Euripide

Euripide nacque intorno al 485 a.C. a Salamina, ma secondo la tradizione si fa risalire la sua nascita al giorno della celebre battaglia di Salamina, svoltasi il 23 settembre 480 a.C.
Contemporaneo e amico di Socrate, viene considerato insieme a Eschilo e Sofocle uno dei maggiori poeti tragici greci.
Nelle sue opere presta molta attenzione alla psicologia e alla descrizione dei sentimenti dei propri personaggi nel corso degli eventi narrati. La grande novità del suo teatro è sicuramente l'eroe, non più deciso ed energico nell'agire, bensì insicuro, non privo di conflitti interiori, mettendo in luce la propria debolezza e fragilità. Un ruolo principale viene assunto dalle figure femminili, sebbene alcuni studiosi definiscano il poeta misogino in quanto tendeva a dare connotazioni negative alle donne.
Euripide utilizza infine nuove soluzioni drammatiche, per esempio un maggiore uso della Deus ex machina, letteralmente "divinità che scende dalla macchina", quella che in greco veniva chiamata Mechanè. Essa era una sorta di gru che consentiva agli attori che impersonavano divinità o esseri soprannaturali di venire sollevati in volo.

Medea

Capolavoro di Euripide rappresentato per la prima volta nel 431 a.C. al Teatro di Dioniso di Atene. La protagonista è un personaggio decisamente negativo; la tragedia viene narrata con cruenza, a testimonianza di una certa distanza dell'autore dagli dei, i quali non intervengono mai, in una visione laica della vita e del mondo.
La nutrice di Medea ricorda amaramente il viaggio degli Argonauti, avventurieri greci, alla ricerca del vello d'oro, un ariete alato che aveva il potere di guarire le ferite.
Medea aveva aiutato il marito Giasone e gli Argonauti, trasferendosi poi a Corinto abbandonando il padre. Giasone decide però di ripudiare Medea per sposare Glauce, figlia di Creonte, re di Corinto.
La protagonista, disperata, si lamenta col Coro formato dalle donne corinzie. Per paura di una vendetta e della sua sapienza di maga, Creonte ordina a Medea di lasciare la città. La donna è decisa lo stesso a vendicarsi, così finge di non portare rancore nei confronti di Giasone e Creonte.
Il re non si fida, ma cede all'apparente innocua richiesta di ritardare di un giorno l'esilio. Il Coro canta la sua solidarietà nel punire il tradimento di Giasone.
Entra in scena Giasone che dichiara a Medea di non sposare Glauce per amore ma solo per il potere.
Appare poi il re d'Atene, Egeo, reduce dall'oracolo di Delfi dove ha cercato rimedi per la sua sterilità, a cui Medea chiede asilo. Egeo acconsente. La donna comunica allora il suo piano per vendicarsi di Giasone. Fingerà di riconciliarsi con lui e manderà alla sposa dei doni avvelenati. Poi ucciderà i figli che lei stessa gli ha dato. Il Coro ascolta inorridito, supplicandola di non farlo.
Un messaggero annuncia la morte di Glauce e di suo padre Creonte accorso per aiutarla. A questo punto arriva Giasone, disperato, cercando di salvare i propri figli dalla vendetta dei Corinzi. Al di fuori della scena si sentono però le grida dei figli e nella conclusione si vede Medea sul carro mandato dal Sole (Deus ex machina) lasciando Giasone nell'imprecazione degli dei e nella rabbia contro la donna, definita barbara. Vi è dunque da parte dell'autore la contrapposizione tra la civiltà greca e quella barbarica.

Elettra

La tragedia ha come protagonista Elettra, figlia di Agamennone, il quale fu ucciso dalla moglie Clitennestra e dall'amante Egisto per prenderne il potere. Oreste, fratello di Elettra, dovrà vendicare il padre su ordine di Apollo. Il mito, già narrato da Eschilo e Sofocle, viene arricchito di novità da Euripide. Innanzitutto la donna è ora davvero partecipe dell'assassinio di Clitennestra con un piano sottile e crudele. Ella finge infatti di partorire e chiama la madre in aiuto. Accorsa per aiutare Elettra, non mostrandosi assolutamente la donna crudele che la figlia aveva descritto per tutto il dramma, Clitennestra viene uccisa a tradimento.
Nella tragedia di Eschilo, Elettra aveva solo assistito all'omicidio, mentre in Sofocle, sebbene come in Euripide viene focalizzata l'attenzione sul desiderio di vendetta della protagonista, ella, che invoca Oreste di non avere alcuna pietà per la madre, non partecipa attivamente all'uccisione. Nella tragedia di Euripide mostra infine tutto l'odio che ha dentro di sé, costretta ad una vita alle dipendenze dei due assassini di suo padre ed è protagonista dell'omicidio; Oreste invece, che prova desiderio di vendetta principalmente nei confronti di Egisto, ha maggior pietà per la madre, così come nel racconto di Eschilo.
L'altra grande novità è che Elettra viene data sposa ad un contadino. Egisto, infatti, per evitare una possibile vendetta da parte dei figli di Agamennone, cerca di disfarsi di loro. Tuttavia il contadino, di animo nobile, riconosce in lei una principessa di rango superiore, indegna di stare con lui. Inoltre rispetta i figli di colui che era stato il suo re e il diritto di Oreste di ereditare il trono.

Ecuba

La scena si apre su una spiaggia dove si è accampata la flotta dei greci che ha espugnato Troia, bloccata nel rientro da venti contrari.
Lo spettro di Polidoro, giovane figlio di Ecuba e Priamo, re di Troia, annuncia che sua sorella Polissena è stata chiesta in sacrificio da Achille.
Entra in scena Ecuba, tormentata durante la notte da un cattivo presagio e dall'immagine di una cerva sbranata da un lupo.
Il Coro, costituito da giovani troiane ormai schiave dei vincitori, informa la regina che i greci hanno deciso di sacrificare sua figlia. La donna si lascia andare alla disperazione; al suo pianto si unisce Polissena, che soffre, più che per sé, non desiderando vivere, per il dolore della madre.
Giunge Odisseo per portare via Polissena; Ecuba lo supplica di lasciar vivere la figlia o di ucciderla insieme a lei. Polissena, però, coraggiosa e forte, conforta la madre e pronuncia un nobilissimo discorso in cui dimostra che per lei, principessa ridotta a schiava, la morte è la sola forma di libertà. Ecuba si accascia disperatamente al suolo.
Una serva della regina arriva in scena con un corpo velato che Ecuba suppone essere quello di Polissena; è invece quello di Polidoro, ripescato nelle acque dove Polimestore lo aveva gettato.
Inizia così la follia di Ecuba, affranta per il destino dei figli. Quando sopraggiunge Agamennone la donna è indecisa se chiedergli aiuto nella sua vendetta. Finalmente racconta i fatti e invita Agamennone a non opporsi al suo piano. Quest'ultimo, convinto che il trionfo della giustizia sia interesse comune, acconsente impietosito.
Ecuba convoca allora Polimestore nella tenda di Agamennone, fingendo di rivelare a lui e ai suoi figli dove si nasconde un prezioso tesoro. Subito si odono delle grida: Ecuba, aiutata dalle prigioniere troiane, ha accecato Polimestore e ucciso i suoi figli. Polimestore esce urlando in cerca di aiuto, chiedendo vendetta al sopraggiunto Agamennone, il quale lo interroga sul suo comportamento. Polimestore si giustifica dicendo di essere stato costretto ad uccidere Polidoro per impedirgli di ricostruire Troia. Anche Ecuba espone le ragioni del proprio gesto e Agamennone sentenzia a favore della donna.
A Polimestore non rimane che vendicarsi predicendo ciò che sa da un oracolo: Ecuba morirà dopo essere stata trasformata in cagna, mentre Agamennone verrà ucciso da Clitennestra.

Elena

Rappresentata per la prima volta nel 412 a.C. al Teatro di Dioniso di Atene, è un esempio di tragicommedia, nella quale l'argomento tragico è meno rilevante rispetto agli equivoci che vengono narrati.
Elena, la donna a causa della quale scoppiò la guerra di Troia, racconta nel prologo una versione differente della sua storia rispetto alla tradizione più diffusa, affermando di non essere mai andata in città. Paride non ha rapito lei, bensì un suo simulacro, una sorta di fantasma che la dea Era ha sostituito con la donna.
La vera Elena è stata ospitata in Egitto dal saggio re Proteo e, una volta morto il sovrano, dal figlio Teoclimeno. Quest'ultimo ambisce però con insistenza alle nozze con lei, che rifiuta nella speranza di ritornare col marito Menelao a Sparta e di essere felice con lui.
Mentre siede supplice sulla tomba di Proteo giunge il messaggero Teucro, esule da Salamina, che la informa che le navi di Menelao, di ritorno da Troia, sono state colpite da una tempesta in cui suo marito ha perso la vita.
Elena e il Coro, composto da giovani prigioniere greche, piangono la disgrazia, mentre la donna riafferma di non voler sposare Teoclimeno, anzi, di preferire piuttosto la morte.
La Corifea la esorta a riflettere su quanto ci sia di vero nelle parole di Teucro e di cercare notizie del marito presso la profetessa Teonoe, sorella di Teoclimeno.
Giunge in scena Menelao, naufragato proprio in Egitto, rievocando le sue imprese, ora però costretto a chiedere umilmente soccorso per sé e i suoi compagni superstiti che ha lasciato in una grotta insieme alla falsa Elena, cioè il suo simulacro.
Menelao giunge al palazzo di Teoclimeno dove una vecchia portinaia gli comunica di non poter far entrare nessun greco, a causa della presenza di Elena. Menelao crede si tratti di un'omonima, ma poco dopo incontra stupito la donna. Menelao si convince davvero che ella è Elena quando uno dei suoi marinai giunge a portargli una notizia clamorosa: la falsa Elena è scomparsa. I due sposi si abbandonano allora in un abbraccio commosso.
La protagonista deve ora affrontare il problema di come sfuggire a Teoclimeno. I due coniugi si recano intanto da Teonoe, pregandola di non rivelare a nessuno della presenza in Egitto di Menelao. La sacerdotessa si mostra solidale coi due.
Elena e Menelao organizzano allora un astuto piano: ella dirà a Teoclimeno della morte di Menelao, fingendo di accettare l'offerta di matrimonio. Il re dovrà però consentirle di compiere un rito in memoria del marito da svolgersi su una nave in mare aperto. Intanto Elena e Menelao giurano di uccidersi nel caso non riusciranno a ricongiungersi.
Menelao si presenta al palazzo di Teoclimeno fingendosi un messaggero e annuncia la sua stessa morte. Elena, intanto, chiede al re egiziano una nave con equipaggio al fine di compiere il rito.
Nel finale i due sposi si apprestano a fuggire con la nave. Arrivano anche gli uomini di Menelao che salgono sulla nave e, dopo aver sconfitto gli uomini di Teoclimeno, prendono il largo verso la Grecia.
Informato da un messaggero, Teoclimeno, fuori di sé, vorrebbe uccidere la sorella, complice della fuga, ma viene trattenuto dalle donne del Coro che coraggiosamente difendono la protagonista.