Convivio

Ritratto di Dante - Luca Signorelli - Cappella di San Brizio, Duomo di Orvieto

Il Convivio è un saggio dottrinario scritto da Dante nei primi anni dell'esilio tra il 1304 e il 1307.
Negli intenti dell'autore l'opera doveva essere una vasta enciclopedia in cui si raccogliesse tutto il sapere umano, dalla filosofia alla teologia sino all'estetica e l'astronomia. Dante si proponeva con essa di dimostrare le sue conoscenze così da difendere la propria fama dalle accuse ingiuste rivolte nei suoi riguardi dai concittadini e fare così ritorno a Firenze.
Il progetto originario prevedeva quindici trattati, il primo introduttivo, in cui venivano spiegate le ragioni dell'opera, mentre gli altri costruiti come commenti ad altrettante canzoni, riprendendo per certi versi la struttura della Vita Nova, nella quale vi erano una serie di poesie inserite in un commento in prosa.
Il Poeta non si sarebbe limitato però a narrare solo un'esperienza soggettiva, bensì avrebbe esposto dottrine e concetti: l'amore di cui Dante parla nel Convivio è infatti solo quello, in lui ardentissimo, per la sapienza.
L'Amore per Beatrice era però troppo importante per la sua vita, al punto che fu proprio questo sentimento, con molta probabilità, il motivo per cui il progetto del Convivio non fu portato a termine. Dante aveva infatti ormai chiaro in mente il disegno della Divina Commedia e di quel viaggio attraverso i cieli del Paradiso in cui lodare l'amata e farla divenire il tramite fra la terra e il cielo.
Il ritorno a Beatrice, la "donna gloriosa", soppianta la "donna gentile" del Convivio, vale a dire, in termini allegorici, che la Verità rivelata soppianta la Filosofia.
I quattro trattati che compongono il Convivio presentano tre canzoni: Voi che 'ntendendo il terzo ciel movete; Amor che ne la mente mi ragiona; Le dolci rime d'amor ch'i' solia.

Il primo trattato ha funzione di introduzione all'opera intera; l'autore ne espone ragioni e scopi. Il titolo significa "banchetto" e ci rivela l'intento del Poeta, il quale vuole appunto dare vita ad un simposio di sapienza rivolto, però, non ai dotti, bensì a coloro che per occupazioni familiari e di lavoro non hanno potuto dedicarsi agli studi, pur avendo uno spirito nobile, elevato e virtuoso. Per questo sceglie di scrivere in volgare e non in latino, la lingua che la tradizione imponeva alle opere dottrinali. Il Poeta pronuncia inoltre un'appassionata esaltazione del volgare affermando che la sua dignità è pari a quella del latino, discorso ripreso anche nel De vulgari eloquentia.
Nel secondo trattato Dante spiega il metodo che seguirà nel commento alle proprie canzoni, la prima delle quali offre una descrizione dei cieli e delle gerarchie angeliche in cui si può ravvisare l'impianto che sarà alla base della cantica del Paradiso.
Il terzo trattato è un inno alla sapienza, che per Dante è la somma perfezione dell'uomo.
Nel quarto trattato viene infine affrontato un problema molto discusso a quel tempo, quello della vera nobiltà, basti pensare agli stilnovisti che avevano stabilito come la nobiltà non fosse più legata alla nascita o ai titoli nobiliari, ma alla gentilezza d'animo e al conoscere il sentimento dell'amore. Allo stesso modo Dante sostiene che essa non è solo privilegio di sangue, ma conquista personale attraverso l'esercizio della virtù.