Carlo Goldoni

Il Settecento fu il secolo teatrale per eccellenza, dominato dalle figure di Pietro Metastasio per il melodramma, Vittorio Alfieri nell'ambito tragico e infine Carlo Goldoni, il quale conferì dignità al genere comico, dedicando un'intera esistenza alla propria vocazione per il teatro.
Nato nell'anno 1707 nella Repubblica di Venezia da una famiglia borghese, divenne il simbolo di una città in decadenza economica dove erano moltissimi i teatri e le compagnie, alla quale rimase sempre legato pur trascorrendo un'esistenza in costante fuga, a testimonianza di un animo inquieto. Costretto ad esercitare la professione di avvocato per motivi economici, non abbandonò mai la scrittura, la sua vera passione, divenendo un autore straordinariamente prolifico, pur dovendo fare i conti con una scarsa cultura intellettuale ed umanistica che lo divise tra istinto conservatore e spinta progressiva, in un secolo in cui si diffondevano le idee dell'Illuminismo. Alla fine, quello che rimane oggi di Goldoni è sicuramente l'immagine di un rivoluzionario capace di emancipare il teatro comico dalla commedia dell'arte, rivendicando l'importanza del ruolo del librettista e del testo, quindi elevando un genere considerato minore rispetto alla grande tradizione tragica al medesimo grado dal punto di vista letterario. Goldoni divenne così uno degli esponenti più rappresentativi del nuovo clima culturale europeo, grazie alle invenzioni sceniche di uno stile personale e innovativo, alla caratterizzazione dei personaggi e l'attenzione alle tematiche contemporanee, nonché alle esigenze di un pubblico che viveva di teatro, divenendo l'autore italiano la cui fama internazionale nel genere comico sarà pari solo a quella di Luigi Pirandello.

Trascorsa l'infanzia a Venezia circondato dall'affetto della madre, cui fu sempre particolarmente legato, intorno agli anni Venti dovette raggiungere il padre medico a Perugia, che volle con se il figlio per farlo studiare. I genitori si trasferirono poi a Rimini, dove continuò gli studi e si accostò alla lettura delle commedie di Plauto. Frequentò in seguito la facoltà di giurisprudenza presso l'Università di Pavia, dove fu espulso per aver composto una violenta satira contro la buona borghesia locale. Perdonato dai genitori, rientrò a Venezia e alla morte del padre fu costretto nel 1731 a laurearsi in legge a Padova ed intraprendere, seppur con difficoltà, la carriera di avvocato, trasferendosi a Milano nell'anno 1733.
Affiancando l'attività lavorativa alla scrittura - peregrinando per l'Italia con la moglie, sposata a Genova, tra Bologna, Rimini, Firenze, Siena, Chioggia e infine Pisa - bisognerà attendere il 1743 per la prima commedia interamente scritta, ossia priva di improvvisazioni comiche, intitolata La donna di garbo, testimonianza di un talento non precocissimo, al pari dell'Alfieri.
Bisogna sottolineare come il genere comico - al tempo di Goldoni e da ormai due secoli - si identificasse con la commedia dell'arte, vale a dire quella forma di spettacolo dove, sebbene l'attore fosse divenuto un professionista, il teatro non aveva  ancora incentrato l'attenzione sull'importanza della scrittura, rischiando di ridursi, in un'involuzione che era già realtà quando scriveva Goldoni, a delle trame ripetitive e banali finalizzate solamente ad allietare il pubblico, senza particolari ambizioni. La commedia dell'arte si basava infatti sull'improvvisazione attoriale e sulle maschere, come Arlecchino, Brighella e Pantalone, con trame fisse che non presentavano un testo scritto, se non un canovaccio, sorta di sommario riassunto con l'elenco delle scene e delle battute principali. Goldoni, con la sua riforma, si concentrò sull'importanza di un testo scritto, rivendicando dunque la centralità dell'autore a scapito della libertà e del virtuosismo attoriale. Questa rivoluzione voleva tuttavia rispettare le esigenze e le attese di un pubblico abituato ad un certo tipo di trame, attingendo dunque le vicende dal reale e da una costante naturalezza lontana da ogni forma intellettuale o letteraria, aggiungendo però sviluppi e varietà alle scene rappresentate. I suoi personaggi assunsero così precisi tratti psicologici che li rendevano particolari e non più universali e ricorrenti, connotati di realismo, senza che essi presentassero quindi costantemente le medesime caratterizzazioni.
Se nel 1745, con la commedia veneziana Il servitore di due padroni, Goldoni era ancora vicino allo stile della commedia dell'arte, già tre anni dopo La vedova scaltra sanciva un netto passaggio verso una commedia di carattere vicina alla sua riforma, per arrivare ai capolavori della metà del secolo, un periodo di straordinaria intensità creativa per lo scrittore, che aveva addirittura pattuito con il proprio pubblico di presentare e allestire sedici nuove commedie in un solo anno. Nacquero così opere come Il teatro comico, uno dei primissimi esempi di teatro nel teatro, Le femmine puntigliose, La bottega del caffè, Il bugiardo e I pettegolezzi delle donne.
Finalmente si giunse così all'anno 1752, quando Goldoni compose il suo capolavoro più noto, La locandiera, incentrata sul conflitto fra classi sociali e sul tema della donna, che grazie alla protagonista Mirandolina rivendica la propria dignità e la propria saggezza, personaggio femminile tra i più fortunati grazie all'astuzia, la disinvoltura e una particolare attrazione per la trasgressione sociale e per il proibito.
A seguito di un periodo di crisi dovuto a qualche insuccesso, Goldoni si riprese verso la fine degli anni Cinquanta con Gl'innamorati e I rusteghi, quest'ultima redatta in dialetto veneto, mentre nel 1760 fu la volta di un ulteriore trionfo, a Roma, grazie a La buona figliuola, opera buffa messa in musica da Niccolò Piccinni, testimonianza delle capacità di Goldoni anche come librettista.
La stanchezza del pubblico, a cui si aggiungevano le critiche dei tradizionalisti e la rivalità con Carlo Gozzi, spinsero Goldoni a lasciare Venezia per trasferirsi a Parigi, accogliendo l'invito del sovrano Luigi XV che lo chiamò alla corte di Versailles per impartire lezioni di italiano alle figlie. Nonostante una malattia agli occhi ne minò la salute e la vena creativa, Goldoni non smise di scrivere e mantenne l'incarico di insegnante anche sotto il regno di Luigi XVI, a cui dedicò nel 1787 le sue Memorie, un'opera autobiografica che sarà fondamentale per La Vita di Alfieri e per un genere che ottenne notevole fortuna nel XVIII secolo.
Goldoni si spense nell'anno 1793, pochi giorni dopo la decapitazione del re di Francia a seguito dei terribili anni della Rivoluzione francese.

La locandiera

Portata in scena per la prima volta al Teatro Sant'Angelo di Venezia una sera di gennaio del 1753, La locandiera è l'opera manifesto del nuovo teatro goldoniano, commedia divisa in tre atti che ha per protagonista una delle donne indimenticate dell'intera storia teatrale, Mirandolina, personaggio fortunatissimo divenuto emblema dell'emancipazione femminile grazie alla sua sicurezza caratteriale e all'astuzia, con cui riesce a difendersi dagli uomini che la corteggiano, dai ricchi come da un convinto misogino.
Mirandolina gestisce sapientemente una locanda fiorentina dove garantisce vitto e alloggio a nobili come civili, che puntualmente la corteggiano. Il primo atto si volge nella locanda, dove si trovano tra i commensali il Marchese di Forlipopoli, nobile decaduto e spiantato, ed il Conte d'Albafiorita, giovane mercante arricchitosi e che ha comprato il titolo nobiliare. I due, che ben rappresentano gli antipodi della società dell'epoca, discutono a proposito della protagonista, oggetto del loro desiderio, con il primo convinto che per conquistarla basti il prestigio del proprio rango sociale, mentre il secondo il denaro. Al tavolo si aggiunge poco dopo il Cavaliere di Ripafratta, uomo arrogante e presuntuoso che dichiara apertamente il proprio odio nei riguardi delle donne, lamentandosi dello scarso servizio offerto dalla locandiera e accusando i due avventori di essersi abbassati a corteggiare una donna. Mirandolina decide allora di punire la sua superbia, escogitando un piano per farlo innamorare di lei.
Nell'ultima parte del primo atto compaiono due commedianti in cerca di avventure, Ortensia e Dejanira, importanti per la componente metateatrale - cominciando una gara teatrale in cui si fingono delle dame - scena che ottenne un notevole successo tra i fedeli di Goldoni, a testimonianza di come l'autore fosse particolarmente attento al moderno aspetto del teatro nel teatro, mentre nel corso del tempo la scena è stata accorciata e considerata meno rilevante in una trama tanto innovativa.
Il secondo atto vede nuovamente protagoniste le due attrici, che cercano di sedurre il Cavaliere senza riuscirvi, mentre invece le strategie di Mirandolina sembrano funzionare, a partire dal tentativo di sedurlo prendendolo per la gola. Ricorrenti nell'atto sono così i motivi del cibo e del vino, che alludono ad un significato sessuale, infatti l'appetito del Cavaliere non è altro che il suo desiderio sessuale represso. Attraverso la gentilezza e le molteplici attenzioni, Mirandolina sembra far cedere il Cavaliere, che si scopre perdutamente innamorato quando decide di trattenersi alla locanda dopo che Mirandolina ha inscenato uno svenimento per la sua partenza.
Nel terzo atto il Cavaliere insorge in tutta la propria gelosia contro Fabrizio, il cameriere della locanda anch'egli innamorato della proprietaria. La donna è riuscita nel suo intento e torna ad occuparsi delle faccende della locanda, un aspetto questo che lascia intravedere sottilmente, in un risvolto psicologico particolarmente moderno, il dissidio tra la tentazione ad intraprendere realmente l'avventura amorosa, con un uomo ormai disposto a tutto per lei, oppure riprendere il proprio dovere nella quiete della sua vita borghese. Mirandolina, pur in un finale aperto, sceglierà quest'ultima strada, dichiarando di amare il giovane Fabrizio per la delusione del Cavaliere, il quale si rivolge al pubblico ripetendo ancora una volta il suo monologo misogino.

Bibliografia

  • La scrittura e l'interpretazione. Volume 4 - Palumbo Editore
  • La locandiera - Carlo Goldoni (a cura di Guido Davico Bonino; con uno scritto di Giorgio Strehler) - Mondadori