Caspar van Wittel

Pittore olandese naturalizzato italiano, padre del celebre architetto Luigi Vanvitelli - autore della Reggia di Caserta - Caspar van Wittel divenne noto per i suoi paesaggi romani, imponendosi nel genere del Vedutismo, che troverà notevole fortuna nella Roma settecentesca, basti pensare alle incisioni di Giovanni Battista Piranesi.
Nato nell'anno 1653, van Wittel si inserisce in una tradizione artistica che troverà in Giovanni Paolo Pannini un altro autorevole esponente, senza dimenticare il francese Hubert Robert, anch'egli straniero e recatosi a Roma per rapirne l'immortale bellezza ed infine il Canaletto nell'ambito veneziano. Il Vedutismo deve infatti la principale fortuna alla capacità dei suoi esponenti di ritrarre con precisione quasi fotografica edifici o scorci cittadini, divenendo particolarmente richiesta nel corso del XVIII dai committenti e dai viaggiatori che giungevano in Italia per il cosiddetto "Grand Tour", viaggio di formazione artistica e culturale per i giovani dell'aristocrazia europea.
Attraverso i bellissimi dipinti di van Wittel e le parole di illustri viaggiatori e poeti, si può compiere un vero e proprio viaggio nella Roma tra Settecento e Ottocento, che ci porta sino ad oggi, a testimonianza di un fascino che rende veramente eterna questa città. Le opere del pittore riportate qui sotto sono così intervallate dai racconti di viaggio di due scrittori come Goethe e Stendhal, ma anche dalle suggestioni poetiche di Gabriele d'Annunzio, una personalità di spicco nel clima decadente ed estetizzante della Roma di fine Ottocento.

Gabriele d'Annunzio, da "Elegie romane".
La sera mistica

ANIMA, non è questa la pia solitudine amica,
l'alta che noi cercammo riva letèa d'oblìo?

Regna il Silenzio i luoghi. Nel vespro il Tevere splende:
l'onda perenne ei reca della sua pace al mare.

Guardano il padre fiume le querci immote, ch'ei nutre,
spiriti nella dura còrtice meditanti;

esseri paghi: bevono l'acqua con l'ime radici,
godon raccorre i soffi tiepidi nelle chiome.

Dicono a me le querci: - Noi molti vedemmo dolori,
truci dolori umani, piangere lungo il fiume.

Sorgere udimmo al cielo gridi ultimi di morituri.
Ebri di morte, quelli chiesero ai gorghi oblìo.

- Anima stanca, vieni. Benefica è l'ombra. Nell'ombra
è la saggezza. Vieni. Solo nell'ombra è pace.

Vieni. A noi caro è l'uomo pensoso. Qui Claudio
si piacque
mescere ai grandi nostri pensieri i suoi. -

Dicono le querci. A specchio dl fiume rosseggia,
tra 'l bosco
memore, la deserta casa del Lorenese.

Claudio, pittor sereno, voi forse udite? Anche forse
abita il vostro dolce spirto la dolce casa?

Forse lo sguardo esplora nell'umido ciel le fuggenti
nubi che in su le tele nobilitò la mano?

O, testimone eterno, contempla il fiume che passa?
Tacito passa il fiume, tacito come il Lete.

Regna il silenzio. È questa la pia solitudine amica,
l'alta che noi cercammo riva letèa d'oblìo?

Suon di campane i vènti le racano, unica voce.
Questa da te le giunge unica voce, o Roma.

- Ave. La pace è in alto. Nel cuore dell'umile scende.
Anima triste, prega. Dà la preghiera oblìo. -

Alzan di lungi fiamma, come ardui cèrei, le torri.
- Ave - risponde il vinto umiliato cuore.

Stendhal, da "Passeggiate romane".

«La piazza racchiusa tra le due ali semicircolari del colonnato del Bernini è, a mio parere, la più bella che esista. Al centro, un grande obelisco egizio; a destra e a sinistra, due fontane che zampillano incessantemente e i cui getti, dopo essere schizzati in alto, ricadono in vasti bacini. Il loro gorgoglìo tranquillo e costante riecheggia tra i due colonnati, conciliando le fantasticherie. Questa atmosfera predispone mirabilmente a rimanere impressionati da San Pietro. [...] Le due fontane ornano quel luogo affascinante senza sminuirne la maestosità. È semplicemente la perfezione dell'arte. Immaginate un po' più di ornamenti e la maestosità risulterebbe sminuita; un po' meno e sarebbe la nudità. Questa deliziosa impressione è merito del cavalier Bernini, il colonnato è il suo capolavoro. Papa Alessandro VII ebbe l'onore di farlo erigere. Il volgo diceva che avrebbe rovinato San Pietro».

Goethe, da "Viaggio in Italia".

«Sulla piazza di S. Pietro in Montorio salutammo la cascata dell'Acqua Paola, che, scrosciando in cinque getti dalle arcate e dalle porte d'un arco di trionfo, riempie fino all'orlo una vasca di grandezza piuttosto notevole. Incanalata in un acquedotto fatto restaurare da Paolo V, la massa d'acqua, zigzagando bizzarramente secondo il tracciato imposto da un alternarsi di colline, compie un percorso di venticinque miglia dal lago di Bracciano fin qui e provvede ai bisogni di parecchi molini e opifici, per poi espandersi nel quartiere di Trastevere.
I cultori d'architettura presenti lodarono l'idea d'aver costruito per quelle acque un'entrata trionfale, visibile a tutti: quelle colonne e archi, cornicioni e attici ricordano gl'ingressi sfarzosi da cui entravano un tempo i vincitori di guerre; con altrettanta forza e potenza entra qui il più pacifico dei nutritori, e per la fatica della lunga corsa riceve espressioni di gratitudine e d'ammirazione; e, come ci dice la scritta, la preveggenza benefica d'un papa della dinastia Borghese può vantarsi d'avere in questo luogo la sua eterna, ininterrotta e imponente apoteosi».

Gabriele d'Annunzio, da "Elegie romane".
Villa Medici

TU non mi dài la pace, o Sole sereno, e l'oblìo
se i cari luoghi io cerchi vago de' raggi tuoi!

Troppo soavi, ahi troppo soavi anche giungonmi al core
questi che tu diffondi spiriti, o Primavera,

questi onde tutta vive la dura pietra e si scalda
umanamente e gode nelle profonde vene,

onde gioiscon gli orti chiomati di verde novello,
tremano le raccolte acque nell'urne loro.

Tremano con sommesse parole, nell'ombra, e fan cupo
specchio a tal ombra l'acque dentro il marmoreo vaso.

Stanvi le querci sopra, che l'aura de' secoli avvolge;
odono il suon, guardando placide a' cieli e a Roma.

Chiusa ne' suoi recinti la villa medìcea dorme:
alzansi lenti i sogni dalla sua gran verdura,

come allor che su 'l primo tremar delle vergini stelle
per i quieti rami cantano i rosignuoli.

Oh pura in me, su 'l vespro, piovente dolcezza de' sogni!
Muta, la lunga scala ella saliva meco.

Tutta nel cor segreto io sentiami languire e tremare
l'anima, al premer lieve della diletta mano.

Ma, come fummo al sommo, la bocca ansante m'offerse
ella: feriva il sole quel pallor suo di neve.

Alto d'amor susurro correa lungo i bòssoli foschi;
dardi rompean la cava tènebra tutti d'oro,

quasi che d'odorato peplo e di veli ondeggianti
bella ivi errasse Cintia dietro vestigia note.

Bibliografia

  • Arte in primo piano. Manierismo, Barocco, Rococò - Giuseppe Nifosì - Editori Laterza
  • Disegno e analisi grafica - Mario Docci - Editori Laterza
  • Elegie romane - Gabriele d'Annunzio - Mondadori
  • Viaggio in Italia - Goethe - Mondadori
  • Passeggiate romane - Stendhal - Feltrinelli