Monarchia

Ritratto di Dante (dettaglio dalla Disputa del Sacramento) - Raffaello Sanzio - 1510 circa - Città del Vaticano, Musei Vaticani

Al contrario delle altre due opere dottrinali di Dante, vale a dire il Convivio e il De vulgari eloquentia, il Monarchia è l'unico trattato portato a compimento dal Poeta, redatto in latino, perché rivolto ad un pubblico di dotti, negli anni dell'esilio.
Il Monarchia, o De monarchia dal titolo latino, raccoglie il pensiero politico dell'Alighieri, che analizza qui il rapporto fra il potere temporale dell'Impero e quello spirituale della Chiesa, in un'epoca, l'inizio del Trecento, nel quale si era assistito ad una crisi delle due massime istituzioni del Medioevo.
Nel Convivio il Poeta aveva già espresso il proprio desiderio di una restaurazione dell'autorità imperiale, che aveva perso il suo dominio sull'Italia, auspicando in tal modo il ritorno della pace e della giustizia in un paese logorato dalla cupidigia e dalle lotte fratricide nelle varie città.
Per comprendere chiaramente la visione di Dante bisogna ricordare che egli nel contesto di Firenze era, a livello politico, un sostenitore del partito dei guelfi, costretto all'esilio a causa del prevalere dei rivali ghibellini.
Guelfi e ghibellini erano inizialmente i due partiti politici nati nella Germania del XII secolo, nomi assunti in seguito dai fiorentini per indicare i sostenitori dell'autorità papale o die quella imperiale.
Se i ghibellini sostenevano la supremazia dell'Impero sulla Chiesa, i guelfi erano favorevoli ad una politica in accordo con la volontà del pontefice, tuttavia - e qui si spiega la posizione dantesca - il partito si divise in due fazioni opposte, quella dei bianchi e dei neri. I guelfi bianchi, pur sostenendo il papa, non precludevano la possibilità del ritorno dell'imperatore, mentre i neri erano convinti sostenitori del pontefice come unica figura avente diritto di governare. Bisogna anche dire che il Poeta si avvicinerà gradualmente all'ideologia dei ghibellini, motivo per cui, probabilmente, il poeta Ugo Foscolo lo chiamerà "ghibellin fuggiasco" nel carme Dei sepolcri.
Sulla base di questo contesto politico, i tre libri di cui si compone il De monarchia trattano tre idee fondamentali del pensiero dantesco. Nel primo viene dichiarata la necessità di una monarchia universale, quindi di un imperatore al di sopra delle parti, garante della giustizia. Il secondo libro vuole dimostrare come l'autorità imperiale sia stata concessa da Dio; in questo disegno della provvidenza, spetta allora al popolo romano la scelta dell'imperatore. Nel terzo libro viene affrontata la delicata questione dei rapporti tra Impero e Chiesa, un tema attualissimo ai tempi di Dante e vero filo rosso della storia, interrogandosi infine sul fatto che l'autorità imperiale venga direttamente da Dio o per mediazione del papa. Nasce qui la teoria "dei due soli", di cui Dante tratterà anche a metà dello straordinario viaggio della Divina Commedia, nel Canto XVI del Purgatorio, dove affiderà a Marco Lombardo la spiegazione.
Come due stelle luminose che illuminano l'uomo nel suo cammino, attraverso l'autorità delle loro figure, il papa e l'imperatore, emblema dei poteri spirituale e temporale, sarebbero stati designati da Dio per garantire la pace e il rispetto delle leggi. L'azione dell'imperatore era finalizzata alla felicità dell'uomo nella sua vita terrena, mentre quella del pontefice per il raggiungimento della salvezza celeste.
La conclusione stabilisce come ciascuna delle due autorità sia autonoma e indipendente in quanto entrambi i poteri derivano direttamente da Dio. Le azioni dell'imperatore e del papa sono tuttavia strettamente collegati in quanto è solamente con la pace terrena che l'umanità può giungere, sotto la guida del successore di Pietro, all'eterna beatitudine.

Incoronazione di Carlo Magno (dettaglio) - Raffaello Sanzio - 1516 circa - Città del Vaticano, Musei Vaticani