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DI MARCO CATANIA

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Michelangelo

A Roma dal papa

Papa Giulio II Della Rovere, figura fondamentale di mecenate nel Rinascimento e per la Roma che oggi possiamo contemplare, capace di mostrare attraverso la potenza dell'arte il prestigio e la forza della Chiesa, decise nel 1503, all'inizio del suo pontificato, di cominciare i grandi lavori di ricostruzione della basilica di San Pietro e per il progetto si circondò dei massimi architetti e artisti dell'epoca. Con Michelangelo ebbe un rapporto di committenza intenso e difficile, soprattutto per le loro personalità molto forti. Il pontefice sembrava preferirgli il più giovane Raffaello Sanzio da Urbino, arrivato a Roma grazie al concittadino Donato Bramante, affidandogli la decorazione dei propri appartamenti, le Stanze Vaticane. Il celebre e romanzato rapporto fra Giulio II e Michelangelo raggiunse tuttavia il vertice a livello di committenza nella creazione del capolavoro assoluto della storia dell'arte, vale a dire la volta della Cappella Sistina.
Il primo lavoro assegnato al Buonarroti dal papa fu in realtà la sua tomba, che doveva essere grandiosa, imponente più di ogni altra, la cui bellezza, afferma il critico aretino Giorgio Vasari, doveva superare ogni antica imperiale sepoltura.

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Ritratto di Giulio II - Raffaello Sanzio - 1512 - Firenze, Galleria degli Uffizi

Il progetto della tomba fu però improvvisamente accantonato dal pontefice, probabilmente - sostiene il biografo Ascanio Condivi - su consiglio di Bramante, amico di Raffaello, che lo convinse ad abbandonare il lavoro in quanto di cattivo auspicio farsi costruire il sepolcro mentre era ancora in vita. Così la realizzazione, che ossessionò l'artista sino in tarda età, si trasformò in una tormentosa vicenda definita da Michelangelo stesso "la tragedia della sepoltura". Egli decise infatti di lasciare Roma per tornare in patria; la riconciliazione con Giulio II avvenne solo mesi dopo a Bologna, dov'era il papa, impegnato nella guerra contro Venezia.

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Michelangelo a Bologna si presenta a Giulio II - Anastasio Fontebuoni - 1620 - Firenze, Casa Buonarroti

Il vero capolavoro della tomba di Giulio II, situata nella basilica di San Pietro in Vincoli, in cui è presente una versione definitiva del sepolcro, sebbene ridotta rispetto al progetto iniziale, è la statua del Mosé. Nella figura dell'anziano patriarca si scorge un ideale ritratto di Giulio II, noto come "papa guerriero", o ancor di più, "papa terribile", dedito maggiormente alla guerra che alla preghiera. Energico, maestoso, il Mosè occupa la posizione centrale del monumento, guardiano della tomba del pontefice, mentre con il braccio destro regge le tavole della Legge e con la mano si tocca la lunga barba: «il quale se ne sta a sedere in atto di pensoso e savio, tenendo sotto il braccio destro le tavole della legge e colla sinistra mano sostenendosi il mento, come persona stanca e piena di cure, tra le dita della qual mano escon fuori certe lunghe liste di barba, cosa a vedere molto bella», annota il Condivi.
Scolpito a grandezza doppia del naturale, dovette attendere quasi quarant'anni prima di trovare collocazione nella basilica. Michelangelo, al fine di porre ulteriormente in risalto quello sguardo vigile e riflessivo, vibrante di vita, decise di volgergli la testa verso una luce naturale proveniente da una piccola finestra.
Se questo solenne e straordinario lavoro scultoreo è solo una versione ridotta rispetto all'idea che Michelangelo aveva in mente, resta soltanto alla nostra facoltà immaginativa pensare al progetto sovrumano che il sepolcro sarebbe potuto essere.
«Rimasi otto mesi a Carrara a cavare il marmo dalla montagna. Il taglio della pietra, la scelta del punto cruciale, lo scarto delle venature che rendono il marmo sgraziato, quasi impazzii di quel non poter usar le mani con lo scalpello e mi ritrovai sulla cima della montagna a pensare di scolpire quella, tutta intera. Che si vedesse dal mare quello che sapevo fare»...

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L'architetto Donato Bramante, il primo ad essere chiamato a Roma da Giulio II, era al tempo una figura di grande importanza e decisamente influente nei confronti del papa, che gli si rivolgeva con profonda stima. Fu lui a consigliare di affidare a Michelangelo un'opera pittorica, ossia l'immensa decorazione della volta della Cappella Sistina, cercando così di metterlo in difficoltà sia per l'incredibile estensione della parete, sia perché Michelangelo non era esperto nell'uso dei colori a fresco.
Contemporaneamente, Raffaello avrebbe dipinto nella Stanza della Segnatura la meravigliosa Scuola di Atene.

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Iniziò così il grande duello artistico tra Michelangelo e Raffaello, il più prestigioso e produttivo del Rinascimento e della storia dell'arte, con il Buonarroti che affrontò il Sanzio nella sua stessa arte in cui era ritenuto insuperabile, "divino".
Michelangelo iniziò quindi a dedicarsi alla volta, facendo costruire un altissimo ponteggio e chiamando alcuni aiutanti, degli amici fiorentini, i quali, però, non conoscevano le mescole adatte al clima romano. Una volta allontanati, Michelangelo si rinchiuse nella Sistina in completa solitudine, senza che nessuno potesse entrarvi, sperimentando per la prima volta il timore di non farcela, di non essere all'altezza, arrivando quasi ad abbandonare. Ma Michelangelo non poteva arrendersi, doveva vincere quella battaglia su se stesso e su Raffaello, ormai entrato di diritto tra i geni del Rinascimento.

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Una sera Raffaello, grazie al Bramante, riuscì ad entrare nella Sistina, dove Michelangelo lavorava in gran segreto; fu il primo e l'unico a poter ammirare la nascita di quel capolavoro. Rimasto senza parole, decise di omaggiare il rivale nella sua opera più bella, la Scuola di Atene. Avrebbe aggiunto il suo ritratto a mano libera in primo piano, nelle vesti del tenebroso filosofo Eraclito, solitario e pensieroso.
Ora insieme ai massimi pensatori dell'antichità, raffigurati con le fattezze dei più grandi artisti, vi era anche Michelangelo, ogni rivalità era superata, troppo insignificante rispetto alla reciproca stima che nutrivano l'uno per l'altro, perché probabilmente, senza questa sfida, nessuno sarebbe arrivato a tanto.

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Sempre nella Scuola di Atene, alle spalle di Michelangelo, al centro della composizione e della bellissima prospettiva, si ergono le figure di Platone, nelle vesti di Leonardo, maestro di Raffaello, e di Aristotele, il cui volto sembra essere quello del già citato Bastiano da Sangallo, autore della copia del cartone della Battaglia di Cascina di Michelangelo.
Osservando il cartone preparatorio della Scuola di Atene, oggi alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano, si può notare il dettaglio dell'assenza di Michelangelo, confermando la tesi per la quale sarebbe stato aggiunto solo successivamente quando Raffaello vide il miracolo della volta.

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