Canto XVI

Marco Lombardo

Lombardo fui, e fu' chiamato Marco;
del mondo seppi, e quel valore amai
al quale ha or ciascun disteso l'arco. [...]
I' ti prego che per me prieghi quando sù sarai.

Superata la prima cornice del Purgatorio nel Canto XI, dove sono gli spiriti dei superbi, e la seconda, quella degli invidiosi, Dante e Virgilio giungono alla terza cornice, dove incontrano le anime di coloro che in vita furono accecati dall'ira e che ora, per contrappasso, sono avvolti da una nube densa di fumo che non gli permette di vedere nulla.
Protagonista del canto è una figura enigmatica, sconosciuta e sicuramente da riscoprire proprio perché centrale nell'intera struttura del poema. Il Canto XVI, infatti, contando i trentaquattro dell'Inferno, è esattamente il cinquantesimo dei cento dell'opera, dunque quello di mezzo, punto di svolta e insieme di riflessione su temi di estremo interesse. Si tratta di Marco Lombardo, il quale si presenta, come avvenuto con Sordello nel Canto VI, ricordando la patria nativa, ossia la regione della Lombardia, dichiarando di essere esperto delle cose che muovono e governano il mondo, come già aveva detto Ulisse nel XXVI dell'Inferno. Continua poi sostenendo di aver seguito, durante la propria esistenza terrena, delle virtù verso le quali le persone hanno ormai distolto la loro attenzione. Sono parole curiose e da decifrare, riferite probabilmente ai valori cortigiani, essendo Marco uomo di corte. La sua apparizione si conclude infine con l'invito ad essere ricordato al mondo e di pregare per lui, in continuità con Manfredi, che nel Canto III aveva spiegato come le preghiere dei vivi accorcino l'ascesa al monte del Purgatorio, ma anche con la malinconica Pia de' Tolomei del Canto V, di cui Marco ricorda per dolcezza nei modi e misteriosa identità.
Personaggio senza volto e, quasi, senza storia, Marco Lombardo, vissuto probabilmente nella seconda metà del Duecento, è ricordato solo da alcuni cronisti dell'epoca e dai primi studiosi del poema come un uomo nobile e generoso, dalla lunga esperienza cortigiana, caratterizzato dalla saggezza pratica nei riguardi dei suoi protettori nonché da un geloso e fiero spirito d'indipedenza. Distinguendosi nel canto per concisione e altezza di discorso, Marco sembra essere stato scelto dal Poeta come vero e proprio alter ego, portavoce dei propri valori etici e politici, vedendo nella sua vicenda un'esperienza affine come esule frequentatore di corti.
Il discorso di Marco si articola in tre parti fondamentali che sorgono da un dubbio di Dante avuto nel momento in cui l'anima lombarda ha dichiarato come il mondo sia ormai lontano da quelle virtù alle quali dovrebbe essere rivolta l'attenzione e l'agire umano. Chiede allora a Marco se questa mancanza di valori, da cui deriva la sempre più crescente corruzione insita nei contemporanei, sia in qualche modo attribuibile a qualche disposizione celeste, tuttavia l'interlocutore risponde ricordando il libero arbitrio dell'uomo, il quale possiede la ragione per conoscere il bene e il male e la facoltà di compiere delle scelte in assoluta libertà, senza che nessuna volontà astrale influenzi le sue naturali inclinazioni.
Nella seconda parte del suo intervento Marco espone la dottrina del governo dell'umanità, riprendendo quei principi di cui Dante aveva già trattato nel Monarchia, vale a dire la teoria "dei due soli". Come due guide che illuminano l'uomo nel suo cammino, attraverso la loro figura autoritaria e il rispetto delle leggi stabilite, Dio avrebbe assegnato all'uomo le figure del papa e dell'imperatore, rispettivamente simboli del potere spirituale e temporale, tuttavia questi due capi del potere sono entrati sempre più in contrasto fra loro, ed il pontefice, colui che più di tutti avrebbe dovuto dare il buon esempio, ha finito per incentrare entrambi i poteri in uno solo, "unendo la spada imperiale con il pastorale" e divenendo causa primaria della corruzione che affligge il mondo.

Soleva Roma, che 'l buon mondo feo,
due soli aver, che l'una e l'altra strada
facean vedere, e del mondo e di Deo.
L'un altro ha spento; ed è giunta la spada
col pasturale, e l'un con l'altro insieme
per viva forza mal convien che vada.

Nella terza ed ultima parte, Marco porta degli esempi concreti per spiegare tale corruzione di costumi contemporanea, riferendosi ai luoghi da lui conosciuti, ossia della terra lombarda, constatando che sono ormai rimasti solamente tre virtuosi anziani a farsi prosecutori degli antichi ideali.
Marco, cercando una via d'uscita dalla fitta nebbia, si allontana poi rapidamente dai due poeti, ormai pronti a proseguire, nei due canti successivi, tali discorsi di notevole importanza a cui li ha indotti lo spirito incontrato, concentrandosi questa volta sulla tematica dell'amore.