Antonello da Messina
Ritratto d'uomo (forse autoritratto) - 1475 circa - Londra, National Gallery
Tutta l'enigmaticità e la bellezza della pittura di Antonello da Messina, artista sino a tempi recenti quasi sconosciuto, è sintetizzata nella sua opera più celebre, l'Annunciata, viso femminile tra i più noti dell'intera storia dell'arte, capolavoro di essenzialità e fascino, talmente misteriosa da divenire un'icona a cui spesso non si associa il suo creatore, quasi non fosse rilevante. Dipinta intorno al 1476 e custodita a Palermo nella Galleria regionale della Sicilia, l'opera ha il potere di anticipare e probabilmente ispirare alcuni tra i più noti ritratti che conosciamo, per esempio La velata di Raffaello Sanzio, a cui si avvicina per la nobiltà d'animo che traspare dallo sguardo rivolto all'osservatore, sino alla più recente Dama con l'orecchino di perla di Jan Vermeer, ma forse anche la Dama con l'ermellino di Leonardo, alla quale si può accostare per le piccole dimensioni della tavola. Se però in tutti questi tre casi i soggetti raffigurati sono rivolti verso l'amato, nel quadro di Antonello da Messina vi è di più di un semplice sguardo innamorato; il volto è infatti quello della Vergine Maria nel momento in cui riceve l'annuncio dall'arcangelo Gabriele, il quale, in una scelta rivoluzionaria da parte del pittore, si fa come noi spettatore del dipinto. Maria, interrotta nella lettura, non sembra spaventata dall'arrivo dell'angelo annunciatore, a cui si rivolge con la mano destra in un gesto che lascia però intravedere un accenno di esitazione, mentre con la sinistra si tiene coperto il petto afferrando con grazia la veste.
Scarse ed approssimative sono le notizie riguardanti la vita di Antonello da Messina, nato nel 1430, il principale pittore siciliano del Quattrocento nonché figura di primo piano nel Rinascimento, noto soprattutto come ritrattista. Viaggiò sicuramente molto, soggiornando a Roma e passando per la Toscana e le Marche, confrontandosi con le novità delle opere di Piero della Francesca, arrivando sino a Venezia, dove conobbe e strinse un rapporto di fondamentale importanza con Giovanni Bellini. Nelle Vite Giorgio Vasari romanza la vita dell'artista narrando come in un viaggio nelle Fiandre imparò il segreto della pittura a olio da Giovanni da Bruggia, ossia Jan van Eyck. La pittura a olio è una tecnica che utilizza pigmenti in polvere mescolati con delle basi inerti di oli. Il suo sviluppo si deve alla scuola fiamminga quattrocentesca e tradizionalmente la sua introduzione in Italia è attribuita ad Antonello. Prima di allora i dipinti su tavola erano eseguiti esclusivamente a tempera, ottenendo però risultati decisamente inferiori per brillantezza rispetto alla nuova tecnica. Inoltre la tecnica ad olio ha una lentezza d'essicazione maggiore rispetto alla pittura a fresco, permettendo di avere il colore fluido per un tempo considerevole in cui l'artista può permettersi di apportare correzioni e modifiche. Recenti indagini radiografiche di alcuni dipinti hanno infatti scoperto diverse versioni al di sotto dell'originale per esempio in un autore come Caravaggio.
La diffusione dei colori ad olio favorì anche quella della tela come supporto sebbene Antonello e i fiamminghi preferissero ancora la tavola.
Anche se non è tutt'ora chiaro il modo in cui entrò in contatto con l'arte fiamminga, è evidente che Antonello ne fu notevolmente influenzato, riuscendo a conciliare quello stile così attento ai dettagli con gli studi prospettici pierfrancescani e la luminosità del Bellini che gli insegnò personalmente come conferire ai soggetti un carattere umano. Così le sue Madonne appaiono monumentali, quasi scultoree, ma allo stesso tempo dolci e comprensive, mentre i suoi ritratti, caratterizzati dalla tipica posa fiamminga a tre quarti, sono riconoscibili per l'incredibile profondità psicologica.
È il caso del Ritratto d'uomo del Museo del Louvre, noto come Il condottiero, ma anche dell'ipotetico autoritratto della National Gallery di Londra, realizzati durante il soggiorno a Venezia.
Sempre del periodo veneziano è il San Sebastiano oggi a Dresda, del 1475 circa, in cui si nota l'influenza pierfrancescana per quanto riguarda luminosità e conoscenza prospettica. Anche lo sfondo e il pavimento richiamano le opere del maestro di Sansepolcro, si pensi alla celebre Flagellazione di Cristo della Galleria Nazionale delle Marche. Antonello sembra riuscire a rendere ancor di più la morbidezza delle forme, definite dal sapiente uso del colore e della luce, mentre Piero della Francesca è noto maggiormente per la monumentalità delle sue figure.
Altro quadro londinese è San Girolamo nello studio, in cui confluiscono lo stile fiammingo, l'attenzione per gli effetti luminosi e per l'impianto prospettico. Il dotto umanista traduttore della Bibbia si trova al centro della scena intento a leggere, circondato da un ambiente carico di valenze simboliche. Innanzitutto si notano due spazi ben definiti, uno all'esterno e uno all'interno del dipinto, che osserviamo da una grande finestra ad arco. Per entrare nello studio bisogna dunque lasciarsi alle spalle il mondo materiale al fine di accedere a quello spirituale. Sul davanzale troviamo al centro il pavone, segno d'immortalità, ricorrente anche negli affreschi di Domenico Ghirlandaio, una coppa che probabilmente richiama quella che accolse il sangue di Cristo, infine un uccello, una coturnice. Seduto sullo studio rialzato del santo notiamo anche un gattino, mentre a destra sotto il portico vi è il consueto leone con cui viene raffigurato San Girolamo.
Fortemente drammatica è la Crocifissione di Anversa, con Gesù al centro e ai suoi lati i ladroni legati in pose contorte a dei rami. Ai piedi della croce vi sono Maria e Giovanni, mentre sullo sfondo si apre un ampio paesaggio che sarebbe stato ispirato dalla vista dello stretto di Messina.
Un tema ricorrente nella produzione dell'artista è sicuramente l'Ecce Homo, dipinto varie volte, da quello del 1470 conservato a New York, a sinistra, sino a quello struggente del Louvre realizzato intorno al 1476 - 1478. Quest'ultimo, che sembra un'anticipazione del Cristo alla colonna di Donato Bramante, custodito alla Pinacoteca di Brera, è capace di emozionare l'osservatore per il dettaglio delle lacrime che scendono dagli occhi, mentre lo sguardo, carico di tutta la sofferenza dell'umanità, è rivolto al Padre.
Un'ulteriore versione si trova a Piacenza, in cui notiamo l'idea, già visibile in quella newyorchese, di collocare un piccolo foglietto sulla trave che delimita la parte bassa della tavola, dove l'autore pone data e firma. Quella di posizionare il soggetto al di là di quello che sembra il davanzale di una finestra è una scelta geniale per conferire all'opera un senso di profondità, incrementata dalla colonna a cui è legato Gesù.
Appare ancor più evidente l'incredibile spazio dello sfondo scuro nel Salvator mundi della National Gallery, in questo caso accentuato dalle mani del Cristo benedicente. Così come nel capolavoro dell'Annunciata anche qui le mani divengono le vere protagoniste, in un'espressività che è pari a quella dello sguardo.
Scendono ancora lacrime trasparenti, più che mai vicine a quelle bramantesche celeberrime di Brera, dagli occhi dell'angelo della Pietà del Prado di Madrid, capace di conciliare la luminosità veneta con la geometrica bellezza di Piero della Francesca. L'opera è carica di emotività e induce al pianto l'osservatore con l'angelo che sorregge il corpo esanime di Gesù mostrando tutta la sua sofferenza fisica. Il cielo sullo sfondo è però sereno ormai, la morte, simboleggiata dal teschio in primo piano, sta per essere vinta.
Una dolcissima scena familiare tra Madre e Figlio è infine raffigurata nella Madonna Benson della National Gallery of Art di Washington, una delle ultime opere del pittore realizzata tra il 1477 e il 1479 ancora una volta con la tecnica dell'olio su tavola. Maria sorride compiaciuta mentre Gesù si diverte seduto sul consueto davanzale e protetto dall'affettuoso abbraccio materno. Il profondo legame che unisce le figure si manifesta nel dialogo del gesto delle piccole braccia del Bambino, ispirato allo stile del Bellini, e in sé racchiude tutta la potenza espressiva dell'arte.
Vasari scrive che Antonello morì di tisi a soli quarantanove anni, lasciando l'eredità alla moglie e ai figli."Tale fu la fine d’Antonello, al quale deono certamente gl’artefici nostri avere non meno obligazione dell’avere portato in Italia il modo di colorire a olio, che a Giovanni da Bruggia d’averlo trovato in Fiandra, avendo l’uno e l’altro beneficato et arricchito quest’arte".
L'artista rappresenta dunque un punto di riferimento fondamentale per la storia dell'arte rinascimentale, con un percorso pittorico vasto e raffinato che oggi ci porta in diversi musei sparsi per il mondo, continuando a stupirci per la profondità della psicologia dei suoi ritratti, per le commoventi rappresentazioni sacre, sino alla celestiale bellezza di un attimo sospeso per l'eternità.