Pio XI

Si chiamava Achille Ratti il pontefice lombardo salito al soglio petrino con il nome di Pio XI in uno dei momenti più drammatici della storia del nostro paese, nel febbraio 1922, all'inizio di un anno che avrebbe visto, a seguito della marcia su Roma, la presa del potere da parte di Benito Mussolini, che in un ventennio trasformò il fascismo in un regime dittatoriale destinato a concludersi nel peggiore nei modi con l'alleanza tedesca e l'ingresso nella Seconda guerra mondiale.
La figura di papa Pio XI permette di analizzare gli anni che vanno dalla fine del pontificato di Benedetto XV e della Grande Guerra sino allo scoppio di un'altra folle guerra, quella del nazismo e del genocidio ebraico, quando a Pio XI successe, in segno di continuità di messaggio, papa Pio XII Pacelli.
Di fatto Pio XI, nato a Desio, nei pressi di Milano, l'anno 1857, fu il primo sovrano pontefice del Vaticano, la nuova città-stato che fu creata nel 1929 segnando la tregua definitiva nella cosiddetta "questione romana", vale a dire la contrapposizione tra il Regno d'Italia e la Chiesa cattolica, legata al problema risorgimentale di rendere Roma la capitale del nuovo regno unificato sotto la monarchia sabauda nel 1861. La capitale era infatti inizialmente Torino, poi per cinque anni era divenuta Firenze, in un tentativo di avvicinarsi all'Urbe, tuttavia fu solamente nel 1870, con la breccia di Porta Pia, che la città eterna divenne la capitale del regno, un episodio noto anche come "Presa di Roma" in quanto l'allora pontefice Pio IX visse come una vera e propria invasione l'ingresso delle truppe piemontesi di re Vittorio Emanuele II.
Pio IX, che perdeva i secolari poteri temporali, si dichiarava prigioniero tra le mura dello Stato Pontificio e arrivò a proclamare il "Non éxpedit", con il quale vietava a tutti i cristiani di partecipare alla vita politica italiana. I rapporti tra Stato e Chiesa non migliorarono nemmeno sotto il regno di Umberto I di Savoia ed il pontificato di Leone XIII, il quale continuava a non riconoscere il Regno d'Italia. Una prima distensione avvenne grazie a papa Pio X, che allentò le restrizioni del Non éxpedit, sino ad arrivare al predecessore di Pio XI, Benedetto XV, il quale lo revocò definitivamente.
Fu però nel febbraio 1929 che si pose definitivamente fine alla "questione romana", quando Mussolini lavorò per trovare un accordo con la Santa Sede, in una trattativa celebrata come uno dei suoi più importanti traguardi politici - in grado di portare a compimento l'obiettivo di Cavour e di ottenere un successo proprio lì dove i governi liberali avevano fallito - ma che celava in realtà un desiderio di accentramento del proprio potere, avvicinando milioni di fedeli al partito fascista, per espanderlo ulteriormente e trasformarlo in regime.
Si tratta dei celebri Patti lateranensi, che regolano ancora oggi i rapporti fra la Repubblica italiana e la Santa Sede e che riconobbero il cattolicesimo quale religione di Stato ufficiale. Il papa tornava ad avere il potere temporale che aveva perduto a seguito della breccia di Porta Pia - sebbene in una misura notevolmente limitata alla sola Città del Vaticano, nata proprio a seguito a tale accordo. La firma segnò anche il disgelo nei rapporti tra il papato e la corona sabauda, come sottolineò la visita di Vittorio Emanuele III e della regina Elena del Montenegro in Vaticano a seguito dell'intesa, la prima dei sovrani italiani a seguito dell'unificazione nazionale. Ulteriore testimonianza della progressiva riconciliazione fu la visita dei principi di Piemonte, eredi al trono, in Vaticano, per l'entusiasmo di Umberto II, molto devoto a differenza del re suo padre.
La volontà di porre fine ai complicati rapporti tra Stato e Chiesa ed un segnale decisivo in tal senso fu rappresentato sin dall'elezione di Pio XI, il quale decise di affacciarsi alla loggia delle benedizioni della basilica di San Pietro verso la città di Roma, in un gesto che non accadeva più dai tempi della breccia di Porta Pia. Tuttavia il successo politico fu riconosciuto prettamente a Mussolini, celebrato anche oltre i confini nazionali, manifestandosi concretamente nelle elezioni che si svolsero ad un mese dal concordato e che sancirono il successo definitivo del regime; lo stesso pontefice spese inizialmente parole entusiaste nei riguardi della politica del duce, soprattutto perché la Chiesa, con i Patti lateranensi, aveva ottenuto traguardi non indifferenti, come, oltre al riconoscimento ufficiale della religione cattolica quale religione di Stato, l'insegnamento della dottrina cattolica nelle scuole del Regno ed il valore civile del matrimonio religioso. I rapporti tra il papa e il capo del governo presero però strade del tutto opposte, con un primo scontro che avvenne quando nel 1931 Mussolini ordinò la chiusura di tutti i circoli e delle sedi dell'Azione cattolica, alla cui decisione l'ex Arcivescovo di Milano salito al soglio di Pietro - dal carattere autoritario e orgoglioso - reagì con l'enciclica "Non Abbiamo Bisogno", in cui mise in evidenza l'incolmabile distanza fra fedeltà al Vangelo e l'ideologia fascista, accusando le pretese del regime di egemonizzare l'educazione dei giovani.

Nel corso degli anni Trenta del Novecento, il regime mussoliniano ed il pontificato di papa Ratti entrarono nelle loro seconde, rispettive, fasi, in concomitanza con una situazione sempre più cupa in Europa, che vide il consolidarsi di quelle ideologie nazionaliste e totalitarie che non potevano lasciare indifferenti e preoccupare la Chiesa cattolica. L'accostarsi sempre più del nostro paese alla Germania nazista era motivo di sgomento per il pontefice, che non si capacitava di quella alleanza, arrivando ad affermare: «Ci si può chiedere come mai, disgraziatamente, l'Italia abbia avuto bisogno di andare a imitare la Germania!».
La ferma condanna ad Hitler e al regime nazista arrivò nel marzo del 1937 con l'enciclica papale Mit brennender Sorge, "Con viva preoccupazione" - alla quale lavorò anche il segretario di Stato Pacelli, futuro Pio XII - che fu scritta appositamente in tedesco come dura critica al neopaganesimo che divampava in Germania e al falso mito della razza.
In occasione della visita del Fuhrer in Italia nel maggio 1938, il pontefice lasciò il Vaticano per recarsi a Castel Gandolfo, decidendo di chiudere i Musei Vaticani e l'ingresso della basilica di San Pietro, le cui luci esterne furono spente in segno di disapprovazione per quella fatale alleanza tra il nostro paese e la Germania.
Furono però le leggi razziali - introdotte dal regime ad imitazione del modello tedesco e che segnarono una delle pagine più buie della storia del nostro paese - a lasciare senza più parole papa Ratti, che in un'udienza privata avrebbe sentenziato: «Ma io mi vergogno... Mi vergogno di essere italiano. [...] Io non come papa ma come italiano mi vergogno! Il popolo italiano è diventato un branco di pecore stupide. Io parlerò, non avrò paura. Mi preme il Concordato, ma più mi preme la coscienza».
Quelle parole in realtà non arrivarono mai, ed è questo uno dei misteri che ancora oggi aleggia sulla figura di papa Pio XI, venuto a mancare improvvisamente prima di riuscire a pubblicare un'enciclica ancor più dura che stava terminando contro il fascismo, il nazismo e ogni forma di antisemitismo.
La rottura definitiva che avrebbe sancito l'enciclica con il regime e la Germania - così come le conseguenze politiche e spirituali delle parole del papa, cui si aggiungeva il serio rischio per Mussolini di essere scomunicato - sono fatti oggi chiaramente noti, ma al tempo, con la dipartita del pontefice, tutto venne archiviato. Si mormorò così che ad uccidere il papa, proprio il giorno prima di tenere un discorso di condanna a Hitler e Mussolini, non fosse stato un attacco cardiaco. Le ipotesi derivavano dal fatto che uno dei medici di Pio XI era il professor Francesco Petacci, il padre di Claretta - amante del duce - a cui il Presidente del consiglio si sarebbe rivolto per avvelenare il papa. In molti cominciarono a credere, così, che Petacci potesse aver agito su commissione dell'uomo che aveva fatto la fortuna della sua famiglia.
Si tratta di uno dei tanti misteri irrisolti che ancora aleggiano sugli anni cupi del fascismo, in un destino che lega la figura del pontefice a quella del poeta Gabriele d'Annunzio, venuto a mancare l'anno precedente, nel 1938, anch'egli non senza sospetti, in quanto da sempre inviso al regime e perché poco più tardi avrebbe dovuto tenere un solenne discorso all'Accademia d'Italia al cospetto di Mussolini, del re e di tutta la classe politica.

Bibliografia

  • Pio XI, Hitler e Mussolini. La solitudine di un papa - Emma Fattorini - Einaudi
  • I papi. Storia e segreti - Claudio Rendina - Newton Compton Editori
  • Il senso del tempo. Volume 3 - Alberto Mario Banti - Editori Laterza

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