Edvard Munch
Attraverso l'arte cerco di vedere chiaro nella mia relazione con il mondo, e se possibile aiutare anche chi osserva le mie opere a capirle, a guardarsi dentro.
Edvard Munch nacque a Løten, in Norvegia, il 12 dicembre 1863 e crebbe a Oslo, che allora si chiamava Christiana.
Visse un’infanzia molto triste, segnata dai lutti della madre e della sorellina. Quest’ultima, uccisa dalla tubercolosi, è raffigurata nel primo capolavoro del pittore, La bambina malata, che egli stesso definì come la matrice di tutto quello che avrebbe disegnato in seguito.
“Nella casa della mia infanzia abitavano malattia e morte. Non ho mai superato l’infelicità di allora”.
Il quadro presenta la figura di una bambina pallidissima e dai capelli rossi, sdraiata sul letto con molti cuscini bianchi dietro la schiena. Accanto a lei una donna, la zia, è come ripiegata su sé stessa mentre le tiene la mano, quasi a volerla trattenere. La scena provoca una profonda commozione all’osservatore; Munch aveva questa immagine ben impressa nella sua memoria e colpisce l’accanimento con cui ha dipinto l’opera: l’artista voleva esprimere un senso di rabbia e di impotenza, nato dall’incapacità di trattenere chi si ama e che si perde per sempre.
“Non dipingo quello che vedo, ma quello che ho visto”.
La bambina malata porta i segni della sofferenza di Munch che affermava: “Credo che nessun pittore abbia vissuto il suo tema fino all’ultimo grido di dolore come me quando ho dipinto la bambina malata […] Non ero solo su quella sedia mentre dipingevo, erano seduti con me tutti i miei cari, che su quella sedia, a cominciare da mia madre, inverno dopo inverno, si struggevano nel desiderio del sole, finché la morte venne a prenderli”.
Munch iniziò a dedicarsi interamente alla pittura a soli diciassette anni. Nel 1885 si recò per la prima volta a Parigi, dove rimase colpito dalle opere di Édouard Manet e degli Impressionisti. Inoltre fu influenzato da pittori come Henri de Toulouse-Lautrec, Vincent Van Gogh e Paul Gauguin.
Il ritratto della sorella Inger sulla spiaggia è l'opera con cui inizia a definire la sua identità artistica.
Tra il 1889 e il 1892, soggiornò stabilmente in Francia dove fu suggestionato soprattutto dalla bellezza dell’arte di Van Gogh anche per le drammatiche esperienze personali.
“Per diversi anni fui quasi pazzo, poi trovai me stesso fissando dritto nella spaventosa faccia della follia”.
Lasciata la Francia si trasferì a Berlino, dove nel 1892 una sua mostra-scandalo fu definita “un insulto all’arte” e provocò reazioni così violente nel pubblico che le autorità ne ordinarono la chiusura. Munch incarnò da quel momento la figura dell’artista ribelle e dannato.
“L’arte si nutre del sangue dell’artista”.
Con i suoi quadri Munch esprimeva il sentimento tragico della vita, era il pittore dell’ansia e dell’angoscia, temi che lo accostarono alla filosofia di Søren Kierkegaard, il quale trema di fronte all’esistenza, e in seguito alla figura di Friedrich Nietzsche, di cui il pittore norvegese realizza un ritratto.
Le sue opere, cariche di pessimismo e di erotismo manifestavano un senso di dolore e di difficoltà di vivere, di morte e terrore attraverso colori densi e spettrali.
“Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo disegnare”.
Questo stato d’animo tormentato lo accosta appunto alla figura del danese Kierkegaard che in quegli anni aveva cambiato per sempre la storia della filosofia ponendosi come il padre dell’esistenzialismo, corrente filosofica del Novecento. Con i suoi dipinti Munch raffigura ciò che provava e viveva Kierkegaard, inoltre vi sono molto legami biografici tra i due. Scrisse il pittore nel suo diario: “La mia arte ha le sue radici nelle riflessioni sul perché non sono uguale agli altri, sul perché ci fu una maledizione sulla mia culla, sul perché sono stato gettato nel mondo senza poter scegliere”. Annotava invece Kierkegaard: “Fin dall’infanzia sono preda della forza di un’orribile malinconia, la cui profondità trova la sua vera espressione nella corrispondente capacità di nasconderla sotto apparente serenità e voglia di vivere”.
Per tutta la vita condussero un’esistenza inquieta e in bilico sull’orlo di un abisso che provocò a tutti e due il fallimento delle loro uniche storie d’amore e la conseguente amara delusione; con Tulla Larsen per Munch e con Regina Olsen per Kierkegaard.
L'amore è nella vita e nell'arte di Munch un sentimento travagliato che porta sofferenza e del quale, però, non si può fare a meno. Amare una donna significa soffrire; sono rari i momenti sereni nella sua relazione, così come pochi i dipinti in cui il suo legame con la figura femminile appare tranquillo e privo di dolore. Solo uno sguardo poco attento vede nel dipinto Il bacio un momento amoroso felice; la coppia si stringe infatti in un abbraccio fugace, quasi scappando da qualcosa di doloroso che è la realtà, rappresentata minacciosa dalla grande finestra alle spalle del pittore. I due non si scambiano vero affetto, ma ricercano un conforto che sanno di non poter mai trovare; nonostante l'unione, infatti, questi due soggetti appaiono drammaticamente soli.
È
Nel dipinto Ceneri ritorna la disperazione e l'impossibilità di un qualsiasi rapporto con il genere femminile. L'amore è un sentimento precario che si spegne subito dopo aver consumato la passione erotica.
La fine del tormentato rapporto di Munch con Tulla Larsen fu segnato da un violento litigio nel corso del quale l'artista si sparò alla mano sinistra. L'episodio viene rievocato dal quadro La morte di Marat che è ovviamente ispirato al dipinto di Jacques-Louis David, molto ammirato da Munch. Separarsi da una donna equivale ad una ferita, l'uomo rimane insanguinato e privo di vita, ma lei se ne va indifferente, gelida, lasciando la sua vittima nel dolore.
Munch dipinse moltissime altre opere misogine; la più celebre è Madonna del 1895. Nel dipinto l’autore ha sostituito la dolce figura femminile della Madre di Gesù con il nudo di una donna perduta, mostrata frontalmente e dal basso, circondata nella cornice da inquietanti spermatozoi. Nell’angolo in basso a sinistra un embrione sembra essere uscito dall’utero che lo accoglieva; il suo volto scavato indica la sofferenza a cui andrà incontro. Questo quadro, considerato sacrilego, non è che un grido di dolore da parte dell’artista. Il tema femminile è dominante e ricorrente nella sua opera: una donna affascinante e demoniaca, dominatrice e incantatrice, capace di portare l’uomo alla perdizione e alla disperazione, ma della quale non si può fare a meno: per questo la si ama e allo stesso tempo la si odia.
Tornando al paragone con Kierkegaard, si nota come il filosofo, nonostante la sua malinconia e la storia sofferta con Regina Olsen, trovi costantemente degli spiragli di speranza. Egli vedeva nella fede la luce nelle tenebre; attraverso la preghiera, infatti, l’uomo si può avvicinare all’infinito, Dio, che immagina diverso dal finito, l’uomo. Mentre Kierkegaard avverte dunque la presenza di Dio e trema perché si sente piccolissimo e fragile al suo cospetto, ma può comunque avvicinarsi e salvarsi, Munch non lo trova, come sarà per Nietzsche, e urla disperato un grido di dolore. Si rinchiude in un mondo poetico autonomo al pari di Van Gogh, ma i quadri di Munch sono privi di quella energia vitale e di quell’appassionata comunione con la natura, simbolo di una presenza più grande. Il pittore norvegese non trova salvezza, si guarda dentro e vede la dannazione, afflitto da una forma di “panico esistenziale”. La felicità non gli apparteneva e l’inferno era per lui l’unica certezza, per questo incarnò la figura dell’artista dannato. Ciò è evidente nei suoi celebri autoritratti, entrambi datati 1895. In Autoritratto con sigaretta la sua immagine appare d’improvviso come abbagliata da un lampo; lui sembra smarrito, avvolto dal fumo della sigaretta che la mano tremante quasi non riesce a trattenere. Munch era un uomo molto elegante in pubblico, ma percorso da una sensibilità straziante e nevrotica che cercava di controllare con l’alcol. Si dipinge spaventato come se vedesse davanti a lui le tenebre dell’inferno che lo stanno per venire a prendere.
Ed è proprio nel regno infernale che Munch si raffigura in Autoritratto all’inferno dove, completamente nudo, è circondato dalle fiamme e minacciato da ombre lunghe e inquietanti.
La sintesi di tutta la pittura e la personalità di Munch è data dal suo capolavoro, L’urlo, realizzato nel 1893. Il dipinto non è altro che un autoritratto di una scena realmente accaduta che esprime tutta la sua disperazione e quel vuoto che in una sola immagine, diventata la più celebre della storia dell’arte, racchiude la sua angoscia più nera, la mancanza di speranza e la sofferenza di un’intera umanità insicura che non riesce più a sentire la presenza di Dio.
“Camminavo lungo la strada con due amici quando il sole tramontò, il cielo si tinse all’improvviso di rosso sangue. Mi fermai, mi appoggiai stanco morto ad una palizzata. Sul fiordo nero – azzurro e sulla città c’erano sangue e lingue di fuoco. I miei amici continuavano a camminare e io tremavo ancora di paura… E sentivo che un grande urlo infinito pervadeva la natura”.
Altro tema fondamentale è quello della misantropia che si nota con evidenza in Sera sulla via Karl Johan. Nel dipinto, datato 1892, l’autore attacca in modo spietato la società del suo tempo, la quale gli faceva orrore per l’ipocrisia e la vana gioia di vivere. Egli si sentiva emarginato, incompreso, l’unico che viveva davvero nel suo dolore circondato da morti viventi, che sono morti dentro ma non sanno di esserlo. Questi camminano eleganti nei loro cappotti, con dei cilindri in testa, ma sono ridotti a spettri incapaci di comunicare tra loro. Lontano dalla folla, in direzione contraria, vi è un uomo solo, l’artista stesso.
Nel 1908 le condizioni di salute di Munch si aggravarono e fu costretto ad essere ricoverato, anche a causa della sua dipendenza dall'alcol. Dal 1916 fino alla morte, avvenuta nel 1944, scelse di ritirarsi progressivamente dalla vita sociale, solo dal 1926 ebbe vicino a sé la sorella Inger. L'artista stesso affermava: "ero al margine della follia, sul punto di precipitare".
In questi autoritratti vediamo il pittore raffigurato solo e malinconico seduto ad un tavolo, davanti a una bottiglia di vino, invecchiato e sull'orlo della pazzia all'interno di una camera, e ormai vecchio e trascurato mentre si aggiusta la giacca in un movimento che sembra quasi guardarsi dentro, così come dice il titolo Agitazione interna. Munch, grazie alla sua arte, osserva ogni sentimento e ricorda tutti i momenti della sua vita ormai giunta al termine. Sembra triste, ma allo stesso tempo consapevole di ciò che lo aspetta perché in fondo quest'esistenza non è nient'altro che una lenta danza che dalla felicità iniziale conduce alla morte.
''Danzavo con il mio primo amore,
il dipinto è basato su questi ricordi.
Entra la donna bionda sorridente,
vuole cogliere il fiore dell'amore,
ma questo sfugge al suo gesto.
Sull'altro lato del dipinto compare vestita a lutto,
lo sguardo rivolto alla coppia che danza,
è un'emarginata... proprio come me.
Respinta dalla danza''
Munch si spense il 23 gennaio 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.
Ebbe grande fortuna solo dopo la morte, ammirato dai grandi pittori del Novecento, in particolare dagli Espressionisti, di cui fu il precursore. La sua pittura è un’analisi dei propri moti interiori che si accosta alla drammaturgia del connazionale Henrik Ibsen e alla filosofia di Sigmund Freud; con i suoi quadri si possono osservare gli abissi dell’animo umano, i sentimenti nascosti e più spaventosi che segnano la vita di un uomo e della società intera. Ciò che ha dipinto sembra vivo nella sua drammaticità e, grazie al suo essere universale, vivrà per sempre.
“… si dipingeranno esseri viventi che respirano e sentono, soffrono e amano. Sento che lo farò, che sarà facile. Bisogna che la carne prenda forma e che i colori vivano”.
Leggi anche: