Archiloco

Archiloco di Paro è stato uno dei primi lirici greci, nonché, insieme a Semonide e Ipponatte, un esponente della poesia giambica e trocaica.

La lirica, esistente già prima di Omero durante le occasioni del canto, è un genere poetico eseguito con l'accompagnamento della lira, uno strumento a corda. Con il termine lirica si intende tutta la poesia che non è né epica né teatrale.
La lirica si estese dall'Asia alle isole dell'Egeo sino alla Sicilia e comprende anche la città di Atene grazie a Solone, unico rappresentante. La caratteristica fondamentale è quella di essere una comunicazione orale, che avveniva attraverso l'immediatezza espressiva, l'allinearsi dei concetti per nitide analogie e contrapposizioni, infine un periodare breve e chiaro con l'utilizzo della metafora, semplice da ricordare. La lirica può essere distinta in monodica, cantata cioè da una sola persona, o corale, cantata a più voci.

La lirica si differenzia dall'epica per l'emergere della personalità individuale del poeta. Attraverso l'epica omerica passando ad Esiodo, autore fondamentale in tal senso, si assiste al progressivo abbandono da parte del poeta dell'anonimato in favore di un'orgogliosa affermazione del proprio io personale. Tuttavia non si deve dimenticare che l'io poetico dei lirici arcaici non è puramente soggettivo, dunque espressione della propria interiorità; al contrario tende a riassumere e rispecchiare il punto di vista e lo stato d'animo di un gruppo di individui a cui il canto è rivolto e da cui è stato commissionato per una determinata occasione.

La poesia giambica e trocaica era invece un genere che conobbe la sua stagione più ricca nella piena età arcaica tra il VII e il VI secolo a.C.
L'esecuzione dei componimenti giambici seguiva l'uso proprio dell'epica, ossia la recitazione cantilenata del testo sostenuta da un sottofondo musicale ritmato, modalità definita "recitativo". L'esecuzione era inoltre di tipo monodico, vale a dire solistica e adibita ad ambienti ristretti.
La poesia giambica era destinata soprattutto all'espressione di sentimenti forti quali l'odio, l'ira, l'amore passionale, l'aspra polemica, l'ironia beffarda e l'insulto.

Ad Archiloco si deve l'utilizzo per la prima volta del termine giambo, ma anche la prima data precisa e non approssimativa della letteratura greca, quando in un componimento fece riferimento a un'eclissi di sole da identificare con quella dell'anno 648 a.C.
Da ciò si deduce che il poeta visse nel pieno del VII secolo. Con molta probabilità intraprese la professione del soldato mercenario, mentre a livello poetico già gli antichi lo consideravano soprattutto un giambografo, sebbene si cimentò anche in altri generi, come per esempio l'elegia. Analogamente anche poeti elegiaci praticarono la metrica giambica e trocaica. Archiloco era infine considerato l'inventore della modalità di esecuzione costituita da un recitativo sostenuto da accompagnamento musicale.

Dai suoi versi che sono giunti sino a noi si percepisce un atteggiamento propenso alla condanna e all'invettiva.

La concezione della guerra da parte di Archiloco era ben diversa da quella di Omero, per il quale i combattenti erano i nobili di cui cantare le glorie; Archiloco ha invece la consapevolezza di un ruolo limitato, di una funzione ben precisa da sostenere, per la quale prevale il fatto utilitaristico sul bel gesto. Non gli importa dunque di perdere lo scudo in battaglia per salvare la propria vita.

Qualcuno dei Sai si vanta del mio scudo, che presso un cespuglio - arma gloriosa - lasciai non volendo. Ma salvai la mia vita. Quello scudo, che importa? Vada in malora. Un altro ne acquisterò, non meno bello.

Anche a livello fisico il poeta non celebra il generale dalle belle fattezze, tipiche dell'eroe, bensì quello coraggioso e sicuro di sé.

Non amo un generale alto, che sta a gambe larghe, fiero dei suoi riccioli e ben rasato.
Uno basso ne voglio, con le gambe storte, ma ben saldo sui piedi, e pieno di coraggio.

In lui continua il percorso di rafforzamento della personalità individuale, dell'io lirico, come si nota da un importante frammento che costituisce una sorta di autoritratto del poeta, il quale coniuga nella vita militare la propria vocazione poetica, i due elementi che contraddistinguono la sua biografia.

Io sono servo del signore Enialio [dio della guerra] / e conosco l'amabile dono delle Muse.