Parmigianino

Non si può comprendere la pittura di Francesco Mazzola, detto il Parmigianino dalla città di nascita, senza tenere presente l'influenza del modello di Raffaello Sanzio e del concittadino Antonio Allegri, noto come il Correggio, la cui genialità era vivissima nelle recenti decorazioni parmensi durante la prima formazione del Parmigianino.
Esponente della corrente del Manierismo - che consisteva nella ripresa e nell'imitazione dei due grandi geni del Rinascimento, vale a dire Raffaello, appunto, e Michelangelo Buonarroti - Parmigianino si distinse subito per un'originalità stilistica ed un virtuosismo che ne denota la volontà di aprire il proprio pensiero verso orizzonti nuovi, basti osservare il celebre e originalissimo Autoritratto allo specchio convesso del 1524. Un'opera come questa si pone paradossalmente in contrasto e prende le distanze con la linea guida del Manierismo, che consisteva nel rifarsi fedelmente agli ineguagliabili maestri precedenti, dimostrando di conoscere la "bella maniera", ossia il bello stile, ma senza apportarvi sostanziali novità.
Allievo del Correggio a Parma e proveniente da una famiglia di pittori, Parmigianino ebbe modo di lavorare nella sua città all'interno della chiesa di San Giovanni Evangelista, ma si distinse principalmente per una committenza più piccola e privata, decidendo poi di trasferirsi a Roma, chiamato da papa Clemente VII Medici, con l'ambizione di prendere il posto di Raffaello in Vaticano, data la precoce morte dell'Urbinate.
Lo stile raffaellesco lo aveva potuto apprendere da vicino grazie a due tele commissionate al Sanzio rispettivamente per Piacenza e Bologna, la Madonna Sistina, con i celebri putti posti in primo piano ad assistere, quasi stanchi, all'apparizione della Vergine, e l'Estasi di Santa Cecilia, in cui la santa ha lo sguardo rapito verso il cielo in un'estasi mistica e sonora alla quale solo lei, in modo sublime, riesce a partecipare grazie alla totale comunione con Dio. Ancor di più, è la dolcissima Madonna della rosa raffaellesca, databile al 1518 ed oggi al Museo del Prado di Madrid, ad ispirare il capolavoro più noto del Parmigianino.

Si tratta della cosiddetta Madonna dal collo lungo - dipinta intorno al 1535 e visibile alla Galleria degli Uffizi, la cui tenerezza dello sguardo, la dolcezza della posa, così come la morbidezza dei panneggi, sono chiaramente ripresi dall'opera del Sanzio, senza la quale non potrebbe esistere per perfezione ed eleganza.
Alla più tradizionale scelta iconografica del San Giuseppe pensieroso posto in disparte, Parmigianino affolla la parte sinistra della tavola di un corteo di bellissimi putti, alcuni dei quali sono incuriositi dal Bambino dormiente, in un'allusione al Cristo morto, mentre altri sembrano farsi largo, orgogliosi, per porsi in primo piano, cercando lo sguardo dell'osservatore. A destra compare invece la colonna, simbolo dell'integrità e della purezza della Vergine, accanto alla quale un piccolissimo San Gerolamo, come a rappresentare l'umano al cospetto della maestà divina, srotola tra le mani il consueto cartiglio in quanto traduttore della Bibbia dall'ebraico al latino.
La posa scultorea della Madonna rievoca, per solennità, la Madonna delle Arpie di Andrea del Sarto del 1517, ma evidenti sono anche i rimandi alla Pietà Vaticana del Buonarroti nella citazione del braccio del Gesù Bambino. Poetico è infine l'accostamento del collo della Vergine con la colonna, in una ripresa del Cantico dei cantici che in un inno mariano paragona il collo della sposa ad una colonna.

Novello Raffaello, il cui stile raffinato e aristocratico si univa alla ricerca del bello e al suo essere un moderno dandy, come si può capire dall'autoritratto, Parmigianino giunse a Roma nei primi anni Venti del Cinquecento: «e si diceva publicamente in Roma per infinite persone lo spirito di Raffaello esser passato nel corpo di Francesco, nel vederlo nell'arte raro e ne i costumi sì grato. Perché fu tanto lo amore che Francesco portò alle cose di Raffaello, et il bene ch'egli diceva di lui, che mai non finiva ragionare delle lodi di quello», scrive Giorgio Vasari nelle pagine delle Vite.
Il critico aretino, primo biografo del Parmigianino, non risparmia tuttavia delle critiche al giovane artista, il quale sviluppò un rapporto solitario ed individualistico con il proprio stile tanto ricercato e innovativo, elemento, anche caratteriale, che non ne favorì certamente le imprese più grandi: «Fu costui dotato dalla natura di sì graziato e leggiadro spirito, che s'egli di continuo non avesse voluto operare più di quello ch'e' sapeva, averebbe nel continuo far suo tanto avanzato se stesso, che sì come di bella maniera, d'arie, di leggiadria e di grazia passò ognuno, così averebbe ancora di perfezzione, di fondamento e di bontà superato ciascuno».
Nell'estate del 1524, poco più che ventenne, si trasferì a Roma presso la corte del nuovo pontefice Clemente VII, raffinato mecenate, un'esperienza destinata a concludersi in poco tempo a causa del Sacco di Roma del 1527 ad opera delle truppe dei lanzichenecchi di Carlo V.
In Vaticano ebbe modo tuttavia di studiare attentamente l'arte dell'amato Raffaello, nonché il Michelangelo della volta della Cappella Sistina, esercitandosi in vari disegni che denotano la volontà di cimentarsi in composizioni di vasta dimensione e dallo sviluppo orizzontale, soffermandosi in tal senso sui capolavori delle Stanze del Sanzio. L'esercizio è probabilmente da porre in relazione con il possibile incarico di decorare la Sala dei Pontefici, una commissione tra i desideri di papa Clemente, ma che, purtroppo, non fu mai realizzata.
Il punto di arrivo del breve soggiorno romano, a livello stilistico, è rappresentato dalla pala con la Visione di San Girolamo, che testimonia l'incontro con la maniera pittorica e scultorea michelangiolesca, in cui si vede la Vergine in trionfo con il suo dolcissimo e atletico Bambino; in primo piano San Giovanni Battista si rivolge allo spettatore indicando Maria, mentre San Girolamo è colto nel sonno dalla salvifica visione. Dipinta proprio quando le truppe imperiali dei lanzichenecchi stavano prendendo d'assalto la città eterna, l'opera è protagonista di un curioso aneddoto narrato dal Vasari, secondo il quale gli invasori, vedendo l'artista all'opera, rimasero a tal punto rapiti dalla sua bravura da non infastidirlo e lasciarlo continuare a lavorare in pace, chiedendogli solamente l'omaggio di qualche suo prezioso disegno. Il Parmigianino, pittore che aveva fatto della bellezza il suo valore assoluto, era riuscito ad ingentilire l'animo dei barbari:
«Su 'l principio del sacco era egli sì intento alla frenesia del lavorare, che quando i soldati entravano per le case e già nella sua erano alcuni tedeschi entrati, egli per romore che facessero non si mosse mai dal lavoro. Per il che giunti sopra e vedutolo lavorare, stupiti, di quella opera che faceva, lo lasciarono seguitare e, mentre che le crudeltà mettevano quella povera città in perdizione, egli fu da quei tedeschi proveduto e grandemente stimato, senza che gli fosse fatta offesa alcuna».

Nei tre anni successivi al Sacco di Roma, Parmigianino fu a Bologna, dove rimase sino al 1530 trovando un contesto relativamente favorevole per alcune elegantissime pale d'altare, nonostante l'insanabile amarezza per non essersi potuto affermare pienamente in Vaticano.
«Fece alle monache di Santa Margherita in Bologna una tavola di Nostra Donna con Santa Margherita, San Petronio, San Girolamo e San Michele, che molto in prezzo è tenuta in Bologna, la quale con gran pratica e bella destrezza è lavorata. E le arie delle sue teste son tante belle, di dolcezza e di lineamenti, che fa stupire ogni persona dell'arte». Vasari si riferisce alla Madonna con Santa Margherita oggi alla Pinacoteca nazionale di Bologna, databile al momento conclusivo della fase bolognese del Parmigianino, che qui elabora una soluzione intellettuale di quanto aveva appreso nell'Urbe, dando vita ad uno dei capolavori del manierismo, tanto emozionante e delicato nella tenerezza di sguardi tra il piccolo Gesù e Margherita, che, inginocchiata, solletica con la mano il mento del neonato in un gesto poeticamente materno.

Gli ultimi dieci anni della sua vita, Parmigianino li trascorse nella sua città natale, ma in uno stato d'animo inquieto e infelice, arrestato per non aver rispettato i termini di un contratto che lo legava alla committenza per gli affreschi nell'abside della basilica di Santa Maria della Steccata, rifugiandosi poi a Casalmaggiore.
Del periodo parmense è Amore che fabbrica l'arco, custodito a Vienna, in cui l'alata divinità, perfetta nelle sue forme classiche e dai capelli di un biondo dorato, occupa per intero la diagonale del dipinto, osservando quasi con malizia l'osservatore. In basso due putti dispettosi giocano e bisticciano tra loro, proponendosi come l'evoluzione dei più celebri putti raffaelleschi della Madonna Sistina: «egli sempre ne gli occhi de' putti e nelle arie loro accordava una certa capresteria [moto capriccioso] di vivacità, che fa conoscere gli spiriti acuti e maliziosi, che bene spesso sogliono vedersi nella vivezza de' putti». Intento nel costruire il suo arco col quale scoccherà le frecce, Eros non si cura di calpestare due libri, allusione alla supremazia dell'amore sull'ingegno e la conoscenza, anticipando il meraviglioso Amor Vincit Omnia di Caravaggio.
Deluso dagli eventi storici che non gli consentirono di esprimere pienamente il suo genio, incompreso da alcuni suoi committenti, Parmigianino, probabilmente anche perseguitato dall'ombra della pazzia, finì per ammalarsi, forse di malaria, e morì in solitudine a soli trentasette anni, proprio come l'amato Raffaello: «La quale perdita fu di gran danno all'arte, pe la grazia che le sue mani diedero sempre alle pitture che fece», conclude Vasari.

Bibliografia

  • Parmigianino - Anna Coliva - Giunti
  • Arte in primo piano. Manierismo, Barocco, Rococò - Giuseppe Nifosì - Editori Laterza
  • Raffaello. Un Dio mortale - Vittorio Sgarbi - La nave di Teseo
  • Manierismo - Andrea Baldinotti - Giunti
  • Le Vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri - Giorgio Vasari - Einaudi