Paul Valéry

Poeta, scrittore, filosofo, critico letterario e artistico, Paul Valéry fu una figura complessa nel vivace contesto tra la fine dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, che svolse un ruolo di primaria importanza nell'estetica francese ed europea, ergendosi a successore della grande tradizione letteraria ottocentesca ed in particolare di Stéphane Mallarmé, considerato il suo maestro, ma anche come poeta capace di unire due secoli, sino a divenire, secondo Giuseppe Ungaretti, il più rappresentativo della propria epoca.
Mallarmé, così come l'amico Paul Verlaine e il giovanissimo Arthur Rimbaud, nonché Charles Baudelaire in qualità di precursore, furono esponenti della corrente letteraria del Simbolismo, diffusasi nel corso della seconda metà del XIX secolo. Il Simbolismo, che si manifestò in molteplici forme artistiche, è caratterizzato da una poetica antirealistica e incontaminata dalle problematiche sociali, finalizzata ad indagare l'ignoto e la vera essenza delle cose, riuscendo a scoprire grazie alla sensibilità dei poeti delle realtà segrete e più alte, nascoste agli uomini comuni. Pur essendo dei rappresentanti privilegiati dell'umanità, il loro condurre vite sregolate, fatta eccezione per Mallarmé, li portò ad essere incompresi, sino ad assumere la figura di poeti maledetti. Valery fu sicuramente uno dei massimi rappresentanti di questa visione della poesia con il poema La giovane Parca del 1917, capolavoro introspettivo e di autoanalisi, testo che cerca la purezza di parola e di immagine a testimonianza della concezione simbolista del suo autore.
Tra l'inizio del Novecento sino alla Prima guerra mondiale, dunque nella fase culminante della Belle Époque, periodo storico che Valéry visse in tutta la sua durata, si era assistito alla nascita di varie tendenze nella letteratura come nelle arti, conseguenza dei cambiamenti della vita quotidiana grazie al progresso scientifico e alla cultura emergente, con gli artisti che avvertirono la necessità di ridefinire il loro ruolo nella società a seguito di un periodo di decadenza, dando vita, attraverso le sperimentazioni d'avanguardia, ad una sensibilità maggiormente vicina alla nuova realtà. In un contesto come questo lo spirito del Simbolismo era percepito ormai come lontano e inadeguato perché promotore di un'idea elitaria della poesia, finalizzata alla ricerca esasperata di una perfezione che era vista ormai come sterile autoriflessione ben testimoniata dalla frequente riproposizione del mito di Narciso, che tanto affascinò anche Valéry.
Proprio lo scrittore, erede del Simbolismo ed estraneo alle suggestioni provocatorie dell'avanguardia, si pone in una posizione di continuità e allo stesso tempo di rottura col passato, intenzionato ad andare oltre il Simbolismo per elaborare una nuova idea letteraria ancora molto attuale.

Narciso - Caravaggio - 1599 circa - Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica

Questo superamento dell'estetica simbolista, o per lo meno un notevole cambiamento in una produzione fino a quel momento vicina allo stile di Mallarmé, avvenne per Valéry, nato nell'anno 1871 nel Sud della Francia da madre di nobili origini genovesi, durante la notte fra il 4 e il 5 ottobre 1892, nella cosiddetta "Notte di Genova", mentre si trovava nella casa di famiglia presso Salita San Francesco, vicino a via Cairoli. Colpito da una profonda crisi esistenziale, buttando in mare tutto quello che aveva scritto sino allora, si allontanò dalla letteratura cominciando un ventennio di silenzio nel quale si dedicò a studi scientifici e matematici, alla conoscenza di sé e all'analisi dei meccanismi del pensiero. Cominciò così a considerare la letteratura un'operazione fondata su leggi proprie, uno strumento di scoperta teorica dei meccanismi dello spirito e della mente. Se nella concezione precedente a Valéry la realizzazione di un'opera poneva in secondo piano il suo autore in quanto il fine era l'elemento di primaria importanza, con Valéry quello che è fondamentale è la conoscenza dei procedimenti che renderebbero possibile un'opera, di cui l'effettivo compimento viene posto in secondo piano. Si afferma così "l'io della scrittura", elemento centrale durante la fine dell'Ottocento, come per esempio in Monsieur Teste, del 1896, in cui il protagonista dichiara di guardarsi dentro, riflettendo e cercando di comprendere il funzionamento del proprio spirito. Quello che è però importante capire è che si assiste ad un allontanamento dall'io poetico nel senso soggettivo del termine per passare ad un io della scrittura, appunto, che indaga in modo oggettivo e con estrema precisione la realtà. 
Tali riflessioni e molti altri suoi pensieri furono affidati ai celebri Quaderni, redatti dallo scrittore ogni giorno all'alba sino al termine della sua vita, definiti come un "laboratorio intimo dello spirito".

La casa di Valéry in Salita San Francesco, con una targa che ne ricorda la "Notte di Genova".

Punto di arrivo di questi anni e insieme ritorno alla poesia a seguito del lungo silenzio è La Jeune Parque, La giovane Parca, edita nel 1917 e frutto di un lavoro, cominciato cinque anni prima, definito come un esercizio di poesia dopo l'abbandono di questa attività per circa vent'anni. Nel frattempo, dal 1894, il poeta si era trasferito a Parigi, dove frequentava gli ambienti culturali e si manteneva tenendo conferenze. Importante fu l'amicizia con Edgar Degas, con il quale condivideva un carattere difficile e certamente non aperto agli altri, della cui pittura amava la precisione matematica e la concezione geometrica nel disporre sapientemente nello spazio le sue celebri figure di bellissime danzatrici, colte in momenti di prove o di svago da angolazioni quasi fotografiche.

La lezione di danza - Edgar Degas - 1875 circa - Parigi, Museo d'Orsay

Sebbene l'adesione di Degas al gruppo impressionista, i cui esponenti si distinguevano per le rapide pennellate en plein air sulla tela finalizzate a restituire la percezione che l'occhio ha della realtà, il pittore dedicava molto tempo ai propri lavori, con attenta analisi in studio e un metodo rigoroso che lo contrappone per esempio a Claude Monet e Pierre-Auguste Renoir, quest'ultimo altro artista a cui fu legato Valéry. Questa modalità esecutiva può in qualche modo essere paragonata a quella di Valéry. Se, infatti, un poeta come Rimbaud, folgorato da vere e proprie illuminazioni, doveva scrivere di getto il proprio pensiero quasi ad inseguire l'idea che era andata delineandosi nella sua mente, Valéry, sulla stessa linea di Mallarmé, rifletteva a lungo sulle singole parole, spesso rare e difficili, al fine di trovare quelle più appropriate per raggiungere quella perfezione che tanto inseguivano.
Questa perfezione di immagine e di parola, accomuna La giovane Parca al poema Hérodiade di Mallarmé, a cui si dedicò per lungo tempo durante la stagione invernale, mentre nel periodo estivo era solito occuparsi ad un altro capolavoro, L'après-midi d'un faune, che alla Jeune Parque è vicino per uno spiccato erotismo.
Il poemetto di Valéry è una presa di coscienza, l'autoanalisi di un essere femminile, la protagonista, che è una Parca, vale a dire una figura della mitologia legata al destino dell'uomo, testimonianza, insieme all'immagine di Narciso o del Serpente, che compare nell'incipit dell'opera, della predilezione simbolista di Valéry, così come la preziosità di linguaggio. Più che un richiamo al mito, secondo il quale le Parche erano tre donne estremamente vecchie, mentre qui la Parca è presentata come una giovane fanciulla, il poema narra di una creatura umana che, in un momento particolarissimo della sua esistenza, indaga sulla propria interiorità più oscura, che ancora non conosce, turbata da qualcosa che ha eccitato i suoi sensi ma di cui non ricorda niente. Sottile e costante è anche la meditazione sulla morte, che trascorre in tutto il poema, angoscia causata dal periodo di guerra in cui l'autore era immerso nella stesura, sebbene egli stesso si stupisca di come questo lavoro sia lontano dalle preoccupazioni del proprio tempo, elevandosi nello spazio sacro della poesia e uscendo incontaminato dagli orrori storici contemporanei. Sembra quasi che il componimento assumi i tratti di un'autobiografia del poeta, quando nella notte di grande agitazione e smarrimento vissuta a Genova si interrogò sulla propria vita, lasciandosi alle spalle il passato. Bisogna però ricordarsi dell'allontanamento dell'Io, tipico di Valéry, per il quale anche l'introspezione dell'anima umana diviene non qualcosa di personale ma proprio di tutta l'umanità, in cui ognuno può ritrovare se stesso.
Interessante in tal senso è che inizialmente non è assolutamente chiaro se il personaggio che ci troviamo di fronte sia maschile o femminile, come se fosse di secondaria importanza, per questo non ci si deve far influenzare dal titolo.
Ancor prima Valéry apre la narrazione con una citazione di Corneille, ponendosi una domanda, aspetto tipicamente novecentesco, ossia il significato della presenza del male nel mondo, il perché il Paradiso terrestre sia dimora di un serpente.
A poco a poco comincia a definirsi uno spazio, un paesaggio marino dove il personaggio che parla in prima persona siede su uno scoglio ritrovandosi in lacrime e tremante, destato nel cuore della notte dal ricordo di un dolore. Capiamo poi essere una donna, la quale comincia una malinconica corrispondenza con il rumore del mare e delle onde, chiedendosi se ha amato o è stata posseduta, mentre «interrogo il mio cuore, che dolore lo sveglia, che delitto da me, o su me consumato?»...
Sorge spontaneo il paragone con il Fauno di Mallarmé, svegliato da un eccitamento sensoriale che non sa se proviene dalle due ninfe che ha incontrato, o forse solamente sognato, durante il mattino. L'ambiguità, nel caso del poema di Valéry, è ancor più profonda e l'immagine della Parca, sicuramente vicina anche ad Hérodiade per purezza, riflessione interiore e presagio di un dolore, è la dichiarazione della bellezza della poesia, monumento alla lingua francese, sogno di perfezione che vive in questi frammenti leggibili in parti singole e indipendenti in tutto il loro fascino enigmatico.

Gli occhi chiusi - Odilon Redon - 1890 - Parigi, Museo d'Orsay

A seguito della Prima guerra mondiale Valéry divenne un poeta laureato dalla grande fama, sebbene egli fosse indifferente ad ogni titolo onorifico, vivendo il successo quasi con un certo disagio. Nel 1894 aveva letto L'innocente di Gabriele d'Annunzio, il romanzo che lo rese celebre in Francia, mentre il Vate cominciò ad apprezzare Valéry durante la Grande Guerra grazie alle pagine del poemetto Il Cimitero marino, riflessione sul senso dell'esistere, del tempo e della morte. D'Annunzio, di cui è noto il sentimento per la cultura francese, invitò Valéry al Vittoriale nel 1924, visita così ricordata: «D'Annunzio è sempre meraviglioso di energia vitale e di entusiasmo. Pensate che mi fece "volare" sul suo diabolico motoscafo da Desenzano a Gardone: pareva che il vento mi strappasse la pelle».
Nel corso del secondo conflitto mondiale le agiate condizioni sociali di Valéry furono ostacolate dall'essersi rifiutato di collaborare durante l'occupazione tedesca, spegnendosi ancora giovane a Parigi poco dopo la fine delle ostilità, nel luglio del 1945.

Note

La foto della casa di Valéry è stata scattata nel settembre 2022.

Bibliografia

  • Storia europea della letteratura francese. Dal Settecento all'età contemporanea - Lionello Sozzi (a cura di) - Einaudi
  • La giovane Parca - Paul Valéry - Einaudi
  • Leggere Valéry - Federica Spinella - Carocci editore