Canto VIII

Nino Visconti

Era già l'ora che volge il disio
ai navicanti e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio.

Il poeta mantovano Sordello, incontrato nel Canto VI, accompagna Dante e Virgilio anche nei due canti successivi, dialogando con il concittadino Virgilio a cui l'Alighieri ha l'occasione di rivolgere un'altra lode di ammirazione.
Il contesto del poetare dantesco diviene quello di un'amena valletta dai verdi prati e dai bellissimi fiori, vero e proprio locus amoenus che anticipa il Paradiso terrestre che i due pellegrini troveranno al termine dell'ascesa della montagna del Purgatorio, contrapposto alle selve oscure e piene di insidie della cantica dell'Inferno, basti pensare a quella dell'esordio, nel Canto I, dove Dante si smarrisce, gravato dal peccato, oppure quella dei suicidi in cui è ambientato il Canto XIII.
In questo splendido scenario sono confinate le anime della quarta schiera degli spiriti negligenti, ossia quella dei principi e dei regnanti che si allontanarono dal bene e dalla via della salvezza a causa del potere e della vana gloria terrena, oppure coloro i quali, esercitando le loro funzioni con indolenza, hanno recato sofferenze ai propri sudditi.
Nella valletta, sul far della sera, i due poeti attenderanno le prime luci dell'alba per riprendere il cammino, in quanto nel regno del Purgatorio vige una legge divina per la quale di notte non si può procedere. Proprio in questo contesto idilliaco, col sopraggiungere del tramonto, si apre l'ottavo canto, in una sottile malinconia che aveva caratterizzato anche alcuni canti precedenti. Nella celeberrima terzina dell'incipit, dal tono modernissimo e così vicino, per lirismo, al Romanticismo, il Poeta dichiara essere giunta l'ora che dolcemente accarezza il cuore di nostalgia, risvegliando nei naviganti il ricordo della patria lontana, quando un giorno, con profonda tristezza, hanno dovuto dire addio alle persone care.
Il clima sereno della valletta cela però anche qualche insidia, come quando giunge, insidioso, il serpente tentatore, che nascondendosi tra i fiori diviene allegoria del peccato, sempre in agguato per sviare le anime dalla salvezza. Prontamente, però, due angeli vestiti di verde e armati di spade fiammeggianti mettono in fuga il serpente, allusione in questo caso alla Grazia, vigile e sempre pronta a soccorrere i penitenti. A queste metafore utilizzate dal Poeta si aggiungono le tre stelle che appaiono in cielo e a cui il pellegrino rivolge lo sguardo, simbolo delle virtù teologali di fede, speranza e carità.

L'ottavo canto non è esente, come tutti gli altri che compongono la cantica, di incontri di estrema importanza con alcuni spiriti impegnati nel loro percorso di purificazione. Si tratta del nobile Nino Visconti, realmente conosciuto da Dante, il quale si mostra stupito nel constatare che il Poeta è ancora vivo fra i morti, annunciando l'incredibile visione all'anima di Corrado Malaspina. Il Visconti, uomo politico pisano e coetaneo dell'Alighieri, nonché nipote del celebre conte Ugolino della Gherardesca incontrato nel Canto XXXIII dell'Inferno, chiede a Dante di ricordarlo alla figlia Giovanna, affinché possa pregare per lui così da abbreviare l'attesa che lo separa dall'effettivo ingresso nelle sette cornici del Purgatorio. Lo spirito accenna poi con rimpianto alla moglie, che già lo ha dimenticato sposando un altro uomo non appena rimasta vedova.
Corrado Malaspina, signore della Lunigiana, profetizza infine l'esilio a Dante e la benevola accoglienza che troverà presso la corte dei suoi discendenti, così il Poeta elogia la generosità della famiglia Malaspina.