Canto III

Manfredi

Io mi volsi ver' lui e guardail fiso:
biondo era e bello e digentile aspetto,
ma l'un de' cigli un colpo avea diviso.

Ripreso il cammino a seguito del rimprovero di Catone a conclusione del Canto II, Dante teme per un attimo di essere stato abbandonato vedendo solamente la sua ombra proiettata a terra. Virgilio, amorevole guida, lo rassicura prontamente spiegando che le anime hanno un aspetto visibile e possono soffrire fisicamente, tormentati dal caldo e dal gelo nell'Inferno, tuttavia non hanno corpo e dunque ombra. Si tratta di una misteriosa disposizione divina di cui, come tante altre, la mente umana non può comprendere la ragione poiché, essendo limitata in confronto alla volontà celeste, ogni suo tentativo sarebbe vano.
Il tema del corpo ricorre varie volte nella seconda cantica, in particolare all'inizio del percorso di purificazione, sottolineando la sua duplice pesantezza, quella fisica e quella legata alla colpa, diversa dalla condizione delle anime, le quali provano stupore e, spesso, timore, nell'incontrare Dante, ancora vivo nella sua fisicità in un regno dove il corpo è un lontano ricordo per tutti gli spiriti in attesa del Giudizio finale.
Giunti ai piedi della montagna del Purgatorio, Dante ne osserva fiducioso le vette luminose, mentre Virgilio appare dubbioso sulla strada da intraprendere, come già accaduto nel secondo canto quando le anime sbarcate sulla spiaggia sottostante la montagna lo avevano interrogato per domandargli dove dirigersi. Improvvisamente i due pellegrini vedono sopraggiungere un gruppo di anime che appartengono alla prima schiera dell'Antipurgatorio, quella degli spiriti negligenti morti scomunicati, i quali, avanzando lentamente, devono attendere trenta volte il tempo che vissero sotto pena di scomunica prima di poter cominciare la salita al monte e l'effettiva purificazione.
Fra le anime una si presenta a Dante come Manfredi di Svevia, figlio di Federico II e nipote dell'imperatrice Costanza, che divenne re dell'Italia meridionale e seppe mantenere con saggezza il potere continuando la politica paterna, anche sul piano della cultura umanistica, al fine di consolidare lo Stato. Il Poeta, come già fatto con molti dannati nel regno degli inferi, scolpisce eternamente il ritratto del sovrano con un solo verso, definendolo bello e gentile nei modi, dai capelli biondi, tuttavia segnato da una ferita. Morì infatti eroicamente nella battaglia di Benevento nel 1266 dopo che i pontefici lo avevano minacciato e scomunicato più volte, in particolare Clemente IV, il quale chiamò in Italia Carlo d'Angiò per sconfiggerlo.

Pur lamentandosi del comportamento e delle ingiustizie subite dalle autorità ecclesiastiche, come per esempio la persecuzione contro le sue spoglie mortali, Manfredi si dimostra consapevole dei suoi peccati e ricorda di essersi pentito in punto di morte, così la giustizia divina, pur essendo morto sotto scomunica, "in contumacia di Santa Chiesa", gli consentì di giungere nel transitorio regno del Purgatorio, costretto però ad attendere molto tempo prima di poter accedere al monte di purificazione. Manfredi, figura che dimostra come la giustizia divina sia superiore rispetto a quella della Chiesa, che si serve sovente della scomunica come strumento politico, rivela infine che le preghiere dei vivi possono abbreviare la durata dell'attesa delle anime, chiedendo al Sommo Poeta di raccontare a sua figlia Costanza la propria condizione affinché ella possa ricordarlo nelle sue preghiere: "ché qui per quei di là molto s'avanza".