Canto I

Catone

Per correr miglior acque alza le vele
omai la navicella del mio ingegno,
che lascia dietro sé mar sì crudele;
e canterò di quel secondo regno
dove l'umano spirito si purga
e di salire al ciel diventa degno.

Lasciatosi alle spalle l'Inferno, regno dell'eterna sofferenza, Dante, accompagnato dal suo maestro Virgilio, riprende il cammino nel contesto più sereno del Purgatorio, luogo di passaggio dove le anime compiono un percorso di purificazione per giungere sino all'Eden e quindi ascendere al Paradiso.
L'autore invoca l'aiuto delle Muse perché il suo poetare, prima connotato da uno tono basso ma adeguato al regno degli inferi, dovrà elevarsi ed essere degno di riportare quanto vedrà, preparandosi allo stile sublime della terza ed ultima cantica. Chiede così aiuto a Calliope, Musa della poesia epica, ricordando la sua vittoria contro le figlie di Pierio, re di Macedonia, le quali avevano osata sfidarla in una gara di canto, finendo per essere trasformate in piche, ossia gazze dal verso stridulo e sgraziato a cui si contrappone la stessa Calliope, il cui nome significa "dalla bella voce". Pur non essendo la Divina Commedia un poema epico, il Poeta si rivolge dunque a colei che già Esiodo riteneva la più nobile fra le Muse, in quanto per il Paradiso la preghiera sarà rivolta ad Apollo.

Parnaso (dettaglio con in basso Calliope) - Raffaello Sanzio - 1510 circa - Città del Vaticano, Musei Vaticani

Dante alza lo sguardo verso il cielo e rivede finalmente la luce, che sarà elemento centrale nell'ultima cantica, contemplando in particolare Venere, il pianeta che invita ad amare, ma anche quattro stelle, emblema delle quattro virtù cardinali, che videro solamente gli uomini nel Paradiso terrestre e della cui visione adesso sono stati privati.
Il Poeta si accorge poi della presenza di un venerabile anziano dalla lunga barba bianca, custode del regno del Purgatorio, vale a dire Catone Uticense, il quale, credendo che Dante e Virgilio siano giunti dall'Inferno infrangendo le leggi divine, insorge in un'apostrofe. Virgilio, sino ad ora in silenzio, prende allora la parola facendosi intermediario fra Dante e le anime incontrate, come già fatto durante il viaggio negli abissi infernali. Chiedendo al compagno di inginocchiarsi, Virgilio spiega che il pellegrinaggio nei tre regni ultraterreni da parte di un mortale è stato voluto dall'alto e da una donna discesa dal cielo, Beatrice, pregandolo di accompagnare Dante per condurre la sua anima alla salvezza.
Virgilio prega infine Catone di non impedire il proseguimento del cammino del Poeta, il quale: "libertà va cercando, ch'è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta". In nome dell'ideale della libertà, fra i più nobili per l'umano, ma anche per l'amore provato per sua moglie Marzia, a cui accenna Virgilio essendo anch'ella nel Limbo, Catone acconsente al passaggio dei due pellegrini.
Il romano Marco Porcio Catone, vissuto sotto Giulio Cesare, aveva combattuto in difesa delle libertà repubblicane violate dal rivale Cesare. Piuttosto che finire prigioniero del dittatore, Catone preferì togliersi la vita ad Utica nel 46 a.C. dopo aver letto per un'intera notte il Fedone di Platone.
A lungo gli studiosi hanno discusso sulla presenza di Catone, un suicida, nel Purgatorio, di cui è anche guardiano, spiegando che Dante ha voluto premiare la sua costanza nel seguire un ideale, quello della libertà, che è espressione stessa di Dio, che ha creato i suoi figli liberi, chiamati a disprezzare ogni forma di potere o ricchezza terrena.
Catone chiede a Virgilio di lavare il viso di Dante con la rugiada e di cingere il suo fianco con un giunco. Concluso il rito purificatore e rinato miracolosamente il giunco dove era stato strappato, il Poeta si accinge, nel Canto II, ad intraprendere l'ascesa alla montagna del Purgatorio.

Ritratto di Dante Alighieri (dettaglio) - Bronzino - 1530 circa