Italo Calvino

Fra gli scrittori più noti nel panorama letterario del secondo Novecento, non solamente nei confini nazionali, Italo Calvino è un autore dalle mille sfaccettature che si è servito della letteratura come strumento per conoscere la realtà attraverso una scrittura limpida e chiara, a tratti fiabesca, oltre che una personalissima e appassionata ansia di conoscenza.
Nato nel 1923 a Santiago de Las Vegas presso L'Avana, a Cuba, dove i genitori si trovavano per lavoro, Calvino si trasferì a soli due anni a Sanremo, educato in un ambiente borghese colto e laico, ricco di interessi scientifici. Il nome Santiago sarà utilizzato in battaglia da Calvino durante la Resistenza, unitosi ai partigiani, mentre quello di Italo, che indicava la patria lontana quando venne al mondo, lo considerava alquanto nazionalistico e pericoloso in patria negli anni della fine del secondo grande conflitto mondiale, per un autore sin da subito lontano dagli ideali del fascismo di Benito Mussolini e che militerà nel Partito comunista.
Formatosi vicino a genitori studiosi di agraria e botanica, Calvino sarà l'unico umanista in famiglia, laureatosi in Lettere, a guerra conclusa, presso l'Università di Torino.
La sua vera università fu però, come ebbe a dire in un'intervista degli anni maturi, la casa editrice Einaudi, riferimento culturale e professionale imprescindibile durante la giovinezza, grazie alla quale conobbe i primi punti di riferimento e maestri della sua vita, vale a dire Cesare Pavese e Elio Vittorini, quest'ultimo direttore del periodico milanese Il Politecnico, al quale Calvino cominciò a collaborare in modo assiduo. Non bisogna inoltre dimenticare la lettura giovanile di Eugenio Montale, che doveva sentire particolarmente vicino per ideologia e per il fatto di essere cresciuto in Liguria, ma anche la fitta collaborazione con il quotidiano l'Unità, dove pubblicò articoli, recensioni e racconti. Il giornale, di stampo storicamente di sinistra, evidenzia l'altro polo d'attrazione e di formazione, insieme a Einaudi, del giovane Calvino, ossia il Partito comunista, occupandosi della stampa di partito sino al 1956, deluso dall'invasione dell'Ungheria da parte dell'Unione sovietica.

Tenendo presente i "fatti d'Ungheria" del '56, che scossero il PCI e la posizione di Calvino, si può distinguere la poetica dello scritture in due grandi fasi. La prima, dal 1945 al 1964, si sviluppa dalla liberazione del 25 aprile sino al trasferimento di Calvino a Parigi a seguito del matrimonio con la traduttrice argentina Ester Judith Singer, mentre la seconda comincia dal 1964 per arrivare al 1985 anno della sua morte improvvisa mentre si trovava a Siena.
Nella prima fase Calvino è politicamente impegnato, tuttavia crede in una letteratura volta all'insegnamento etico e morale più che alla funzione propagandistica, guardando con fiducia nel progresso con ideali che riprendono l'Illuminismo, rappresentando con cura la realtà, in quello che si definisce neorealismo, ma senza dimenticarsi di ricorrere alla fantasia, tratto distintivo della propria poetica. Il secondo Calvino è invece quello della delusione politica, dominato dall'idea della complessità del reale e della modernità, allontanandosi dalla descrizione realistica del mondo poiché lo scrittore può solo esprimere in parte quanto lo circonda, sentendosi come inadeguato e incompreso.

La stagione neorealista, di cui fu fondamentale la corrente cinematografica - si pensi a Roma città aperta (1945) o Ladri di biciclette (1948) - si sviluppò nel secondo dopoguerra, nel decennio che va dal 1945 al 1955, quando erano vive più che mai l'ideologia antifascista e la lotta di Resistenza partigiana. Come disse lo stesso Calvino il neorealismo non fu una vera e propria scuola, bensì un "insieme di voci" a cui appartenevano Primo Levi, Beppe Fenoglio e Vasco Pratolini, oltre ai già citati Pavese e Vittorini, da tempo protagonisti del rinnovamento culturale italiano.

Al Neorealismo di Calvino appartengono fondamentalmente due libri, Il sentiero dei nidi di ragno, il suo romanzo d'esordio edito da Einaudi, e la raccolta Ultimo viene il corvo, che comprende trenta racconti di cui metà erano stati composti prima del romanzo, mentre tre quarti già erano apparsi su giornali o riviste. Entrambe le opere hanno per tema la Resistenza e la guerra con le loro avventure, spesso narrate dal punto di vista dei più piccoli.
Datato 1947, Il sentiero dei nidi di ragno segna a ventiquattro anni il debutto letterario di Calvino, diviso fra contesto partigiano e fiabesco, come si avverte già dal titolo alquanto curioso. Il protagonista del racconto è Pin, un adolescente monello proveniente da un'umile famiglia della Riviera ligure di Ponente. Partecipando inizialmente alla Resistenza con atteggiamento quasi inconsapevole, Pin ruba la pistola di un soldato tedesco e decide di nasconderla in un luogo segreto, frutto della propria puerile immaginazione. Il rapporto di Pin con il mondo degli adulti lascia trapelare un malinconico bisogno di affetto e di conforto, mentre pian piano si delinea in lui una consapevolezza politica. La fine della spensierata giovinezza ed il percorso di iniziazione alla realtà dei grandi avviene con due episodi, ossia quando è rapito dai tedeschi per poi essere salvato da Lupo Rosso, un partigiano, unendosi alla sua banda, ma soprattutto quando Pelle, spia tedesca, ruba la pistola e distrugge i nidi di ragno. Ritrovata l'arma in camera della sorella, conosciuta come "la Nera" - di professione prostituta - Pin la rimprovera di essere stata con Pelle e scappa di casa sentendosi più solo che mai. L'unico vero amico, pensa, è Cugino, un omone partigiano e misogino di cui si fida. Coniugando elementi realistici - come la lotta partigiana e la descrizione del paesaggio ligure "magro e ossuto" - ad elementi fantastici, con Pin che tende a colorare ogni evento di magia e avventura, Calvino riesce pienamente nel difficile compito di farsi portavoce di una fase della nostra storia nazionale attraverso uno stile rapido e interessante, senza incorrere in lunghi e pedanti discorsi, bensì elevando il tutto ad uno scenario curioso, diviso fra l'ingenuità infantile e una tristezza di fondo, come quando nel finale Cugino svela a Pin la sua volontà di andare con una donna a seguito dei lunghi mesi trascorsi in montagna. Deluso, Pin lo ritiene come tutti gli adulti, mentre insieme parlano della sorella. Cugino gli chiede la pistola in modo da potersi difendere dai tedeschi, ma solamente poco dopo il loro incontro si sente il boato di alcuni spari. Cugino ha in realtà ucciso la sorella, complice dei nemici, ma questo Pin non lo saprà mai, convinto che sia rimasto fedele alla decisione di stare lontano dalle donne. Sopraggiunta la notte, Pin e Cugino si allontanano tenendosi per mano fra le lucciole.
«E continuano a camminare, l'omone e il bambino, nella notte, in mezzo alle lucciole, tenendosi per mano».

Gli anni Cinquanta si aprono per Calvino con due lutti che lo segnano profondamente: lo sconvolgente suicidio di Pavese nell'agosto del 1950 e la morte del padre, l'anno seguente, malato da tempo. Sul piano stilistico si assiste ad un allontanamento dal neorealismo e la sperimentazione di generi nuovi, come l'idea di alcuni romanzi fantastici e allegorici attraverso i quali indagare la condizione umana e raccontare il presente con i suoi problemi. Si tratta della trilogia araldica I nostri antenati, costituita da Il visconte dimezzato (1952), Il barone rampante (1957) e Il cavaliere inesistente (1959). Le metafore sono evidenti, a cominciare dalla disgregazione dell'uomo contemporaneo e della sua incompletezza ne Il visconte dimezzato, che servendosi della fantasia e la cifra fiabesca narra della società presente, in un'ambientazione illuminista di fine Settecento nella quale Medardo è diviso in due parti, "il Gramo" e "il Buono", rifacendosi a Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Stevenson. Non vi è solo, però, il contrasto fra bene e male come idea portante del romanzo, ma una più sottile lacerazione interiore di Medardo, combattuto tra un impulso attivistico e quelle spinte autodistruttive che richiamano drammaticamente la vicenda di Pavese.
Il barone rampante richiama invece la posizione dell'intellettuale che - attraverso il capriccio di un fanciullo rifugiatosi in cima a un albero a seguito di un rimprovero paterno, decidendo di non scendere più a terra - riflette la condizione privata dell'autore, il quale, proprio nell'anno d'uscita del romanzo, si era allontanato dal Partito comunista scegliendo di osservare dall'alto la realtà. L'azione fantastica, che rende questo libro, con molta probabilità, il capolavoro di Calvino, ha per sfondo la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, tra la Rivoluzione francese e l'ascesa di Napoleone Bonaparte, per arrivare al periodo della Restaurazione, tuttavia il moto di sdegno su cui si basa la narrazione lascia percepire allo stesso tempo l'importanza della socialità e della vita insieme agli altri come bene prezioso.
Infine, Il cavaliere inesistente, con gli intrecci ariosteschi di una trama che riprende chiaramente la tradizione del poema cavalleresco rinascimentale, insiste sulla crisi dell'uomo moderno, privo di un'identità proprio come il protagonista Agilulfo, paladino a servizio di Carlo Magno.

La seconda fase della poetica di Calvino si apre nel 1965 con Le Cosmicomiche, raccolta di dodici racconti che presentano il medesimo narratore, il vecchio dal nome impronunciabile e palindromo "Qfwfq". Interessante è il titolo dell'opera, che unisce due termini, cosmico e comico, come spiega l'autore: «Combinando in una parola i due aggettivi cosmico e comico ho cercato di mettere insieme varie cose che mi stanno a cuore. Nell'elemento cosmico per me non entra tanto il richiamo dell'attualità "spaziale", quanto il tentativo di rimettermi in rapporto con qualcosa di molto più antico. Nell'uomo primitivo e nei classici il senso cosmico era l'atteggiamento più naturale; noi invece per affrontare le cose troppo grosse abbiamo bisogno d'uno schermo, d'un filtro, e questa è la funzione del comico».
I racconti sono ambientati nei momenti più remoti e disparati della storia dell'universo - dall'origine del sistema solare al periodo dei dinosauri, dal Big Bang alla formazione delle galassie - con il protagonista che ha dunque attraversato tutte le fasi dell'esistenza e, per questo, ha la stessa età del cosmo. Ogni racconto è introdotto dall'esposizione, in chiave parodica, di una moderna teoria scientifica, lasciando intendere come la scienza, nella visione dello scrittore, non sia un sistema di certezze e di verità, bensì un sapere che pone ulteriori problemi, generando il dubbio.
Nel 1972 fu la volta del romanzo Le città invisibili, basato sulle descrizioni di Marco Polo al Kublai Kan, imperatore dei Tartari, di cinquantacinque città, ognuna introdotta da un dialogo tra i due nella cornice. Le città, che presentano nomi femminili desunte dalla classicità, sono inoltre distribuite in undici rubriche - quindi cinque per sezione - in una struttura rigorosa e complessa che in parte riprende e ricorda il Decameron di Giovanni Boccaccio. Le città descritte, quasi in una sorta di riscrittura in chiave contemporanea de Il Milione di Marco Polo, si presentano come luoghi ideali e ipotetici, simbolici, al di là delle quali, misteriosa e inarrivabile, è la realtà.
Incentrata su una struttura basata sul numero tre e i suoi multipli - più vicina quindi a Dante - è invece Palomar, la sua ultima opera, una raccolta di racconti datata all'anno 1983 che spesso viene vista come un testamento dell'autore, in particolare per la conclusione, nella quale si assiste alla morte improvvisa del protagonista, quasi un presagio della scomparsa di Calvino solamente due anni più tardi. Nato sulle pagine del Corriere della Sera, il personaggio di Palomar - che prende il nome dal famoso osservatorio astronomico americano - assunse sempre più il ruolo di controfigura dello scrittore, il quale osserva e descrive i più disparati aspetti della natura e della società, dai più piccoli sino a quelli infiniti. Cercando una chiave interpretativa della realtà, il protagonista arriva alla conclusione che ogni conoscenza è condizionata dalla soggettività e che quindi non può essere mai oggettiva. La conoscenza è interiorità, dunque del mondo sappiamo solamente quanto abbiamo imparato a conoscere dentro di noi. La paradossale conclusione è che per avere una conoscenza oggettiva il soggetto dovrebbe scomparire, ecco perché nel finale il protagonista cerca di imparare a morire.

Calvino e i giornali: "un amore sfortunato".

Il mestiere di giornalista - che rappresenta un aspetto interessante per comprendere la biografia e la personalità di Calvino - era stata la prima scelta per lo scrittore subito dopo la fine della guerra, tuttavia il giornalismo venne definito da lui stesso, in un'intervista rilasciata nel 1984, come un amore che non ebbe mai fortuna e, probabilmente, che non riuscì a sbocciare a causa di alcune mancanze che Calvino individua nell'assenza di vera passione: «Il giornalismo è stato un amore sfortunato, ma forse non era la mia vocazione. Ecco una delle vite che avrei voluto vivere: essere inviato speciale, essere un occhio che registra i fatti e li trasmette».
Da queste parole capiamo la spiccata volontà di Calvino di intraprendere il mestiere di giornalista, ma allo stesso tempo il suo non esserne particolarmente tagliato, come un sogno di bambino che svanisce con il raggiungimento dell'età adulta, quando si comprende l'impossibilità o l'incapacità di inseguirlo sino in fondo. Calvino si accorse subito di tali lacune nel campo in cui sognava di lavorare, soprattutto quando si trovava a ricoprire degli incarichi a fianco di professionisti o con giornalisti nati, sperimentando quella condizione di inadeguatezza e di non essere quell'occhio di cui parla, che, assolvendo la propria funzione, "registra i fatti e li trasmette".
Sebbene tali premesse, bisogna sottolineare come la collaborazione tra Calvino e i giornali durò ben quarant'anni, quelli della sua attività di scrittore e romanziere, in un percorso estremamente interessante che si può riassumere in quattro fasi.

  1. 1945-1948. A seguito dell'esperienza partigiana e della conclusione delle ostilità, Calvino decise di proseguire il proprio attivismo di stampo comunista attraverso la scelta giornalistica e la collaborazione con alcune testate locali a vario titolo, legate al PCI, come "La voce della democrazia", "Il Garibaldino", "La nostra lotta" e "La Verità". L'impegno intrapreso si rivelò particolarmente intenso e prolifico sin dai primi anni, con una quindicina di articoli nel giro di tre settimane circa, tuttavia sarà la primavera del 1946 a segnare il traguardo della collaborazione, che durerà esattamente dieci anni, con il quotidiano nazionale l'Unità, primo impegno stabile e prestigioso a livello di pubblico. Il vero e proprio esordio di primaria importanza come pubblicista risale però al dicembre 1945, quando Elio Vittorini scelse di pubblicare l'articolo "Liguria amara e ossuta" sulle pagine del proprio periodico intitolato Il Politecnico. L'articolo - una delle molteplici corrispondenze dalla provincia che Vittorini era solito ospitare, a prescindere dalla notorietà degli autori - appartiene al genere del reportage ed è interessante per comprendere le origini di Calvino, che racconta della propria terra nativa, la Liguria, ed in particolare dell'entroterra sanremese, in uno stile che mostra con evidenza il giovanile influsso del Montale di Ossi di seppia. Quello che emerge chiaramente in questa fotografia della realtà a lui cara, è la denuncia di una città divisa tra lusso e stenti economici, fra turismo e totale povertà, conseguenza naturale in un contesto nel quale si verificava sempre più, a seguito dell'industrializzazione, l'abbandono e lo spopolamento delle campagne, in particolare di quelle colline, tra mari e monti, che una volta erano coltivate, mentre oggi risultano incolte e in preda ai boschi. Calvino, che crebbe a stretto contatto con la realtà contadina, denota la propria attitudine di denuncia e propone, in una sfumatura chiaramente di sinistra, un'analisi socio-economica, una nuova organizzazione, vale a dire una sorta di coalizione contadina o cooperativa al fine di rendere i propri prodotti concorrenziali sul mercato.
    Trasferitosi a Torino per completare gli studi in Lettere, accedendo direttamente al terzo anno grazie ai vantaggi ottenuti per aver partecipato alla Resistenza come partigiano, divenne collaboratore per Einaudi e nel 1947, quando già era divenuto celebre grazie a queste sue collaborazioni giornalistiche, uscì Il sentiero dei nidi di ragno, il suo primo romanzo. Come detto, nel 1946 aveva cominciato a scrivere per l'Unità, assunto dall'edizione piemontese del quotidiano, che usciva in tre sezioni settentrionali nelle tre città industriali - Milano, Torino e Genova - mentre la sede principale era quella di Roma.
    Le collaborazioni con questo giornale, tornato nelle edicole a seguito della censura fascista, gli garantirono una notorietà che ancora non poteva giungere dai libri, di cui il primo è appunto datato 1947. Per l'Unità fu assunto ufficialmente come redattore della sezione cultura nel 1948, ruolo che non ricoprì per molto tempo proprio per l'aver scoperto sin da subito che il giornalismo non era la sua vera vocazione. Bisogna riconoscergli, però, di aver reso vivace ed interessante, attraverso alcune rubriche, un quotidiano altrimenti monotono, oltre che di aver recensito libri che si riveleranno fondamentali nella cultura della seconda metà del secolo, come Se questo è un uomo di Primo Levi. Calvino tornò poi ad essere, tra il '48 e il '49, un semplice collaboratore esterno del giornale.
  2. 1949-1957. Insieme al legame con l'Unità, per Calvino il tramonto degli anni Quaranta videro un infittirsi di collaborazioni con altre testate legate al PCI, quali "Rinascita" e "Vie nuove", tuttavia i segnali di un rapporto che si era ormai raffreddato si manifestarono nel rifiuto dell'offerta di assumere la direzione del settimanale "Battaglia", sicuramente poiché l'impegno gli avrebbe sottratto tempo prezioso nello scrivere romanzi.
    Grazie alla collaborazione giornalistica, in questi anni Calvino poté però intraprendere due viaggi di notevole importanza, come quello in Russia nei mesi di ottobre e novembre del '51, dove trasse materiale per una ventina di articoli, nei quali riportava tuttavia solo delle osservazioni di vita quotidiana, più che mai distanti dalla politica.
    Nell'estate del 1952 fu invece in Finlandia, ad Helsinki, per seguire come inviato del quotidiano comunista l'edizione dei giochi olimpici. Anche qui la sua mansione era quella di riportare il contesto in articoli quasi fotografici, facendo quello che in ambito giornalistico si definisce il "colore", articoli che non si concentravano sulle attività sportive, bensì sul racconto del contesto che le facevano da sfondo, con ampio spazio alle sensazioni riportate dall'inviato. Fu proprio in tale occasione, a contatto con inviati più esperti, che si rese conto di non essere tagliato nel riportare esattamente quanto osservava, o quantomeno nel focalizzare la propria attenzione su quegli aspetti che potevano interessare i lettori lontani.
    Pur continuando a collaborare con i quotidiani, l'impegno di Calvino viene così rimodulato e ridotto in modo considerevole, con un'eccezione per l'anno 1953, quando a giugno si votava in un clima incandescente per il rinnovo del Parlamento. Prestando la propria penna alla propaganda comunista, Calvino cercò di incentivare la partecipazione al voto così da contrastare la cosiddetta "legge truffa" proposta dalla Democrazia Cristiana, con la quale il governo De Gasperi, ambendo a governare stabilmente, voleva introdurre il premio del 65% dei posti parlamentari a chi superava il 50% dei voti nelle elezioni. La propaganda di Calvino e dei militanti del suo partito fomentarono l'onda dell'illegalità e riuscirono nell'obiettivo di mantenere alto il morale dell'opposizione, evitando il raggiungimento dei risultati sperati dalla DC. La causa politica del proprio partito spinse sempre Calvino ad intervenire personalmente sui quotidiani, anche se quest'attivismo diminuì sempre più sino ad interrompersi nel 1956, quando smise di collaborare con l'Unità e si allontanò dal PCI.
    Il motivo del distacco dal partito fu sancito dall'invasione sovietica dell'Ungheria, un episodio che risultava un'irrimediabile battuta d'arresto nel lento processo di disgelo della Guerra fredda, il cui apparente tramonto si rivelò una pura illusione. Calvino, non ritrovandosi in un partito che avvallava il conflitto contraddicendo gli ideali democratici su cui si fondava, decise amaramente di allontanarsi, sino a quando si sentì costretto a lasciare la tessera del partito, finendo oggetto di feroci critiche. Nell'estate del '57 - e fu anche questa una difficile scelta - diede inoltre le dimissioni da l'Unità.
  3. 1958-1973. Nel 1958 l'Italia conobbe il punto più alto del boom economico, che cambiò notevolmente anche il settore dell'editoria, con l'avvento delle macchine che producono prodotti in serie, tra cui i giornali, che crebbero vertiginosamente. Anche il campo della televisione e quello cinematografico, di cui si interessò sempre Calvino, conobbero un successo straordinario grazie all'esplosione di Cinecittà e a pellicole come La dolce vita, emblema del clima di quegli anni. Le opportunità si moltiplicarono, tuttavia Calvino, quasi in un moto di sdegno, sembrava rifiutare tutto, a cominciare, nell'aprile del '59, da una proposta di collaborazione giunta dalla redazione del quotidiano socialista Avanti!, alla quale rispose: «Purtroppo non ho proprio il tempo; [...] devo difendere il poco tempo a disposizione per il lavoro letterario mio personale. [...] Ho preso come norma di rispondere di no a tutte le richieste di collaborazione».
    Nel corso del 1960 Calvino intraprese un viaggio negli Stati Uniti, dal quale, come accaduto per quello in Unione Sovietica, ne scaturì un consistente numero di articoli che uscirono più avanti sul nuovo settimanale milanese di attualità e politica "ABC", fondato in questi anni dall'ex direttore del quotidiano Il Giorno. I reportage calviniani si presentavano come brevi pezzi raggruppati sotto il titolo di "Cartoline dall'America", in cui venivano appunto descritte o narrate in poche righe città, escursioni ed esperienze che rielaboravano il viaggio.
    Di questo periodo è da ricordare la collaborazione - sebbene non fu memorabile - con il nuovo quotidiano Il Giorno, nato nel 1956 e capace di attrarre man mano le firme più autorevoli del giornalismo. Calvino, nonostante la premessa di voler rifiutare ogni proposta, non riuscì a dire di no al suo amico Paolo Murialdi, decisivo nell'impostazione innovativa del giornale lombardo che, nel contesto milanese in cui era predominante l'influenza del modello del Corriere della Sera, decise di apportare significative e decisive modifiche per creare un quotidiano nuovo. La più importante fu sicuramente la scelta di abolire la terza pagina, vale a dire quello spazio riservato all'approfondimento culturale con una recensione o un articolo riguardo ad un'opera o un artista, decidendo di spostarla nella seconda parte del quotidiano, prima degli spettacoli, e di dedicare ad essa un intero settimanale intitolato "Letteratura e arte nel mondo".
  4. 1974-1985. La seconda metà degli anni Settanta furono segnati per Calvino - contraddicendo la propria posizione di rifiuto ad eventuali collaborazioni - dall'impegno preso con il Corriere della Sera, nonostante la posizione così distante dello scrittore, a livello intellettuale, rispetto a quella del giornale. Per tale motivo la collaborazione con il quotidiano nazionale più importante non si rivelò particolarmente attiva, nonostante la possibilità di parlare di fatti estremamente rilevanti come il caso Aldo Moro o l'elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Calvino venne così sollecitato dalla redazione affinché il sodalizio non finisse per arenarsi, ma oramai appariva stanco, limitandosi a pubblicare in anticipo, nella terza pagina, spunti di discorsi che avrebbe tenuto a qualche convegno oppure parti di nuovi romanzi, come Palomar, attraverso il quale descriveva con il consueto stile la realtà intorno a lui, ponendosi in una posizione di distacco storico che lo porterà ad essere accusato di scarso impegno.
    Sul Corriere Calvino si occupava anche dell'editoriale, o articolo di fondo, ossia quello scritto che si trova a sinistra della prima pagina e che detta la linea del quotidiano - portando generalmente la firma del direttore o di un altro personaggio autorevole - tuttavia il compito di moralista che prevedeva questo incarico si rivelerà poco consono allo scrittore. Un esempio è sicuramente l'articolo "Al di là della paura", uscito sul quotidiano nel maggio 1977, in cui riprende e riflette riguardo all'intervista a Montale apparsa pochi giorni prima sulle stesse pagine, di cui anche il recente vincitore del Premio Nobel (1975) era stato collaboratore, impostando l'articolo con una digressione su I promessi sposi manzoniani come manuale dei comportamenti politici italiani e spiegando come Montale, supponendo di essere chiamato in causa nel giudicare a processo le Brigate rosse, non si sarebbe sentito in grado e avrebbe avuto paura proprio come l'ebbero i giudici.
    Pur gli ottimi rapporti con la redazione del Corriere, nel '79 Calvino passò a la Repubblica, scelta per la quale fu decisiva la figura di Eugenio Scalfari, suo compagno di scuola. La Repubblica, un giornale oggi omologabile al Corriere, rappresentava al tempo una novità, essendo nata solamente tre anni prima con un taglio differente e l'ambizione di essere un "secondo giornale", ossia di opinione e di commento ai fatti accaduti - da leggere una volta apprese le notizie su un'altra testata - un po' come oggi è Il Foglio. Spinta da ambizioni nazionali, la Repubblica scelse Roma come sede principale e non Milano, dunque il cuore politico nazionale a scapito di quello economico. Sfruttando un periodo di crisi del Corriere, la Repubblica divenne il giornale più letto d'Italia, successo che portò i direttori all'adeguarsi allo stile più classico di testimone delle notizie del momento piuttosto che quello d'opinione e di riflessione. Anche la Repubblica, come già aveva fatto Il Giorno, scelse di abolire la terza pagina, tuttavia riservò lo spazio alla cultura nel cosiddetto "paginone centrale", vero e proprio spartiacque e momento di respiro per il lettore fra le notizie di cronaca e quelle economiche.
    La crisi del Corriere, che toccò anche le altre testate giornalistiche, fu dovuta agli "Anni di piombo", quando di politica si poteva parlare poco, al cui vuoto si sopperì con gli uomini di lettere. Questo fu uno dei motivi per cui sul Corriere ebbero modo di scrivere autori come Calvino e Pasolini, lontani della linea del giornale, senza dimenticare la costante collaborazione di Alberto Moravia. Lo spostamento dell'orientamento del giornale verso sinistra portò però al volontario allontanamento da parte di un giornalista come Indro Montanelli, che nel 1974 aveva fondato il Giornale.
    Si può concludere che il giornalismo fu un amore sincero per Calvino, un ambito nel quale non ottenne il maggiore successo ma che portò avanti grazie ad una notevole passione, ammettendo tuttavia le proprie mancanze, a testimonianza di una capacità di mettersi in discussione. Sicuramente il giornalismo ci permette di indagare da un altro punto di vista la profonda psicologia di un autore taciturno e introverso, spesso noto solamente per l'opera di romanziere, il cui stile, in particolare la fiducia nelle capacità comunicative della letteratura, è da rintracciare proprio in tale esperienza nell'ambito dell'editoria e dei giornali.

13 giugno 2023

Un ringraziamento al Professor Andrea Aveto per la parte "Calvino e i giornali".

Bibliografia

  • La letteratura e noi. Dal Novecento a oggi - Palumbo Editore
  • Calvino - Mario Barenghi (a cura di Andrea Battistini) - il Mulino
  • Italo Calvino - Domenico Scarpa - Bruno Mondadori
  • Il sentiero dei nidi di ragno - Italo Calvino - Mondadori
  • Italo Calvino. L'invisibile e il suo dove - Carlo Ossola - Vita e Pensiero