Seneca

Un tale ordine non può appartenere a una materia che si agiti casualmente. Un incontro di elementi senza piano e senza disegno non avrebbe questo equilibrio, né una così saggia disposizione. L'universo non può essere senza Dio.

Lucio Anneo Seneca è stato un filosofo, drammaturgo e politico romano, nato quattro anni prima della venuta di Cristo a Cordova, in Spagna, allora una delle più antiche colonie romane.
La sua vita fu segnata sin da subito da gravi problemi di salute, soprattutto dovuti all'asma, che lo portarono a momenti di vera disperazione.
Seneca ottenne grande fama come oratore, al punto che nel 39 d.C. l'imperatore Caligola, deciso ad eliminarlo, lo condannò a morte. A salvarlo fu l'intervento di un'amante dell'imperatore la quale sosteneva che egli sarebbe morto comunque a breve a causa delle fragili condizioni di salute. Tuttavia nel 41 d.C. il successivo imperatore, Claudio, lo mandò in esilio in Corsica.
Divenuto tutore e precettore del giovane Nerone, Seneca ne guidò l'ascesa al trono, consigliandolo saggiamente nel "periodo del buon governo". Sarà però lo stesso Nerone a costringerlo al suicidio.

Il dipinto

La morte di Seneca venne descritta da Tacito con toni simili a quelli usati da Platone per quella di Socrate. Il maggiore esponente del Neoclassicismo francese, Jacques-Louis David, ha dipinto entrambe le scene, sebbene quella rappresentante Socrate, datata 1787, sia più celebre. In quest'opera del 1773, con cui l'artista cercò di ottenere l'ambito Prix de Rome, vediamo Seneca tagliarsi le vene, illuminato a metà da un'intensa luce che entra da sinistra ad enfatizzare la composizione teatrale. La moglie del filosofo, Paolina, vorrebbe togliersi la vita insieme a lui, ma viene trattenuta con la forza da tre figure femminili. Gli altri personaggi sembrano invece assistere Seneca durante gli ultimi momenti di vita, affrontati, ci dice Tacito, con la serenità e la consapevolezza tipici del filosofo, preoccupandosi di allontanare la moglie.


Fedra

Unico tragediografo latino, Seneca compose opere destinate soprattutto alla lettura, meno alla rappresentazione teatrale. Egli prese spunto dai modelli greci, infatti Fedra, considerata una delle sue tragedie più importanti, ha argomento e ambientazione greca. L'autore di riferimento dovrebbe essere Euripide con la sua tragedia Ippolito, anche se altri studiosi ritengono che Seneca si sia ispirato alla perduta Fedra di Sofocle.
Ad Atene Fedra, moglie di Teseo, è fatalmente innamorata del figliastro Ippolito, il quale preferisce all'amore la caccia e la vita nei boschi. La donna ha paura di rivelare il suo sentimento e viene ammonita dalla sua nutrice in quanto molto improbabile che il suo amore venga ricambiato. Nessuno può però resistere ad Amore, il dio più potente di tutti, così alla fine Fedra cede dichiarandosi ad Ippolito. Il giovane, indignato, allontana la matrigna minacciando di colpirla con la spada. Interviene allora la nutrice che con scaltrezza grida aiuto accusando Ippolito di stupro.
Mentre Ippolito fugge, il Coro di ateniesi commenta la sua sovrumana bellezza, paragonandola a quella di Bacco o di Apollo.
Quando Teseo ritorna, la moglie denuncia la falsa violenza e mostra la spada di Ippolito. Il padre pensa inizialmente di mandarlo in esilio, poi chiede al padre Poseidone di concedergli uno fra i tre doni promessigli, facendolo morire.
Nel finale giunge un messaggero a raccontare la morte di Ippolito. Impigliato nelle redini dei suoi cavalli imbizzarriti, egli è stato trascinato fino alla morte. Fedra confessa la sua colpa e subito dopo si toglie la vita. A Teseo non resta che piangere la propria sorte mentre il Coro lo richiama al dovere di ricomporre il corpo morto del figlio; quello di Fedra viene invece gettato in una fossa.