in quelli che sono tra i lavori più significativi della pittura del XV secolo, nei quali confluiscono echi ghibertiani e riferimenti a Gentile da Fabriano, esempi perfetti delle sperimentazioni prospettiche a cui Paolo dedicò gran parte dei propri studi.
Nonostante la caoticità dello scontro faccia rovesciare cavalli e guerrieri il dramma appare silenzioso e privo di movimento, bloccato in primo piano, racchiuso in una natura immobile ed estranea che fa da sfondo all'opera.

Il ciclo pittorico del Duomo di Prato fu lasciato incompiuto probabilmente per le commissioni ricevute a Firenze, come in Santa Maria del Fiore, quando al tempo dell'inaugurazione della cupola brunelleschiana fu incaricato di dipingere il Monumento equestre a Giovanni Acuto, omaggio al condottiero inglese che aveva difeso in varie occasioni la città di Firenze. Il sarcofago dipinto costringe l'osservatore ad una visione dal basso che mette in evidenza il sapiente utilizzo della prospettiva da parte dell'artista e lo studio delle esatte proporzioni. L'opera è situata accanto ad un affresco di analoga impostazione realizzato da Andrea del Castagno e raffigurante Niccolò Tolentino, comandante dell'esercito fiorentino nella battaglia di San Romano.

Negli ultimi anni di vita, tra il 1465 e il 1468, Paolo fu chiamato presso la squisita corte di Urbino dal duca Federico da Montefeltro, capace di dar vita ad uno dei centri di maggiore prestigio del Rinascimento che qualche anno dopo avrebbe dato i natali a Raffaello Sanzio. Il padre di quest'ultimo, Giovanni Santi, ricorda Paolo nella Cronaca rimata del 1492 come abilissimo pittore prospettico. Il contesto urbinate, nel quale si potevano incontrare gli artisti e gli intellettuali più colti del tempo, doveva rappresentare il luogo ideale per la personalità di Paolo Uccello, con la perfezione architettonica del Palazzo Ducale e le armoniose geometrie del suo cortile d'onore, capolavoro di Luciano Laurana.
Quello che rimane di tale soggiorno nella produzione dell'artista è un'opera incompiuta ma di alto livello custodita presso la Galleria nazionale delle Marche, ossia la predella di una pala d'altare costituita da sei storie, di cui qui sotto ne vediamo una, che narrano del Miracolo dell'ostia profanata.
Per ragioni rimaste sconosciute la pala che avrebbe dovuto coronare la predella non fu inizialmente realizzata da Paolo e nemmeno da Piero della Francesca, a cui più avanti fu chiesto di concludere l'opera, con la commissione che venne portata a termine solo anni dopo da un autore straniero.
Questa vicenda avvolge nel mistero una composizione, già di per sé suggestiva ed enigmatica, divenuta l'atto conclusivo della lunga carriera di Paolo, mancato a Firenze l'anno 1475 quando ancora era immerso in nuovi studi sull'amatissima tecnica della prospettiva a cui dedicò l'intera esistenza, fornendo un fondamentale contributo a quegli autori che vi si dedicarono dopo di lui.