Canto VIII

Filippo Argenti

Tutti gridavano: «A Filippo Argenti!»;
e 'l fiorentino spirito bizzarro
in sé medesmo si volvea coi denti...

Il verso con cui comincia il canto «Io dico, seguitando», ha avanzato numerose ipotesi fra gli esegeti su una possibile interruzione nella stesura del poema, forse per motivi legati all'esilio del Poeta a causa dell'evolversi della situazione polita, teorie sostenute anche da un cambiamento stilistico dell'autore, che denota una maturazione spiegabile però, allo stesso tempo, come conseguenza del prendere forma sempre maggiore dell'intera struttura. Da sottolineare sono anche l'antipatia e l'accesa rabbia di Dante nei riguardi del dannato protagonista, Filippo Argenti, suo nemico personale del quale si compiace, come mai accaduto prima, di assistere all'eterna punizione.
La scena, ambientata nel quinto cerchio dell'Inferno, dove sono nella palude dello Stige sono puniti gli iracondi e gli accidiosi, si apre con il sopraggiungere velocissimo di una navicella guidata da un solo marinaio, Flegiàs, un altro dei demoni traghettatori, come Caronte nel Canto III.
Flegiàs, personaggio mitologico presente anche nell'Eneide, si era macchiato nel poema virgiliano di un eccesso d'ira dovuto alla seduzione di sua figlia da parte di Apollo, arrivando ad incendiare il tempio del dio a Delfi in preda a sentimenti di rancore e vendetta. Il demone è convinto che Dante e Virgilio siano, come gli altri, spiriti da condurre al supplizio, ma Virgilio, come già fatto con Caronte e, più avanti, con Minosse nel Canto V, interrompe con decisione le urla di Flegiàs avvisandolo che potrà accompagnarli solamente per il tempo necessario ad attraversare la palude dello Stige.
Le anime degli iracondi si trovano immersi nella fangosa palude, emergendo col corpo in superficie cercando di dimenarsi afferrando gli altri peccatori, finendo per percuotersi orribilmente l'un con l'altro. Gli accidiosi sono invece interamente ricoperti dal fango e il loro tormento, impossibilitato per contrappasso a manifestarsi, si nota solamente attraverso le bolle d'aria che giungono sulla superficie melmosa dell'acqua.
Giunta in mezzo alla palude, la barca che trasporta i due poeti viene avvicinata da un reprobo che chiede a Dante come mai, ancora vivo, si trovi fra nel regno dei morti. Il Poeta, dichiarandosi solamente di passaggio, chiede poi il nome al dannato, il quale non risponde per orgoglio. Per la mancata risposta e il proprio sdegno, Dante riconosce subito in lui Filippo Argenti, fiorentino vissuto nel Duecento e appartenente a livello politico ai Guelfi neri, la fazione contrapposta, all'interno dello stesso partito, a quella di Dante. L'Argenti, di cui accennerà anche Giovanni Boccaccio nel Decameron, si oppose al rientro in patria del Poeta, il quale mostra una notevole avversione nei riguardi della sua arroganza e violenza. Rivolgendosi a Virgilio, Dante rivela infatti il desiderio di vederlo annegare nella melma che lo avvolge, alla cui affermazione il peccatore reagisce con la consueta ira, cercando di rovesciare l'imbarcazione. Furibondo, comincia a mordere il legno della barca, mentre Virgilio lo allontana. Sopraggiungono allora le altre anime malvagie che si scagliano contro l'Argenti, facendone strazio.

La barca di Dante - Eugène Delacroix - 1822 - Parigi, Museo del Louvre

Allontanandosi dagli spiriti iracondi, Virgilio annuncia che non lontano si scorgono le mura fiammeggianti della città di Dite, dove una moltitudine di demoni opporrà resistenza al proseguimento del cammino dei due pellegrini, impossibilitati a varcare la porta della città infernale. Scesi dalla barca di Flegiàs e giunti al cospetto dei diavoli, che guardano Dante minacciosi, il Poeta manifesta timore e la volontà di tornare indietro, mentre Virgilio, amorevole guida, gli ricorda la volontà celeste del viaggio. Prova allora a convincere le malvagie presenze recandosi a concilio con loro, senza che il suo compagno possa udire il loro dialogo. Tornato mestamente da Dante, il maestro annuncia che i diavoli si rifiutano di acconsentire al passaggio, tuttavia annuncia che un messo celeste è già pronto a discendere in loro soccorso per vincere la vana e presuntuosa opposizione dei demoni.
Varcata le mura, come accadrà anche nel Canto IX del Purgatorio dove una porta segnerà la fine dell'Antipurgatorio e l'inizio delle sette cornici di cui è composta la montagna, si può dire che cominci l'Inferno vero e proprio, quello più doloroso e spaventoso, segnato dalle fiamme che annunciano il fuoco eterno che brucia all'interno della città di Dite.