Canto V

Pia de' Tolomei

Deh, quando tu sarai tornato al mondo
e riposato de la lunga via, [...]
ricorditi di me, che son la Pia.

Lasciatosi alle spalle il primo balzo della montagna del Purgatorio, dove nel Canto IV il Poeta ha incontrato l'amico Belacqua, Dante sale al terzo livello dell'Antipurgatorio e si imbatte nella schiera degli spiriti negligenti morti per violenza. Un gruppo di anime, ancora una volta, rimane sorpreso e quasi intimorito nel vedere un uomo ancora viva, con la sua ombra proiettata a terra. Dante ne è attratto e si sofferma qualche istante come distratto, mentre Virgilio lo ammonisce con un verso, "Vien dietro a me, e lascia dir le genti", che ricorda quello più celebre del Canto III dell'Inferno riferito agli ignavi, con cui lo invita a non badare alle chiacchiere poco importanti delle persone, che distolgono l'attenzione dai veri obiettivi.
Un'altra schiera procede invece intonando in coro il Miserere e due spiriti vengono fatti avvicinare a Dante per avere spiegazioni. Virgilio spiega il motivo dello straordinario ultraterreno del compagno e invita loro a raccontare la propria condizione in quanto Dante potrà chiedere, una volta tornato nel mondo dei vivi, preghiere di suffragio per abbreviare la durata dell'attesa nell'Antipurgatorio.
Un'anima comincia allora a parlare, rivelando di essere un uomo d'armi di nome Jacopo del Cassero, originario di Fano, cittadina delle Marche, ucciso con violenza in una palude vicino a Oriago, fra Venezia e Padova, da uomini mandati per conto del signore di Ferrara. Prende poi la parola il nobile ghibellino Bonconte da Montefeltro, della casata dei Signori di Urbino, morto nella battaglia di Campaldino del 1289 combattuta fra le fazioni opposte dei guelfi, vittoriosi, e dei ghibellini.
Dimenticato dai familiari, Bonconte spiega a Dante come mai le sue spoglie mortali non furono trovate sul campo di battaglia, chiedendogli di riferire la propria vicenda ai vivi. Pentitosi in fin di vita, il suo spirito fu conteso fra un angelo e un demone, topos tipico della letteratura cristiana medievale. Il diavolo, non capacitandosi del perché una tardiva lacrima di pentimento potesse salvare un uomo dalla condanna eterna, infierì sul corpo di Bonconte sottrattogli dal messaggero celeste, trascinandolo nelle acque del fiume Arno.

A conclusione del canto compare una figura femminile, la prima a prendere la parola dopo Francesca da Rimini nel Canto V dell'Inferno, in un vero e proprio malinconico filo rosso che lega queste due dolci presenze poste in continuità di collocazione, entrambe infatti nel quinto canto dei rispettivi regni ultraterreni. Si tratta di Pia de' Tolomei, le cui brevissime parole ne riassumono la vita e ne scolpiscono eternamente la personalità, graziosa e intrisa di infelici ricordi.
La donna, con la grazia tipica delle figure angelicate dantesche e dello stilnovo, ricorda la sua nascita a Siena e di essere morta in Maremma, uccisa da colui che poco prima le aveva promesso eterna fedeltà donandole l'anello nuziale. Pia chiede infine con cortesia e discrezione a Dante, provocando una sottile nostalgia al lettore, che la sua storia venga ricordata fra i vivi, restituendoci un senso di familiarità e di compassione grazie alla scelta del Poeta di aggiungere l'articolo dinanzi al suo nome. Pia si erge nella sua purezza come una delle figure femminili più importanti della cantica, insieme a Matelda e Beatrice, e dell'intero poema, emblema della volontà, insita da sempre nel cuore degli esseri umani, di non essere mai dimenticati, speranza che sopravvive anche dopo la morte, quando ancora si prova un anelito di eternità per il proprio ricordo nel mondo terreno, come se esso potesse sopravvivere allo scorrere inesorabile del tempo.

Malinconia - Francesco Hayez - 1840 circa - Milano, Pinacoteca di Brera