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Volli, e volli sempre, e fortissimamente volli.
Vittorio Amedeo Alfieri nacque ad Asti il 16 gennaio del 1749 da una ricca famiglia della nobiltà sabauda. Il padre morì meno di un anno dopo e la madre si risposò poco più tardi, così il piccolo Vittorio trascorse l'infanzia nella casa del patrigno, sottoposto ad una severa educazione. Nel corso dell'adolescenza sviluppò un umore malinconico che lo portò ad un maldestro tentativo di suicidio punito con la reclusione in camera per più giorni.
Il provenire dalla nobiltà era visto dallo scrittore come un'importante occasione per disprezzarla, svelandone ridicolezze e vizi, senza correre il rischio di essere giudicato invidioso. Il poeta riconobbe però l'onestà dei propri parenti ed in particolare ebbe molto rispetto e ammirazione per la figura materna a cui molto era legato.
A meno di dieci anni entrò nella Reale Accademia di Torino, ma la carriera militare alla quale la famiglia intendeva avviarlo non faceva per lui, così ribelle e solitario, calmo e irrequieto allo stesso tempo. Decise allora di intraprendere una serie impressionante di viaggi in Italia e in molti altri paesi europei. Una stagione di viaggi negli anni giovanili apparteneva alle prerogative della nobiltà settecentesca, ma i continui spostamenti dell'Alfieri divengono un vero e proprio modo di vivere, alla ricerca di nuovi luoghi e avventure, soprattutto alla ricerca di se stesso, manifestando il tedio fortissimo per le soste appena prolungate e l'amore per i trasferimenti più impegnativi.
Per questo non appare strano che il poeta compose un'autobiografia a poco più di quarant'anni, opera fondamentale per ripercorrere la sua biografia sentimentale, politica, letteraria e culturale. L'Alfieri, autore che visse in pieno Settecento, era proiettato per sensibilità al secolo successivo, imponendosi come un precursore del Romanticismo, definito dal poeta Giacomo Leopardi come: «vero scrittore, a differenza di quasi tutti i letterati del suo e del nostro tempo».
Solo tra il 1766 e il 1770 fu a Milano, Firenze, Roma, Napoli, Bologna, Venezia, Padova, Genova, Marsiglia, Parigi e Versailles; quindi Londra e poi l'Olanda. La propria passione cosmopolita lo condusse in seguito a Vienna, dove conobbe Pietro Metastasio, a Praga, Dresda, Berlino, Copenaghen, Stoccolma, e quindi a visitare la Finlandia, la Russia e la Germania. Ancora in Olanda nel '71, si spostò poi in Francia e da qui in Spagna e Portogallo. Nel '72, infine, tornò stabilmente a Torino.
Giunto all'età di ventitré anni si fermò a riflettere sulla sua vita, confessando di essersi dedicato pochissimo alla propria formazione culturale e così, in questo periodo, avvenne la conversione letteraria. Si accostò alla letteratura spinto dall'insofferenza e dalla ribellione, come desiderio di distinguersi dalle consuetudini sociali, oltre che per vincere la noia, distaccandosi da un'epoca di cui sentiva di non appartenere, al contrario per esempio del poeta Vincenzo Monti che, più meno negli stessi anni, faceva della celebrazione del presente la sua caratteristica principale.
La conversione letteraria rimise in discussione la sua intera esistenza e di fronte alle difficoltà dell'essersi accostato relativamente tardi agli studi e ai problemi linguistici, sopperì con un tenace impegno e una serie di "viaggi letterari" in Toscana, al fine di impossessarsi della lingua viva. Studiò senza sosta i versi di Dante, Francesco Petrarca, Torquato Tasso e Ludovico Ariosto. Il Petrarca fu il suo modello primo, con l'aggiunta dell'asprezza dantesca, mentre Tasso gli insegnò molto sulla funzione del paesaggio e la corrispondenza fra io poetico e natura.
Nacque così la prima tragedia dell'Alfieri, Cleopatra, rappresentata con discreto successo a Torino nel 1775 e in seguito rifiutata dall'autore stesso che si pentì di essersi subito esposto al pubblico. La stesura dell'opera venne vista da lui come una vera e propria rivelazione; dentro sé avvertiva una passione nello scrivere e un forte desiderio di gloria. Così si aprì il periodo più intenso e creativo del poeta che nei successivi sette anni compose quattordici delle diciannove tragedie approvate.
Nel 1777 si stabilì a Firenze, dove si legò sentimentalmente a Luisa Stolberg-Gedern, contessa d'Albany, la donna della sua vita. La relazione fra i due fu nei primi anni difficile e incerta, ostacolata dal marito di lei, Carlo Edoardo Stuart. La donna lo lasciò definitivamente nel 1780 andando a vivere a Roma con l'Alfieri.
«Un dolce focoso negli occhi nerissimi accoppiatosi (che raro adiviene) con candidissima pelle e biondi capelli, davano alla di lei bellezza un risalto, da cui difficile era di non rimanere colpito e conquiso».

Il felice soggiorno romano fu turbato dallo scandalo suscitato dalla loro relazione, così lo scrittore si trovò costretto ad abbandonare la città, riprendendo a viaggiare, addolorato per la distanza dell'amata.
Nel 1786 si riunirono a Parigi dove l'Alfieri compose le ultime tragedie e nel '90 scrisse la prima parte della Vita, la sua autobiografia. In questo periodo realizzò un "sonetto autoritratto", posto dietro un quadro a lui dedicato, a noi particolarmente utile per capire che aspetto avesse il poeta.

Sublime specchio di veraci detti,
mostrami in corpo e in anima qual sono:
capelli, or radi in fronte, e rossi pretti;
lunga statura, e capo a terra prono;
sottil persona in su due stinchi schietti;
bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono;
giusto naso, bel labro, e denti eletti;
pallido in volto, più che un re sul trono:
or duro, acerbo, ora pieghevol, mite;
irato sempre, e non maligno mai;
la mente e il cor meco in perpetua lite:
per lo più mesto, e talor lieto assai,
or stimandomi Achille, ed or Tersite:
uom, se' tu grande, o vil? Muori, e il saprai.
Alfieri trascorse gli ultimi anni insieme all'amata a Firenze, intrattenendo scarse frequentazioni sociali e dedicandosi alla revisione delle opere pubblicate e alla stesura di nuove.
«Bisogna veramente che l'uomo muoia, perché altri possa appurare, ed ei stesso, il di lui giusto valore».
Il poeta morì improvvisamente il giorno 8 ottobre del 1803 all'età di cinquantaquattro anni. Tredici volumi di opere inedite saranno pubblicati postumi dalla contessa d'Albany.
Seppellito nella basilica di Santa Croce a Firenze, a fianco di moltissimi uomini celebri, tra i quali Michelangelo Buonarroti, il suo maestoso monumento funebre sarà realizzato dallo scultore Antonio Canova.
Il poeta Ugo Foscolo si fermerà con ammirazione dinanzi alla sua tomba, ricordando nel carme Dei sepolcri che anche l'Alfieri era solito recarsi in quella basilica per trarre ispirazione dai grandi del passato. Aggiunge Foscolo che l'Alfieri poteva essere visto «più volte sedere nelle chiese quasi immobile da vespro insino a notte, concentrato ad ascoltare i salmi che i frati cantavano in coro. Ma la condotta di lui tenuta negli ultimi momenti di vita c'indurrebbe a credere che quel suo concentramento non derivasse per nulla da causa religiosa: sembra piuttosto che egli prescegliesse la solenne tranquillità di un tempio, onde trovare un precario ristoro agli implacabili tormenti o almeno all'umor malinconico».
Scriverà infine Leopardi sull'Alfieri: «Disdegnando e fremendo, immacolata / trasse la vita intera, / e morte lo scampò dal veder peggio. / Vittorio mio, questa per te non era / età né suolo».

Le tragedie
Il periodo di composizione delle principali tragedie di Alfieri si pone fra gli anni che vanno dal 1775 al 1788, dunque dopo l'intensa stagione dei viaggi giovanili e si chiude in una fase di ripiegamento esistenziale dell'autore. Nella scrittura delle tragedie convergono l'intera personalità alfieriana e i temi principali della sua poetica, vale a dire l'irrequietezza esistenziale, il desiderio di gloria, il pessimismo e il conflitto individuo-società, infine lo scontro tra eroi positivi e negativi. Lo stile conciso e la riduzione dei personaggi sono tratti peculiari della stesura dei suoi drammi, così come, a livello linguistico, l'uso dell'endecasillabo spezzato, che conferisce un senso non armonioso ai versi.
Le Rime
La vocazione dell'autore all'autobiografismo, oltre che nella Vita, trova una delle sue espressioni più interessanti e fedeli nelle molte Rime composte durante l'intero arco della propria attività di scrittore. Una prima raccolta viene pubblicata nel 1789 mentre l'intera produzione vide la luce in un'edizione postuma nel 1804.
La forma privilegiata è quella del sonetto, la cui breve estensione consente un massimo di concentrazione espressiva. Alla base dell'opera alfieriana vi è lo studio del Canzoniere di Petrarca, del quale viene recuperata la tendenza all'essenzialità formale, mentre è tralasciata la ricerca di equilibrio e di armonia. Anche la presenza continua del soggetto lirico accomuna le due esperienze, ma in Alfieri l'io si carica di una tensione eroica, di una fierezza e di uno sdegno tutt'altro che fedeli al modello petrarchesco. Il paesaggio è infine un elemento di vicinanza e insieme di radicale diversità rispetto al Canzoniere: la natura alfieriana è spesso orrida e minacciosa, motivo di tensione esistenziale e di inquietudine, non di abbandono e di rispecchiamento.
Le Rime di Alfieri non costituiscono un libro, sul modello del Canzoniere, ma si offrono quali singoli momenti dell'esistenza. Ogni testo fissa un episodio, esprime un dissidio, per lo più interiore, un sentimento, una lacerazione psicologica.
Composto il 26 agosto 1786, il sonetto Tacito orror di solitaria selva è un esempio di componimento preromantico che affronta il conflitto tra l'individuo e la natura. Il poeta avverte il bisogno di solitudine da una società di cui non si sente parte; questo motivo è affidato al paesaggio aspro e orrido di una foresta abbandonata.
Tacito orror di solitaria selva
di sì dolce tristezza il cor mi bea,
che in essa al par di me non si ricrea
tra’ figli suoi nessuna orrida belva.
E quanto addentro più il mio piè s’inselva,
tanto più calma e gioja in me si crea;
onde membrando com’io là godea,
spesso mia mente poscia si rinselva.
Non ch’io gli uomini abborra, e che in me stesso
mende non vegga, e più che in altri assai;
né ch’io mi creda al buon sentier più appresso:
ma, non mi piacque il vil mio secol mai:
e dal pesante regal giogo oppresso,
sol nei deserti tacciono i miei guai.

Uttewalder Grund - Caspar David Friedrich - 1825
Bibliografia generale
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