Canto XV

Brunetto Latini

Se tu segui tua stella,
non puoi fallire a glor
ïoso porto,
se ben m'accorsi ne la vita bella...

Il settimo cerchio dell'Inferno è suddiviso in tre gironi dove scontano la loro pena eterna le anime dei violenti, distinti fra coloro i quali esercitarono questo peccato contro il prossimo, confinati nel primo girone, quelli che furono violenti contro se stessi, vale a dire i suicidi e gli scialacquatori incontrati nella selva del Canto XIII, infine, nel terzo girone, i violenti contro Dio, i bestemmiatori, oppure contro la natura, i sodomiti, e contro ciò che alla natura si conforma, gli usurai.
In questo canto Dante si imbatte nella schiera dei sodomiti, coloro che si lasciarono travolgere da una passione contro natura e il cui nome deriva dalla biblica città di Sodoma, rinomata per tale vizio. Le anime di questi dannati si trovano costretti a camminare nudi senza sosta in una landa desolata, sotto una pioggia di fuoco che cade su di loro senza sosta. Protagonista del canto è una figura di fondamentale importanza per la crescita umana e poetica dell'Alighieri, vale a dire il suo maestro Brunetto Latini, scrittore, poeta e politico fra le più eminenti personalità fiorentine di parte guelfa della seconda metà del Duecento, il quale ebbe modo di insegnare a Dante nel Trivio.
Il sistema scolastico nel Medioevo era diviso in due gradi di insegnamento noti come "arti liberali", ossia il Trivio e il Quadrivio. Il primo, quello nel quale insegnava Brunetto Latini, era di natura umanistica e comprendeva la grammatica, la dialettica e la retorica, mentre il secondo era focalizzato sulle scienze quali la matematica, la geometria, l'astronomia e la musica, quest'ultima considerata al tempo una disciplina scientifica. Mentre nel Trivio vi era l'obbligo di seguire l'ordine di insegnamento stabilito, nel Quadrivio si poteva scegliere da quale materia cominciare e come proseguire nello studio, in modo simile al nostro sistema universitario. Dante frequentò sicuramente il Trivio ed anche il Quadrivio, come dimostrano le sue conoscenze in ambito astronomico a lungo esposte nella cantica del Paradiso.

Accompagnato da Virgilio, Dante si imbatte in una schiera di sodomiti che cerca di riconoscere i due misteriosi pellegrini, sino a quando uno di loro si avvicina al Poeta toccandogli la veste per farsi notare ed esclamando tutta la sua meraviglia nel vederlo. Con stupore e sincera commozione, Dante ritrova così il suo antico maestro, sorpreso nel trovarlo fra gli spiriti di questa schiera, domandandogli, quasi accarezzandogli dolcemente il viso, se davvero sia lui non riuscendo a riconoscerlo a causa del volto ustionato dalle fiamme: «Siete voi qui, ser Brunetto?».
Il maestro chiede poi, con estrema gentilezza al suo allievo, chiamandolo affettuosamente figliuolo, se non gli dispiaccia intrattenersi un poco insieme a lui. Tale desiderio è però ostacolato dalla volontà divina, secondo cui un'anima che si arresta un solo istante nel suo cammino è poi costretta per cent'anni a restare ferma sotto la pioggia infuocata senza potersi riparare. Dante si mette allora a camminare velocemente per seguire il maestro, atteggiamento amorevole e di riverenza nei riguardi di un'anima per cui il Poeta, come già accaduto con la Francesca da Rimini del Canto V, prova pietà e affetto.
Il filo rosso del canto è infatti, ancora una volta, il sentimento dell'amore, in questo caso quello che lega un allievo al suo maestro, il quale ha guidato nel percorso di crescita verso l'età adulta il discepolo.
L'importanza della figura di ser Brunetto, in questo canto centrale nell'Inferno, è infatti quella di donare conforto e incoraggiare l'amato allievo, lasciandogli un ultimo e prezioso insegnamento che è quello di seguire sempre la propria stella, vale a dire il desiderio che custodisce nel profondo del suo cuore, unico modo per raggiungere i propri sogni e guadagnarsi la gloria eterna. Brunetto sembra conoscere bene, come ogni grande insegnante, il suo discepolo, ricordandogli il senso finale del viaggio ultraterreno che deve compiere, ossia quelle stelle che ricorrono nel finale di tutte le cantiche e a cui si rivolge la sua anima, intese come dono più bello del creato e strada verso la salvezza.
Il sentimento paterno che prova Brunetto nei riguardi dell'allievo lo spinge a rivelargli con dolore e indignazione il futuro pieno di incomprensioni a cui dovrà incorrere, nel quale saranno proprio i concittadini di Firenze, invidiosi e ostili nei suoi riguardi, a farlo soffrire. Dante, tuttavia, non si mostra turbato ma quasi rassegnato e rassicura il maestro in quanto ormai è consapevole dei capricci del destino e della fortuna.
Nel finale Brunetto cita a Dante i sodomiti più noti, in quanto sarebbe impossibile elencarli tutti, sottolineando come uomini di Chiesa e letterati ne rappresentino il numero più cospicuo. Raccomandando all'allievo il suo Tresor, enciclopedia dello scibile medioevale con cui spera di meritare immortalità e di essere ricordato in vita, Brunetto si dilegua e raggiunge la sua schiera. Poco prima, però, era avvenuto il riconoscimento degli insegnamenti, da parte di Dante, ricevuti da Brunetto durante la giovinezza, soddisfazione più alta per chi, con amore, compie la professione di insegnante. Il Poeta, in particolare, ricorda con nostalgia i momenti in cui, con amorevole affetto di padre verso il figlio, Brunetto gli insegnava come un uomo diventi tale, meritandosi l'eternità.

...ché 'n la mente m'è fitta, e or m'accora,
la cara e buona imagine paterna
di voi quando nel mondo ad ora ad ora
m'insegnavate come l'uom s'etterna.


Dedicato ai miei primi studenti.